sabato, ottobre 31, 2009

Il cardinale Newman, padre invisibile del Concilio

Il cardinale Newman, padre invisibile del Concilio

DA ROMA MIMMO MUOLO

Non basta un solo angolo visuale, per inquadrare opportunamente la grande e poliedrica personalità del cardinale John Henry Newman. Filosofo e teologo, uomo di Chiesa e grande comunicatore, pensatore originale e anticipatore del Concilio Vaticano II, il porporato inglese, oggi ormai vicinissimo alla beatificazione, deve essere studiato da più punti di vista. Proprio come hanno fatto a marzo di quest’anno i promotori del Convegno internazionale svoltosi a Milano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. E come anche ieri pomeriggio, nella sede romana dell’Ateneo, hanno ribadito il rettore Lorenzo Ornaghi e gli altri intervenuti alla presentazione degli Atti di quel simposio, presente anche il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. A distanza di pochi mesi, infatti, è uscito per i tipi di Vita e Pensiero, il volume curato da Evandro Botto e Hermann Geissler, che raccoglie le risultanze dell’importante appuntamento di marzo. Volume che, a cominciare dal titolo, Una ragionevole fede, Logos e dialogo in John Henry Newman permette di comprendere le diverse direzioni dell’indagine scientifica e storica compiuta intorno alla personalità e al pensiero del cardinale. Come ha ricordato monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente di Avvenire, di questo «titolo suggestivo» i curatori del libro «danno ottima spiegazione quando scrivono che in rapporto all’odierno scenario culturale il modello offerto da Newman è quello di una fede pensata e vissuta, protesa a rendere ragione di se stessa e pure di una ragione in tutto e per tutto aperta e disponibile all’accoglienza, comprensione e condivisione della verità, ovunque essa si manifesti e da qualsiasi parte provenga». Non è chi non veda l’estrema attualità dell’insegnamento del porporato inglese. Il quale ha molto da insegnare, ha aggiunto monsignor Semeraro, anche sotto il profilo dell’ecclesiologia. Non per niente «di lui si dice che è stato uno dei padri invisibili del Vaticano II», data l’influenza che il suo pensiero ha avuto su alcuni passaggi della Lumen Gentium e anche della Dei Verbum , ad esempio in merito alla concezione della tradizione, come «memoria viva che la Chiesa ha del suo Sposo» e al passaggio in cui nella costituzione sulla Parola di Dio (al numero 8) si legge: «La Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio».
Il vescovo di Albano, citando i documenti del processo di beatificazione, ha perciò sottolineato «l’elevatezza e la profondità del pensiero teologico» di Newman, «tale da farlo rassomigliare ai più grandi Padri della Chiesa». Giudizio, questo, condiviso anche da Benedetto XVI. Anche perché, ha concluso Semeraro, «movente della sua ricca esistenza fu la fede eroica, la sua pietà profonda, il suo amore verso Dio e verso gli uomini, in una parola la sua santità». Anzi, come ha fatto notare Ornaghi nella sua breve introduzione, è proprio a partire dalla santità che si può comprendere l’opera di Newman. «La sua, infatti, è una testimonianza di fede e di vita cristiana che esce dalle pagine dei libri», per collocarsi sul piano dell’attualità culturale. E proprio su questo piano lo ha inquadrato l’editorialista del Corriere della Sera
Armando Torno. «Anticipatore per eccellenza – ha fatto notare – egli seppe prevedere, già nell’800, il pericolo del relativismo, affermando con forza che una verità esiste e che, al contrario, senza verità tutto si annulla». Newman, ha proseguito Torno, «è completamente attuale» anche per il suo modo di vedere il rapporto tra l’umano e il divino, per la sua sottolineatura dell’importanza delle fonti bibliche e per l’aggancio alla patristica, ma anche per le sue doti di comunicatore. Inoltre, ha concluso il senatore Marcello Pera, lo studio del suo pensiero «costituisce un ulteriore stimolo ad allargare i confini della ragione, non regalandone più il concetto in esclusiva agli scienziati». Proprio come chiede di fare il Papa, che non a caso di Newman è un grande estimatore.

© Copyright Avvenire, 30 ottobre 2009

giovedì, ottobre 29, 2009

Quando il «Times» canonizzò Newman

Pubblicati gli atti del convegno internazionale sul grande teologo inglese

Quando il «Times» canonizzò Newman


Il libro Una ragionevole fede raccoglie gli atti del convegno internazionale su John Henry Newman che si è svolto a Milano presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore il 26 e il 27 marzo 2009 (Milano, Vita e Pensiero, 2009, pagine 252, euro 20). Pubblichiamo quasi per intero la prefazione dei curatori.

di Evandro Botto e Hermann Geissler

Quando Newman fu elevato alla dignità cardinalizia (1879), scelse come motto le parole cor ad cor loquitur, il cuore parla al cuore. Tale motto ci presenta la figura di Newman come uomo di dialogo. In questo contesto può essere opportuno ricordare tre caratteristiche che hanno contraddistinto l'impegno dialogico di Newman.
La prima caratteristica è la passione per la verità. Sin dalla sua "prima conversione" (1816) Newman cercò la luce della verità e seguì questa "luce benevola" con grande fedeltà. Promosse il Movimento di Oxford (1833) per riportare la Chiesa d'Inghilterra alla libertà e alla verità delle origini. Si convertì al cattolicesimo proprio perché trovò in esso la pienezza della verità (1845). Nel suo lavoro su Lo sviluppo della dottrina cristiana scrisse: "Vi è una verità; vi è una sola verità; l'errore religioso è per sua natura immorale; i seguaci dell'errore, a meno che non ne siano consapevoli, sono colpevoli di esserne sostenitori; si deve temere l'errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l'acquisizione della verità non assomiglia in nulla all'eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla (...) Questo è il principio dogmatico, che è principio di forza". Newman fu un appassionato ricercatore e veneratore della verità: nell'impegno personale, nei rapporti con gli altri, nel confronto con le scienze, nella lotta contro la faziosità delle ideologie del suo tempo. In modo lungimirante presentì il sorgere e il diffondersi di teorie relativistiche, secondo le quali si danno soltanto opinioni diverse, non verità che richiedono un assenso incondizionato. Newman fu dominato dalla persuasione che la verità esiste, che solo dalla ricerca della verità fluisce il vero dialogo, che solo la verità ci fa autentici e liberi e ci apre la strada verso la realizzazione di noi stessi.
Tale passione per la verità spinse Newman a un costante impegno per la formazione integrale dell'uomo. Affermò in un sermone: "Voglio che un intellettuale laico sia religioso e un devoto ecclesiastico sia intellettuale". Quando gli fu affidata la responsabilità pastorale per i fedeli di Littlemore, presso Oxford, fece costruire in quel villaggio sia una scuola sia una Chiesa - segno eloquente del suo impegno per la formazione integrale delle persone. Nel suo saggio su L'idea di Università ribadì che le molteplici dimensioni del sapere formano un tutt'uno e non possono essere separate, frammentate. L'università ha il compito di offrire una formazione universale, non escludendo dal confronto sereno e aperto nessuna dimensione del sapere. Per Newman fu evidente che a detta formazione universale appartiene anche quella etico-religiosa, la quale possiede una sua propria razionalità, che va rispettata, difesa e promossa.
Quanto alla formazione dei fedeli laici, che gli stava molto a cuore, Newman scrisse: "Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nel parlare, non litigioso, ma fatto di uomini che conoscono la loro religione, che vi entrano dentro, che sanno benissimo dove si trovano, che sanno quello che possiedono e quello che non possiedono, che conoscono la propria fede così bene che sono in grado di spiegarla, che ne conoscono la storia tanto a fondo da poterla difendere. Voglio un laicato intelligente e ben istruito (...) Desidero che allarghiate le vostre conoscenze, coltiviate la ragione, siate in grado di percepire il rapporto fra verità e verità, che impariate a vedere le cose come stanno, come la fede e la ragione si relazionino fra di loro, quali siano i fondamenti e i principi del cattolicesimo (...) Sono sicuro che non diventerete meno cattolici familiarizzandovi con questi argomenti, purché manteniate viva la convinzione che lassù c'è Dio, e ricordiate che avete un'anima che sarà giudicata e dovrà essere salvata". Newman si distinse per uno straordinario impegno formativo, valorizzando pienamente lo sviluppo di tutte le scienze e ribadendo nel contempo il ruolo insostituibile che svolgono la fede e la morale per la crescita integrale della persona e per il bene della società.
L'impegno di Newman per la formazione trovò espressione in una terza caratteristica: la sua premura di stabilire relazioni personali. Guidando il Movimento di Oxford, ribadì l'importanza della testimonianza personale. In tutta la sua vita accompagnò molti nel loro cammino umano e spirituale. Scrisse più di ventimila lettere che costituiscono una prova impressionante del suo zelo per le anime, della sua capacità di dialogare e di relazionarsi con altri. Uno dei suoi Sermoni all'Università di Oxford si intitola Il contagio personale della verità. In tale sermone Newman parte dalla constatazione che nessuno può essere conquistato alla causa della verità con le sole argomentazioni razionali. La verità, così scrive, "è rimasta salda nel mondo non per virtù di un sistema, non grazie a libri o argomentazioni, non per merito del potere temporale, ma grazie all'influenza personale di uomini (...) che ne sono in pari tempo i maestri e i modelli". Newman invita tutti a occuparsi della verità sul piano della ricerca intellettuale, ma al tempo stesso sottolinea che influisce di più - sul permanere, sullo svilupparsi e sul comunicarsi della verità - colui che vive la verità e ne diventa un testimone. Scrisse circa la forza persuasiva di un tale testimone: "Mentre egli è sconosciuto al mondo, nell'ambito di quanti lo conoscono egli ispirerà ben altri sentimenti che non sia solita destare la mera superiorità intellettuale. Gli uomini illustri agli occhi del mondo sono molto grandi alla distanza. Avvicinati, rimpiccioliscono. Ma l'attrattiva che si sprigiona da una santità ignara di essere tale è di una forza irresistibile; persuade i deboli, i timidi, gli incerti, chi è alla ricerca della verità".
Non deve meravigliarci, pertanto, che, quando fu onorato con la porpora, Newman scelse, come motto, le parole cor ad cor loquitur. Secondo lui, la verità viene trasmessa soprattutto cor ad cor: in modo personale, tramite l'esempio, la fedeltà e l'amore di testimoni convinti e credibili.
Il processo di beatificazione di Newman, iniziato già nel 1958, era ormai prossimo a concludersi nel momento in cui si è celebrato il nostro convegno; a pochi mesi di distanza, in data 3 luglio 2009, Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante un miracolo, attribuito proprio all'intercessione del venerabile servo di Dio John Henry Newman. Fra qualche mese, quindi, verrà proclamato beato. L'avvenimento conferma e propone alla venerazione di tutta la Chiesa ciò di cui sono da sempre ben consapevoli studiosi e amici di Newman, e quanti si accostano senza pregiudizi alla sua figura e ai suoi scritti: il noto convertito inglese non fu soltanto un pensatore con doti eccezionali, ma un uomo nel quale la genialità del pensiero faceva tutt'uno con la santità della vita quotidiana.
Quando egli in tarda età sentì dire che l'avrebbero chiamato santo, scrisse: "Non sono portato a fare il santo, è brutto dirlo. I santi non sono letterati, non amano i classici, non scrivono romanzi. Sono forse, alla mia maniera, abbastanza buono, ma questo non è alto profilo (...) Mi basta lucidare le scarpe ai santi, se san Filippo in cielo avesse bisogno di lucido da scarpe". Lungo tutta la sua vita Newman pensò di essere ben lontano dalla perfezione cristiana. Ma dalla sua "prima conversione" la sua aspirazione fu tutta rivolta a Dio, che aveva riconosciuto come il fulcro della sua vita. Da allora in poi seguì due principi: "La crescita è la sola dimostrazione della vita" e "la santità piuttosto che la pace".
Il genio di Newman, sebbene sempre ammirato e venerato, fu riscoperto dal concilio Vaticano II, di cui è stato un precursore profetico. Jean Guitton scrisse in proposito nel 1964: "I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico. E come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati. Così Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman". Il Vaticano II ha recepito e consacrato tante intuizioni di Newman, ad esempio sul rapporto tra fede e ragione, sul significato della coscienza, sull'educazione universitaria, sul valore dei Padri e della storia in generale, sul mistero della Chiesa, sulla missione dei laici, sull'ecumenismo, sul dialogo con il mondo contemporaneo - grandi tematiche che vengono ampiamente trattate nel presente volume.
Nei pronunciamenti del Magistero postconciliare la dottrina di Newman viene continuamente valorizzata.
Basta menzionare alcuni documenti di particolare rilevanza dottrinale in cui si trovano riferimenti espliciti al pensiero di Newman: le Lettere encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio come anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, che contiene non meno di quattro testi di Newman (cfr. nn. 157, 1723, 1778, 2144) - un fatto notevole, perché di solito il Catechismo cita solo autori già canonizzati.
Accanto al suo pensiero forte, gli ultimi Pontefici presentano come esemplare anche la vita di Newman. Limitiamoci a citare tre testi significativi. In un discorso del 7 aprile 1975, rivolto ai partecipanti di un simposio accademico Paolo VI disse: Newman, "che era convinto di essere fedele tutta la sua vita e con tutto il suo cuore votato alla luce della verità, diventa oggi un faro sempre più luminoso per tutti quelli che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione sicura attraverso le incertezze del mondo moderno - un mondo che egli stesso profeticamente aveva preveduto".
In una lettera del 14 maggio 1979, indirizzata all'arcivescovo di Birmingham in occasione del centenario del cardinalato di Newman, Giovanni Paolo II scrisse: "L'elevazione di Newman a cardinale, come la sua conversione alla Chiesa cattolica, è un avvenimento che trascende il semplice fatto storico e l'importanza che ciò ha avuto per il suo Paese. I due eventi hanno inciso profondamente nella vita della Chiesa molto al di là dei confini dell'Inghilterra. Il significato provvidenziale e l'importanza di questi eventi per la Chiesa in generale sono stati più chiaramente compresi nel corso di questo nostro secolo. Lo stesso Newman, con visione quasi profetica, era convinto che egli stava lavorando e soffrendo per la difesa e la promozione della causa della religione e della Chiesa non solo nel periodo a lui contemporaneo ma anche per quello futuro. La sua influenza ispiratrice di grande maestro della fede e di guida spirituale viene percepita sempre più chiaramente proprio nei nostri giorni".
Il cardinale Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI, disse in una conferenza tenuta nel 1990, parlando del suo incontro con Newman nel seminario di Frisinga: "La dottrina di Newman sulla coscienza divenne per noi il fondamento di quel personalismo teologico, che ci attrasse tutti con il suo fascino. La nostra immagine dell'uomo, così come la nostra concezione della Chiesa, furono segnate da questo punto di partenza. Avevamo sperimentato la pretesa di un partito totalitario, che si concepiva come la pienezza della storia e che negava la coscienza del singolo. Goering aveva detto del suo capo: "Io non ho nessuna coscienza. La mia coscienza è Adolf Hitler". L'immensa rovina dell'uomo che ne derivò ci stava davanti agli occhi. Perciò era un fatto per noi liberante ed essenziale da sapere, che il "noi" della Chiesa non si fondava sull'eliminazione della coscienza, ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza. Tuttavia proprio perché Newman spiegava l'esistenza dell'uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l'anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all'individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all'arbitrarietà".
Nel famoso Biglietto-Speech, pronunciato in occasione del ricevimento della bolla di nomina a cardinale, Newman, guardando alla sua vita passata, confessò: "Nel corso di lunghi anni ho fatto molti sbagli. Non ho nulla dell'alta perfezione che si riscontra negli scritti dei santi, nei quali non ci possono essere errori; ma credo di poter affermare che in tutto ciò che ho scritto ho sempre perseguito nobili intenti, non ho cercato fini personali, ho tenuto una condotta ubbidiente, mi sono dimostrato disponibile a essere corretto, ho temuto l'errore, ho desiderato servire la santa Chiesa e ciò che ho raggiunto lo devo alla misericordia di Dio". Queste parole mostrano l'umiltà propria soltanto di un vero uomo di Dio.
Tutta la vita di Newman fu dedicata al servizio della verità e alla lotta contro il liberalismo religioso e morale (da non confondersi con il liberalismo politico), che considerava il più subdolo nemico della fede. Ebbe uno spiccato senso della vicinanza di Dio, valorizzò pienamente la ragione e le capacità naturali dell'uomo, compì il suo dovere con grande competenza e dedizione, amò la Chiesa e toccò la coscienza e il cuore di tantissime persone di ogni ceto sociale. Nei suoi ultimi anni condusse una vita di preghiera e di raccoglimento ancora più intensa. Per la fedeltà alla chiamata di Dio dovette sopportare innumerevoli sofferenze che resero più nobili e più carichi di attrattiva perfino i tratti del suo volto.
Il quotidiano londinese "The Times" pubblicò il giorno seguente la morte di Newman, avvenuta l'11 agosto 1890, un lungo elogio funebre che terminava con le seguenti parole: "Di una cosa possiamo essere certi, cioè che il ricordo di questa pura e nobile vita durerà e che (...) egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in Inghilterra (...) Il santo che è in lui sopravvivrà".


(©L'Osservatore Romano - 29 ottobre 2009)

mercoledì, ottobre 28, 2009

(Pic) Origami Tea Bags Designed To Expand As Tea Steeps

(Pic) Origami Tea Bags Designed To Expand As Tea Steeps: "

(Pic) Origami Tea Bags Designed To Expand As Tea Steeps
Russian designer Natalia Ponomareva has developed an origami bird tea bag concept, designed to expand as the tea steeps. While not yet in production, Ponomareva has expressed interest in making the concept available for commercial use."

martedì, ottobre 27, 2009

Zenit - Fabio Trevisan intervistato da Antonio Gaspari: il punto su tante cose (anche noi) e... una grande novità!!!

Zenit - Fabio Trevisan intervistato da Antonio Gaspari: il punto su tante cose (anche noi) e... una grande novità!!!: "Antonio Gaspari, mentore di Zenit, intervista il nostro Fabio Trevisan e c'è di tutto: noi (cioè la Società Chestertoniana Italiana), Uomini d'allevamento, nuove edizioni dell'opera di Chesterton, la 'santità di Chesterton' e, dulcis in fundo, una strenna natalizia cioè Il Breviario di un uomo vivo...

Uomini di allevamento, prodotti di qualità

In un libro ed un DVD Chesterton e le minacce moderne dell’eugenetica

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 26 ottobre 2009 (ZENIT.org).- L’editrice Fede & Cultura ha appena pubblicato il saggio di Fabio Trevisan dal titolo “Uomini di allevamento, prodotti di qualità. Nel mercato dell’eugenetica, la storia, la scienza, il dibattito”.

Il saggio parte dal noto scritto di Gilbert Keith Chesterton 'Eugenetica e altri mali' e ricostruisce la letteratura scientifica ed il clima culturale dell'epoca, anche attraverso l'analisi di altre opere significative dello scrittore londinese.

Per rimarcare l'attualità di quella corrosiva e ironica denuncia dell’eugenismo, Fabio Trevisan si è immaginato un confronto teatrale liberamente tratto dal saggio di Chesterton ed ha illustrato il rischio eugenetico che anche la nostra epoca sta attraversando.

Fabio Trevisan è un imprenditore appassionato di filosofia cofondatore dei “Gruppi Chestertoniana Veronesi”.

Sul grande scrittore inglese ha già pubblicato due saggi “Uomo vivo con due gambe” (2006) e “Il pazzo ed il re” (2007).

Insieme al libro è allegato un DVD in cui, mediante un'interpretazione teatrale, Chesterton si confronta con un eugenista.

Il DVD contiene anche una intervista al direttore de “Il Foglio” Giuliano Ferrara sulle questioni riguardanti l’eugenetica, il controllo delle nascite e il senso della vita.

Per saperne di più ZENIT ha intervistato Fabio Trevisan.

Come, dove e perchè Chesterton criticò l’eugenetica, che in quel tempo era autorevole e condivisa?

Trevisan: “Eugenics” (traducibile in Eugenica o Eugenetica) fu una parola introdotta nel linguaggio scientifico da Francis Galton nel 1883. L’eugenetica, che significa “buona nascita”, ebbe un effetto dirompente ed esercitò una forte attrazione sulla società di quell’epoca, perché sembrava potesse dare risposte scientifiche e fornire rimedi praticabili alla crisi sociale ed economica di quegli anni.

Chesterton, ad onor del vero, fu uno dei pochi che non si lasciò ammaliare dalle suggestioni potenti di quella nuova presunta scienza e ne denunciò apertamente gli esiti disumanizzanti e feroci; egli intuì che le libertà delle persone e delle comunità fossero in forte pericolo. Chesterton guardò piuttosto alle implicazioni positive dell’Enciclica “Rerum novarum” di Leone XIII del 1891.

“Eugenetica e altri mali” fu pubblicata da Gilbert Keith Chesterton nel 1922, nonostante che l’opera fosse stata pensata e scritta anteriormente al primo conflitto mondiale.

Perché lo scrittore inglese attese la conclusione di quell’ “inutile strage” (come la chiamò l’allora Pontefice Benedetto XV) per pubblicarla?

Trevisan: Chesterton confidava che le classi dirigenti inglesi ed occidentali, alla fine della guerra, non prendessero più a modello la Prussia, che aveva fatto dell’organizzazione scientifica e sociale una sua specialità. La critica allo spettro dell’eugenetica era una critica più generale alla mania moderna di scientificità e di rigorosa organizzazione sociale.

Cosa c’entrano Thomas Malthus e Charles Darwin con l’eugenetica?

Trevisan: Francis Galton (1822-1911) fu attratto dalla scoperta delle leggi dell’evoluzione e della selezione naturale del cugino Darwin a tal punto che ritenne, nella formazione della personalità dell’uomo, fossero preponderanti i caratteri biologici innati. Se vi fosse stata corrispondenza tra le qualità degli individui ed il loro corredo biologico ereditario, si sarebbe potuto migliorare la specie umana controllandone la capacità riproduttiva. In parole più semplici si sarebbe potuto avviare un’eugenetica positiva, ovvero una procreazione affidata alle persone più adatte e più agiate economicamente, culturalmente e socialmente.

Charles Darwin nel 1871 scrisse nell’ ”Origine dell’uomo”: “L’uomo ricerca con cura il carattere, la genealogia dei suoi cavalli prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, di rado o meglio mai, si prende tutta questa briga. Eppure l’uomo potrebbe mediante la selezione fare qualcosa, non solo per la costruzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio, quando sono deboli di mente o di corpo”.

Thomas Robert Malthus (1766-1834), economista e demografo inglese, esercitò una forte influenza su Darwin, soprattutto in merito alle teorie della lotta per la sopravvivenza e della sopravvivenza del più adatto. Malthus teorizzò il controllo delle nascite per impedire il temuto impoverimento dell’umanità ed insistette sull’urgenza di far desistere dallo sposarsi (eugenetica negativa) tutti coloro che non possedessero i requisiti minimi di sussistenza.

Chi erano i socialisti che sostennero le teorie eugenetiche e perchè Chesterton li criticò?

Trevisan: La pubblicazione nel 1859 dell’ “Origine delle specie” di Darwin assunse un peso importante nella scienza e negli ambienti intellettuali inglesi ed europei. Il movimento politico e sociale inglese della Fabian Society (Fabianesimo), istituito a Londra nel 1883, ebbe un’influenza consistente nella formazione del Labour Party (Partito Laburista).

Il Fabianesimo si prefiggeva come meta la graduale evoluzione della società attraverso riforme che avrebbero condotto al socialismo. Assai più noto è poi il fatto che Karl Marx (1818-1883) volesse dedicare a Darwin stesso il primo libro del “Capitale” dichiarandosi suo sincero ammiratore. Friedrich Engels (1820-1895), amico e finanziatore di Marx, così commentò l’interesse di Marx per Darwin: “Proprio come Darwin scoprì le leggi dell’evoluzione nella natura organica, Marx scoprì la legge dell’evoluzione nella storia umana”.

Come evidenziato, c’è un filo rosso che collega l’evoluzionismo all’eugenetica ed è il determinismo biologico ed il materialismo che annulla il libero arbitrio, la spiritualità e la dignità di ogni persona creata da Dio. Chesterton criticò questa deriva culturale e morale con le seguenti parole: “Una parabola letale che parte dall’evoluzionismo e arriva all’eugenetica”.

Ancora oggi alcuni sostengono la necessità di una buona eugenetica per migliorare la salute e la felicità della specie. Come rispose Chesterton e come risponderebbe lei?

Trevisan: Chesterton smascherò quale fosse il vero volto dell’eugenetica, ne colse in profondità le fonti e le denunciò apertamente con una lungimiranza tale che ancor oggi rimangono di una stringente attualità. Capì esattamente che l’eugenetica era essenzialmente un grave peccato, favorito pure dall’ “abnorme ingenuità” di quell’epoca.

Con accenti vibranti denunciò la tirannia dell’eugenetica come una rivoluzione contro l’etica dalle nefaste conseguenze. Difese con vigore la legge naturale, la legge non scritta che abita nel cuore dell’uomo e si appellò ad essa nel proteggere la vita dall’omicida eugenista. Comprese che era in atto un’autentica persecuzione contro la vita e la famiglia.

Per Chesterton la legge, la fede ed il senso comune avevano il compito primario di conservare e consolidare la famiglia. In merito alla “salute” ebbe delle intuizioni così profonde che meriterebbero ancor oggi un’analisi completa.

Per Chesterton la salute non era una cosa come il colore dei capelli o la lunghezza delle membra. La salute non era una qualità, ma una proporzione di qualità. Un uomo poteva essere alto e forte: ma la sua forza dipendeva dal non essere troppo alto.

Un cuore robusto per un nano poteva essere debole per una persona alta. Era così evidente che accoppiando due persone cosiddette sane (come avrebbero voluto gli eugenisti) si poteva produrre l’esagerazione chiamata malattia. Nulla poteva essere al di sopra dell’uomo, nulla tranne Dio.

In merito alla salute sfatò alcuni slogan che perdurano anche ai giorni nostri. “Non solo – scriveva Chesterton – la prevenzione non è meglio della cura: è peggio perfino della malattia”. “Prevenzione significa essere invalidi a vita, con l’esasperazione supplementare di godere ottima salute”. “Chiederò a Dio, ma non certo all’uomo, di prevenirmi in tutte le mie azioni”. Credo che queste affermazioni vadano riprese e considerate con serietà.

Personalmente penso che non dovremmo dimenticare come cristiani quale sia il nostro fine ultimo e che dovremmo preoccuparci di salvare la nostra anima e possibilmente aiutare anche le altre persone a salvare la propria. “Salute” e “felicità” vanno comprese in una visione antropologica come unità sostanziale di anima e corpo, seconda la dottrina perenne di S.Tommaso d’Aquino.

Credo che la scienza, in quanto tale, debba porsi dei limiti precisi. Mi spiego meglio con un esempio: sulla mia gamba rotta il medico ha tutti i diritti e doveri di aggiustarla; una volta aggiustata, non può venirmi ad insegnare a camminare, perché questo l’abbiamo imparato, io e il medico, nella stessa scuola, dalla nostra mamma e nella nostra casa natale.

Nonostante gli orrori generati nella storia umana, ancora oggi è forte la tentazione di praticare politiche eugenetiche: aborti selettivi, clonazione, sperimentazione sui concepiti, eliminazione dei deboli e dei disabili ….Forse la minaccia non è stata compresa? Oppure vengono utilizzate tecniche sofisticate di “antilingua” e relativismo per far accettare pratiche eugenetiche senza che la gente si accorga della gravità dell’atto?

Trevisan: Chesterton deplorò il linguaggio positivista della sua epoca. Nelle parole “regressione” e “degenerescenza” egli vide che lasciavano trasparire un disegno eugenetico e razzista. Infatti il timore di una degenerazione biologica della specie umana spinse molti governi a provvedere con misure legislative e pratiche, scatenando un’intensa attività eugenetica.

Migliaia di persone furono sterilizzate dando persino del denaro. L’eugenismo tuttavia non è finito. Certo, al posto degli slogan sulla purezza razziale, i nuovi eugenisti parlano più pragmaticamente di un’economia più efficiente, di migliori prestazioni e di una migliore qualità della vita. Questa nuova e malvagia eugenetica trova sostegno nell’edonismo compiaciuto e diffuso di molta gente ed è a disposizione per l’accresciuta tecnologia del mercato.

L’aborto terapeutico, il family planning organizzato, la diagnosi pre-impianto, l’inseminazione artificiale sono tutti strumenti messi a disposizione del mondo medico e dell’industria. Conditi con parole rassicuranti vengono veicolate attraverso la manipolazione del consenso operata dagli apparati mediatici, culturali e finanziari; in questo modo “soft” non vengono neppure concepiti come orrori né tantomeno come errori e peccati. Sir Francis Crick, uno degli scopritori della struttura del DNA, ha affermato che: “Nessun bambino appena nato dovrebbe essere riconosciuto uomo prima di aver passato un certo numero di test riguardanti la sua dote genetica”.

Jacques Testart, l’artefice nel 1982 della prima bambina in provetta francese, ha scritto: “Ci incamminiamo verso una vera e propria possibilità di scelta del figlio a venire, grazie alla genetica diagnostica. Così le coppie non lo faranno più stupidamente a caso, come hanno sempre fatto”.

La minaccia non è stata compresa? Non credo che sia percepita nella reale dimensione. Fiumi di sangue innocente si stanno versando giorno dopo giorno e sembra che tutto sia inarrestabile. Non c’è solo l’olocausto degli ebrei nei deprecabili lager nazisti: ricordiamoci anche dell’olocausto dei bambini non nati per pratiche abortive!

Quanto sono attuali queste opere di Chesterton e che cosa pensa del comitato che vorrebbe introdurre una causa di beatificazione del noto scrittore?

Trevisan: Come ha detto il Card. Giacomo Biffi, Chesterton è stato un dono fatto direttamente da Dio alla cattolicità e all’umanità intera. Come possiamo rifiutare questo dono? Innanzitutto dovremmo tradurre e pubblicare le sue opere (in italiano tuttora sono state tradotte circa 1/6 delle sue opere).

Solamente piccole e nobili case editrici (Fede&Cultura, Morganti, Rubbettino, Raffaelli ecc.) stanno provvedendo a colmare questa lacuna. Dovremmo poi adoperarci con iniziative pubbliche per farlo conoscere (la meritoria Società Chestertoniana Italiana da anni allestisce il “Chesterton Day”, ma quanti lo conoscono?).

Ci sono Gruppi Chestertoniani che lavorano da anni (in particolare a Verona), ma ancora non è sufficiente. L’attualità delle opere di Chesterton costituisce un bene prezioso per l’approfondimento di molte tematiche di scottante attualità (le radici cristiane e l’islam, la difesa della vita e dell’ortodossia, il concetto di scienza e la difesa della famiglia).

Il tutto con un linguaggio profondo e ricco di sano humour cristiano. Per quanto riguarda la causa di beatificazione sono molto onorato di aver studiato per anni l’opera di un possibile Santo della Chiesa Cattolica e mi azzardo a dire, assumendone totalmente la responsabilità, che potrebbe diventare un futuro Dottore della Chiesa (penso ad opere importanti quali “Ortodossia” e “L’uomo eterno”).

In tal senso stiamo lavorando alla pubblicazione con l’editrice Fede&Cultura di un Breviario in suo onore, composto di preghiere e meditazioni tratte dalle sue opere. Si chiamerà “Il Breviario di un uomo vivo” e sarà pronto per il prossimo Santo Natale.


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lunedì, ottobre 26, 2009

Dublino: OneMoreTune e la passione per la musica




OneMoreTune.ie è il primo sito di video interviste interamente dedicato alla scena musicale di Dublino, irlandese ed internazionale.
Rossella e Luisella sono le creatrici di questa attività: zero budget, esperienza di making video tutta da consolidare, nessuna strategia di marketing, eppure OneMoreTune riesce a decollare. Irlandiani.com ha deciso di intervistarle per scoprire un pò di più di questo progetto originale.
Qui.

sabato, ottobre 24, 2009

Italians in Ireland

Oggi pomeriggio, presso l'Istituto Italiano di Cultura di Dublino, verrà presentato il volume Italians in Ireland: storie, successi e personaggi di un popolo in movimento.
L'iniziativa si inserisce all'interno della IX Settimana della lingua italiana nel mondo.
Il volume è stato curato da Francesco Dominoni, direttore del sito irlandiani.com , e contiene un capitolo dedicato al sottoscritto.

giovedì, ottobre 22, 2009

Benvenuti

Un saluto a quanti sono arrivati qui seguendo la segnalazione che lycopodium ha lasciato sul blog di Luigi Accattoli. E un ringraziamento a lycopodium per la sorpresa.
Sulla questione anglicana potete trovare continui aggiornamenti nella colonna a destra.

mercoledì, ottobre 21, 2009

Oggi è un trionfo per Gilbert

Oggi è un trionfo per Gilbert: "Cari Amici,

quanti avranno aperto oggi i giornali avranno letto la notizia della Costituzione Apostolica per accogliere gli anglicani nella Chiesa Cattolica, voluta da Papa Benedetto per regolamentare un flusso non più capitario ma massivo di intere comunità che vogliono 'tornare a Roma', come avrebbe detto Gilbert.

E' molto bello vedere questo passo di Benedetto XVI che chiama a raccolta chiunque ami davvero la propria vita tanto da non voler rinunciare alla Verità tutta intera. E' altrettanto bello vedere come stamattina Gilbert sia tornato per un giorno letteralmente sulla bocca di tutti (non solo di noi suoi amici!) insieme all'altro grande, il cardinale John Henry Newman, oramai prossimo alla beatificazione, tra i primi di una lunga serie di uomini coraggiosi e amanti della Vita.

Egli (come pure il servo di Dio John Henry Newman) è citato come esempio della numerosa schiera di uomini che hanno voluto ripercorrere il sentiero verso Roma (The path to Rome, con le parole di un libro di Chesterton). Pensate che gioia!

Gilbert è stato tutta la vita avanti di almeno cento anni a tutti, e continua così.
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martedì, ottobre 20, 2009

Anglicanism: City of Confusion

Un articolo dalla New Oxford Review per capire le vicende anglicane ed i rapporti con la Chiesa Cattolica.



ANGLICANISM: City of Confusion

Some say it began this July. Others say it started in 2003. Some say it began in 1989; some say 1988. Some say 1976; still others 1930. But the demise of Anglicanism could be said to have truly begun in the 1530s, when King Henry VIII in effect "nationalized" the Catholic Church in England in order to divorce his wife, Catherine of Aragon, thus inaugurating what would eventually become known as the Anglican Communion, currently home to 77 million souls worldwide.

It was in 1930 that the Anglican Communion approved artificial contraception for married couples. In 1976 the Communion approved the ordination of women. In 1988 the Communion paved the way for female bishops. In 1989 the first openly homosexual man was ordained an Anglican priest. In 2003 the first openly homosexual man was consecrated an Anglican bishop.

This July, in defiance of a 2006 moratorium, the Episcopal Church (TEC; formerly ECUSA), the U.S. branch of the Anglican Communion, approved a resolution to continue consecrating homosexual bishops. So now there is a lesbian candidate for the Anglican bishopric of Minnesota, and a "gay" male and another lesbian candidate for the assistant bishopric of Los Angeles.

Since the 2003 consecration of "Vicky" Gene Robinson, an open and active homosexual, as Anglican Bishop of New Hampshire by TEC, the Anglican Communion has been experiencing a deepening crisis, an increased fracturing. Alternative Anglican groups have sprung up worldwide, including the Anglican Church in North America this year, a more traditionally minded alternative to TEC that is seeking recognition from Canterbury, England, the primary "see" of the Anglican Communion.

Cries of "schism" have been hurled with greater frequency at TEC since its July resolution for thumbing its nose at Anglican "authority." Prominent Anglican biblical scholar N.T. Wright, Anglican bishop of Durham, England, has compared the situation to a "slow-moving train crash" (The Times, July 15), saying that TEC has made a "clear break" from the Anglican Communion and has "formalized the schism they initiated six years ago when they consecrated a divorced man in an active same-sex relationship [Gene Robinson], against the [Anglican] Primates' unanimous statement that this would 'tear the fabric of the Communion at its deepest level.'"

Austen Ivereigh, in a synopsis of the situation in Our Sunday Visitor (Aug. 9), writes that "schism" is "the wrong word for what is taking place." The Anglican Communion, he says, is "not sufficiently united to constitute a body from which the TEC can separate: It is a loose federation of self-governing churches with only the office of the archbishop of Canterbury and the once-a-decade gathering of bishops at Lambeth as its 'instruments of unity.'"

Whichever way you cut it, and whenever it began, the Anglican train has jumped the tracks and is careening toward destruction. Rowan Williams, archbishop of Canterbury, the de facto "head" of the Anglican Communion, went into damage-control mode after learning of TEC's latest move. In a statement released July 27, Williams countered that it is "hard to see" how homosexuals can "act in the necessarily representative role that the ordained ministry, especially the episcopate, requires," given that same-sex unions are not authorized by the Communion. At least not yet. TEC has also passed a resolution authorizing the blessing of same-sex "marriages."

To stave off what most observers consider certain doom, Williams has proposed a "two-track model" for the Anglican Communion. In Williams's vision, the Communion would be split into a bifurcated entity with regional bodies that "share certain aspects of a vision of how the Church should be and behave" and which sign a "covenant" pact on biblical orthodoxy on one track, and "associated" bodies that refuse to sign the covenant but still retain a "less formal" partnership with "fewer formal expectations" on the other track. Williams figures that "both 'tracks' should be able to pursue what they believe God is calling them to be as Church, with greater integrity and consistency," while still maintaining at least the outward appearance of unity. Presto, no "schism."

But can a single train run on two divergent tracks?

Williams claims that there are "two styles of being Anglican." Why stop at just two? Maybe there are three ways of "being Anglican," or fourteen, or fifty, or six thousand -- or even 77 million ways of "being Anglican." Once one rupture is tolerated and absorbed, it won't be long before others demand similar recognition.

The famed Catholic convert from Anglicanism, John Henry Cardinal Newman, the leading luminary of the 19th-century Oxford Movement, once referred to the Anglican system as a "City of Confusion." His words ring truer now than when he first uttered them. Confusion reigns in the Anglican Communion; its identity is rent, its future uncertain, its doctrinal divisions deep. And poor Archbishop Williams wants desperately to paper it over for the sake of a superficial unity. How are Catholics to look upon this new Anglican dilemma? There are two schools of thought.

According to Rome correspondent Sandro Magister, Archbishop Williams enjoys "widespread respect and sympathy" among the Catholic hierarchy (Chiesa, Aug. 3). Williams appealed to the Vatican for support for his "two-track" proposal and it was granted him: An article in L'Osservatore Romano, the official Vatican newspaper, ran a sympathetic summary of his proposal the day after its release; and Walter Cardinal Kasper, president of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity, released a statement the following day in which he prayed that the Anglican Communion might "maintain its unity and its witness to Christ as a worldwide communion." The thinking is that a unified Anglican Communion offers a greater possibility for "corporate reunion" -- i.e., the movement of the entire body (or a significant part) of the Anglican Communion into the Catholic Church.

This is a wish devoutly to be hoped for. Cardinal Newman, who while an Anglican held out similar hope, took a dim view of the idea of corporate reunion after his conversion. He called it "a dream" to think of "uniting the two religions." Yes, he came to consider Catholicism and Anglicanism to be different religions, rejecting the theory that Anglicanism is a via media between Catholicism and Protestantism. That is, he saw Anglicanism as nothing more than mere Protestantism, but with more alluring ritual paraphernalia. Each of its recent decisions against tradition and biblical standards has been a step further away from its Catholic origins. Among the harsh epithets Cardinal Newman reserved for the Anglican Communion (identified then as the Church of England) were "a tomb of what once was living," "a casket of treasures which has been lost," and "the veriest of nonentities."

Anne Barbeau Gardiner, in her review of the late Newman scholar Fr. Stanley L. Jaki's book Newman to Converts (NOR, May 2002), wrote that "schemes of reunion can jeopardize the salvation of a soul in the sense that someone on the brink of entering the Catholic Church might be tempted to work toward, and wait for, corporate reunion, thus letting the moment of grace slip away forever."

Fr. Jaki himself wrote that "genuine union with Rome, in the form of individual conversions, was the sole logical goal of the Oxford Movement" ("The Malines Conversation & What Was Malign There," NOR, Jul.-Aug. 2002; italics added). In fact, writes Fr. Jaki, Newman predicted in 1877 that Anglicanism would "fall more and more prey to agnosticism and infidelity." Again, his assessment of his former tradition turned out to be right on the money. It was imperative, Newman felt, to "run to the aid of all Anglicans before most of them had lost their Christian standing." How long before it is too late?

Cardinal Newman is the man for this moment in history. It can hardly be a coincidence that the cause for his canonization is proceeding full steam ahead. On July 3 the Vatican's Congregation for the Causes of Saints announced that Pope Benedict XVI approved the authentication of a 2001 miracle realized through the intercession of Cardinal Newman. Deacon Jack Sullivan of Boston, who suffered from a crippling spinal disorder, prayed for Newman's intercession after watching an EWTN program about the venerable Cardinal. Deacon Sullivan awoke the next morning free of pain. Eight months later the pain returned, and he again prayed for Newman's intercession. Once more the pain disappeared. Doctors could find no natural explanation for the cure. A lengthy Vatican investigation verified its supernatural origin.

Cardinal Newman's beatification is now certain; advance reports from Rome indicate that it will take place in early 2010. Newman's canonization must wait until a second miracle is verified by the Pope.

Pope Pius XII once said, "You may be sure, Newman one day will become a Doctor of the Church." For this to happen Newman must first be beatified and canonized. For these to occur miracles must be obtained through his intercession. This will only happen, Fr. Jaki said, once "enough Catholics" begin to "pray for miracles with an intensity that alone secures a positive response from Heaven" ("Newman: Myth & Facts," NOR, Nov. 2001).

Cardinal Newman once described the Anglican system as "a palace of ice, hard and cold as were they, and when summer came, it all melted away." We are perhaps witnessing the melting away of Anglicanism. We can only hope that the runoff flows into the Tiber and the floundering souls find their true home in the Catholic Church, which Newman posited as "the Mother of Saints" over against the Anglican "City of Confusion."

domenica, ottobre 18, 2009

GUARDATE CHE SPETTACOLO LA COPERTINA DE LA SFERA E LA CROCE...

GUARDATE CHE SPETTACOLO LA COPERTINA DE LA SFERA E LA CROCE...: "
Amici Chestertoniani,

guardate che spettacolo la copertina de La Sfera e la Croce!

Bravissimi gli amici di Morganti che continuano ad ammannirci ricchezze chestertoniane a piene mani!

Siamo loro grati non solo perché ci permettono di rileggere Chesterton dopo decenni di astinenza e di ricerche spasmodiche sul web e in bancarelle di libri vecchi esauriti ed usati, ma anche perché le traduzioni di Paolo Morganti sono molto belle ed appetibili.

Poi dovremmo far loro un monumento equestre per averci ridato Uomovivo!

Qui trovate la descrizione del libro, nel bel sito rinnovato di Morganti Editori.

Quest'opera è bellissima, e farà il paio con L'Incredulità di Padre Brown sempre in uscita per Gennaio 2010.

RICORDIAMO A TUTTI CHE I SOCI IN REGOLA COL PAGAMENTO DELLA QUOTA ANNUALE (RIDICOLISSIMI DIECI EURO, RIDICOLI RISPETTO ALL'IMMENSO PRIVILEGIO DI CHIAMARSI AMICI PERSONALI DI GILBERT) HANNO DIRITTO ALLO SCONTO DEL 15% E LE SPESE DI SPEDIZIONE A CARICO DELL'EDITORE ACQUISTANDO DUE TITOLI DELLA COLLANA 'CHESTERTONIANA' DI MORGANTI EDITORI.
NON E' POCO E LE EDIZIONI NUOVE (ANCHE SE A CASA SI HANNO QUELLE VECCHIE) VALGONO LA PENA, PAROLA DI UOMO VIVO (ANCHE SOLO PER LE SPLENDIDE COPERTINE, ANCHE SOLO PER VEDERE VOLARE INNOCENT SMITH, ANCHE SOLO PER VEDERE FISICAMENTE IL LITIGIO 'AEREO' DEI PROTAGONISTI DE LA SFERA E LA CROCE...!) CHE LE HA TUTTE!
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venerdì, ottobre 16, 2009

Alasdair MacIntyre on Newman: Education, Conscience and Faith today

Alasdair MacIntyre on Newman: Education, Conscience and Faith today: "
Alasdair MacIntyre (Credit: Sean O'Connor)

Alasdair MacIntyre (Credit: Sean O'Connor)


The distinguished British philosopher Alasdair MacIntyre has recently reflected on Newman, both to the Cause, concerning Newman’s Beatification, and more widely in his latest book God, Philosophy, Universities (2009).


Self-knowledge and conversion


In making a stimulating contribution to the Cause site’s series of notable reactions to Newman’s Beatification, Professor MacIntyre emphasised the personal quality in Newman by which how we understand and receive him holds up a mirror in which we can see ourselves more truthfully. ‘When one reads Newman’, Professor MacIntyre explains, ‘one confronts arguments, is engaged by insights, and is challenged by searching theses and questions. But if one reads Newman with anything like the same seriousness that Newman brought to his writing, there is always more to the encounter. There is always Newman himself, concerned for his readers, anxious that his words might make them better able to see things as they are, including themselves.’


In the moral and spiritual urgency with which Newman speaks to us, Professor MacIntyre reads a determination that ‘habit, familiarity and prejudice should not prevent us from being open to the truth, including the truth about ourselves’. In this way, reading Newman complacently, finding in him only what flatters or confirms our existing thoughts and feelings, is to miss the profoundly inter-personal challenge which Newman intends, by which we must be open to being ’surprised and, if necessary, upset’.


In a striking passage, Professor MacIntyre links this quality in Newman to the ‘very different temperament and style of St Philip Neri.’ Despite their differences, MacIntyre suggests that in both men we experience not merely historical characters but an unmistakable contemporary presence. ‘Both of them inhabit the same modernity that we do, speaking to our own time as to their own in ways well-designed to inform, but also to transform us.’


In both St Philip and in Newman, in other words, the depths at which they seek to influence us unite intellectual, moral and spiritual considerations in ways which are inseparable from the call to conversion.


The enemies of Conscience


In God, Philosophy, Universities Professor MacIntyre develops these themes in reflecting on Newman’s work in founding and shaping the Catholic University in Dublin. According to MacIntyre, in his reflections upon education Newman was reacting to ‘the intellectual plight of Catholics in a culture … that was … alien and inimical to Catholic thought’ (p. 136).


But at the same time, MacIntyre suggests, it was not Newman’s way to deal with this by isolating Catholics from the battlegrounds of science and philosophy. Retreating to an ecclesiastical Catholicism, devotional and philanthropic in character but, in its attitude towards secular reason, either uncomprehending or tacitly compliant, was an impossibility for Newman.


What was necessary was to get under the skin of secular reason, to show how the atheism it propagates originates not in reason properly understood, but in a moral debility created by ignoring or overriding conscience. For Newman, it is by following conscience that we learn to reason properly and truthfully. But where obedience to conscience is lacking, reasoning will take us in any direction that fallen human nature may dictate.


‘Conscience’, Newman wrote, ‘is the essential principle and sanction of Religion in the mind’ This is the key to Newman’s personal challenge to his readers, then and now. Because conscience was at the heart of Newman’s own reasoning, his writings have the power, as Professor MacIntyre puts it, of disclosing the ways ‘in which we attempt to protect ourselves from the authoritative demands of conscience … in which we resist acknowledging the authority of conscience and, if Newman is right, the authority of God’ (p. 141).


This is pre-eminently Newman’s argument for the reality of the Divine. Acknowledging the inconclusiveness of rational arguments divorced from moral preparation of heart, MacIntyre shows how Newman focused on cultivating the ‘awareness of God [which] is natural to human beings [and] is something every human being is capable of achieving, if only they focus their attention adequately’ (pp. 141-42).


For Newman, this awakening and cultivation of conscience ought to be at the heart of Catholic education. Beyond that, it should also be at the heart of the Church’s evangelisation of contemporary culture. ‘Since the inward law of Conscience brings with it no proof of its truth,’ Newman writes, ‘and commands attention to it on its own authority, all obedience to it is of the nature of Faith’. In this obedience we learn the independence from secularism, popular opinion and the tyranny of the State, which for the Christian mind is essential in its relationship to the modern world. In obedience to conscience we learn that because, in Newman’s words, ‘the sense of right and wrong … is so delicate, so fitful, so easily puzzled, obscured, perverted’, therefore ‘the Church, the Pope, the Hierarchy are, in the Divine purpose, the supply of an urgent demand’. As Newman explains of conscience: ‘certain as are its grounds and its doctrines as addressed to thoughtful, serious minds, [it] needs, in order that it may speak to mankind with effect and subdue the world, to be sustained and completed by Revelation’.


Conscience, in Newman’s famous phrase, is ‘the aboriginal Vicar of Christ’; fidelity to the Vicar of Christ in His Church, to the Pope and his teaching, are the completion of conscience and its consummation.


Authentic Catholic Education


These, then, are Newman’s priorities in his reflections upon Catholic education. Catholics need not retreat in the least from confronting secular knowledge and speculation, provided that their consciences have been formed according to the authentic teaching of the Church. Both things are necessary. Without intellectual integrity, education will degenerate into social engineering. Without conscience and the Faith, in Professor MacIntyre’s words, ‘even the best university education may result in a peculiarly dangerous form of bad character, that in which the cultivation of the mind, independently of religion’ makes conscience degenerate into ‘mere self-respect’.


These twin dangers have an obvious bearing on contemporary educational dogmas, especially perhaps on the State’s vision of education in human relationships and sexuality. Both intellectually and morally the Church’s vocation in education is to oppose such distortions.


Intellectually, as MacIntyre shows, Newman’s understanding of education departs radically from the politically-motivated model currently in vogue. For Newman, MacIntyre explains, ‘the aim of … education is not to fit students for this or that particular profession or career, to equip them with theory that will later on find useful applications to this or that form of practice. It is to transform their minds, so that the student becomes a different kind of individual, one able to engage fruitfully in conversation and debate, one who has a capacity for exercising judgement, for bringing insights and arguments from a variety of disciplines to bear on particular complex issues’ (pp. 147-48). Independence of mind, rather than compliance with socio-economic expectations, is the goal of education.


Morally, the degeneration of conscience into ‘mere self-respect’ leads not to authentic moral understanding but to ‘a fastidious self-regard, a wish to be able to think well of oneself’ (p. 148). This, MacIntyre suggests, is a ’simulacrum of morality’ (ibid). Of people who have fallen under this influence, Newman writes: ‘When they do wrong, they feel not contrition, of which God is the object, but remorse, and a sense of degradation. They call themselves fools, not sinners’. This danger is clear in the modern tendency, even in Catholic education, to substitute, for the authentic language of sin and repentance, the categorisation of conduct as ‘appropriate’ or ‘inappropriate’, and in the tendency to equate morality with what makes a person ‘feel good’ about him or her self.


Newman’s prophetic witness to his contemporaries, Professor MacIntyre implies, is what makes him speak so powerfully to our own times. ‘What gave Newman’s story a huge interest for many of his educated contemporaries, Catholic and non-Catholic alike’, MacIntyre says, ‘was the extraordinary character of Newman’s mind, character, and intelligence. This was someone of high intellectual powers, of notable integrity, someone well aware of the claims of the Enlightenment … someone who understood what was at issue in contemporary philosophical debate, someone with a distinctively modern sensibility and literary style, who, at a time when Catholicism seemed to be intellectually impoverished and unable to come to terms with the claims made in the name of secular reason, had identified himself with the Catholic faith’ (pp. 137-38).



Alasdair MacIntyre


Professor Alasdair MacIntyre was born in Glasgow in 1929 and educated at the Universities of London, Manchester and Oxford. He was a Fellow in Philosophy at University College Oxford before moving to the United States, where he held Chairs at various Universities before becoming in 2000 the Rev John A O’Brien Senior Research Professor in the Department of Philosophy and Senior Research Fellow in the Centre for Ethics and Culture at the University of Notre Dame, Indiana. Among his earlier publications are Marxism: An Interpretation (1953), The Unconscious: A Conceptual Analysis (1958 reprinted 2004), A Short History of Ethics (1966 reprinted 1998) and a collection of essays, Against the Self-Images of the Age: Essays on Ideology and Philosophy (1971). Beginning in 1981 with After Virtue, MacIntyre has published a series of books which have had an enormous influence on moral philosophy: Whose Justice? Which Rationality? (1988), Three Rival Versions of Moral Enquiry (1990) and Dependent Rational Animals: Why Human Beings Need the Virtues (1999). In these works MacIntyre has progressively argued for and articulated a revival of Aristotelian and Thomist accounts of rationality and conduct, in response to what he sees as the uprooted and fragmented condition of post-Enlightenment philosophical ethics. In his emphasis upon the incommensurability of rival accounts of rationality and the intellectual and moral unity of traditions of enquiry and reflection, it can be argued that MacIntyre has been significantly influenced by Newman, who however appears explicitly and at length only in his most recent book, God, Philosophy, Universities (2009), reflecting material MacIntyre has been teaching at Notre Dame since 2004.



To read more reactions to Newman’s Beatification, click here.


To read about Newman, President Obama, and the University of Notre Dame, click here.


To read our editorial responding to the Tablet, click here.


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The resurgence of the subversive G. K. Chesterton

The resurgence of the subversive G. K. Chesterton: "
David Paul Deavel, an associate editor of LOGOS: A Journal of Catholic Thought and Culture and a contributing editor to Gilbert Magazine, traces the 25-30 year history of the rediscovery and renewed appreciation of Chesterton:
A prophet is never welcome in his own hometown. For a long time after the tumult of the Sixties, G. K. Chesterton's writings seemed to have lost a welcome anywhere, except, perhaps, among the detective fiction enthusiasts who have kept the Father Brown tales in circulation continuously on both sides of the Atlantic. According to Denis J. Conlon, an English literary scholar who has specialized in Chesterton for many years, much of Chesterton's work is still out of print and hard-to-get in his own merry England. A friend of mine studying in Rome a few years ago told me that the English and Irish Catholic seminarians he met almost universally regarded Chesterton a pre-modern, pre-Vatican II embarrassment. The situation was about the same in America for a long time. As of 1985 there were probably fewer than ten of Chesterton's books in print, and those were, aside from his detective fiction, mostly published by small and often obscure Catholic presses.

The situation was bound to change, however, as this particular prophet still had his faithful remnant, about thirty-five of whom (at most) met throughout the Eighties and early Nineties in Milwaukee every year and exchanged news and views in a little rag called the Midwest Chesterton News. On the more scholarly side, Ian Boyd, a priest and literary scholar, had since 1974 been running the Chesterton Review, a literary quarterly that printed forgotten pieces by Chesterton as well as scholarly essays on his life, thought, and interlocutors. Ignatius Press, a small but growing outfit run by Joseph Fessio, sj (one of Joseph Ratzinger's doctoral students), decided to publish a collected works with scholarly introductions and footnotes that will eventually number roughly 50 volumes. And newly emerging publications like Crisis, New Oxford Review, and First Things quoted Chesterton incessantly and sometimes ran articles about him. He even began popping up in Christianity Today, where he had fans in Philip Yancey and Charles Colson.

Here one might briefly note the role of Christian rock in the revival of Chesterton in America. One of the younger people traveling to Milwaukee in those lean years was a young Baptist named Dale Ahlquist. While in college in the late Seventies, Ahlquist spent some time at the home of his sister and then brother-in-law working for the summer. His sister's husband, the so-called godfather of Christian rock, was the late Larry Norman. Norman found Ahlquist reading a book by C. S. Lewis and asked if he was familiar with Chesterton. Upon discovering that he wasn't, Norman cryptically remarked that after reading Chesterton one doesn't even "need" Lewis anymore.
Read the entire piece on the Books & Culture site. Ahlquist's interview with Larry Norman is available online.

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Seeing With the Eyes of G.K. Chesterton | Dale Ahlquist


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Chesterton and the Delight of Truth | James V. Schall, S.J.


The Life and
Theme of G.K. Chesterton
| Randall Paine | An Introduction to The Autobiography of G.K. Chesterton


Hot Water and Fresh Air: On Chesterton and His Foes | Janet E. Smith


ChesterBelloc | Ralph McInerny


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lunedì, ottobre 12, 2009

La versione integrale della recensione di Uomovivo a cura di Paolo Pegoraro

La versione integrale della recensione di Uomovivo a cura di Paolo Pegoraro: "

Autobiografia di un rivoluzionario

Torna il romanzo-capolavoro di Chesterton: “Uomovivo”

di Paolo Pegoraro*

ROMA, mercoledì, 7 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Continua la primavera italiana di Chesterton. Dopo la riedizione di L’uomo eterno (Rubbettino), fuori commercio da oltre 70 anni, le doppie nuove traduzioni del San Francesco d’Assisi e del San Tommaso d’Aquino (Mursia, Lindau, Fede&Cultura), torna finalmente il suo romanzo-capolavoro: Uomovivo (Morganti, pp. 251, € 15). Era riapparso nel 1997 per Piemme nella traduzione, pure pregevole ma ormai stagionata (1933), di Emilio Cecchi.

In questa nuova versione di Paolo Morganti la preoccupazione filologica è ben presente fin dal titolo – l’originale è Manalive, cioè proprio Uomovivo – finora tradotto con Le avventure di un uomo vivo. E dire che lo stesso Chesterton dava grande importanza a questo soprannome del suo protagonista, tanto da precisare: «dovete scriverlo tutto attaccato, oppure lui si arrabbia davvero».

Ma chi è, dunque, questo “Uomovivo”? È Innocent Smith, vitale come una scimmia, fisico colossale e testa piccola, che compare d’improvviso in una locanda dove un pugno di giovani inquilini spreca la propria esistenza nell’indecisione. Smith è bufera umana. Al suo passaggio, folle e smisurato, avvengono episodi inspiegabili: improvvise proposte di matrimonio, furti, rapimenti e pistolettate a chi non festeggia il proprio compleanno.

L’onda di avvenimenti anomali preoccupa le autorità e alla pensione viene improvvisato un processo surreale per capire chi è Innocent Smith. Un rivoluzionario, uno «che ha spezzato le consuetudini, ma ha conservato i comandamenti», come vuole la difesa? Oppure – come sostiene l’accusa – uno che «ha lasciato nel mondo, dietro di sé, una lunga scia di sangue e di lacrime», un «grande diavolo fantastico» da rinchiudere in una fortezza protetta da cannoni? Due posizioni inconciliabili, assolute. Da teodicea. E in effetti viene da chiedersi se Innocent Smith non sia in una certa misura una figura tipologica di Cristo, l’unico innocente, che non apre bocca mentre lo processano.

D’altra parte la metafora del processo metafisico – tanto cara a Dostoevskij, Kafka, Lagerkvist o Wiesel – torna spesso nella narrativa di Chesterton (L’uomo che fu giovedì, la conclusione di Il club dei mestieri stravaganti, Quattro candide canaglie,...). Ma i suoi romanzi finiscono con improvvisi proscioglimenti da ogni accusa. Allegre assoluzioni.

Chi è, allora, Innocent Smith? Certamente non il coniuge di Mary Poppins, sua caramellosa caricatura. Perché Smith è innocente, ma non ingenuo. Anzi, è genuino proprio perché non è ingenuo. Cani e bimbi – invocati dal suo avvocato nel finale – sono ingenui, perché non possono scegliere il male; mentre Smith è innocente perché ha conosciuto la malattia nichilista, ma ha optato coraggiosamente per un’altra strada.

Nelle pagine immortali che raccontano la disputa dell’ancora giovane Smith con il suo professore universitario, il pessimista Emerson Eames, si percepisce un’impellenza straordinaria, palesemente autobiografica. Perché Smith prende sul serio la filosofia del suo professore: o, come egli sostiene, la vita è orribile nonsenso, e allora morire è un dono da regalarsi subito; oppure è la filosofia pessimistica a essere un orribile nonsenso, e allora bisogna estirparla con acribia. Provato che, nonostante i suoi roboanti proclami, il professor Eames si aggrappa alla vita quando gli viene puntata addosso una pistola, Innocent si dedicherà con zelo alla seconda missione. Ma le parole che suggellano la sua scelta sono, letteralmente, lapidarie: «Io dovevo provare che lei aveva torto o dovevo morire».

L’innocenza di Smith è stata comprata a caro prezzo. Egli non è irragionevolmente felice perché non ha mai conosciuto la disperazione, ma ragionevolmente entusiasta perché l’ha attraversato a nuoto, guadagnandosi la gioia di vivere bracciata dopo bracciata. «Fino a che non vediamo lo sfondo di tenebra – scriverà Chesterton in Eretici – non possiamo ammirare la luce anche di una sola cosa creata». Solo nel momento in cui ci si rende conto che le cose potrebbero benissimo non esserci, si smette di dare per scontata l’esistenza, nonostante la scandalosa costanza del suo ripetersi.

Il percorso di Smith altro non è che quello dello stesso Chesterton, il quale in gioventù si occupò «superficialmente d’infinite cose» – così nella sua Autobiografia –, perfino di spiritismo. Aveva mille strumenti sparsi attorno a sé, ma inutilizzati; e la sua volontà era paralizzata nello stallo di un’equidistanza intellettualista. L’iconografia classica del melanconico. Anche Chesterton, come Smith, affrontò un duello mortale con la disperazione, ma sconfisse la sua novecentesca “malattia dell’infinito” nel momento stesso in cui incontrò il volto dell’Infinito. E scoprì che esso aveva una faccia umana, naso bocca e due gambe, proprio come l’amabile gente comune, creata a Sua immagine.

Chesterton riconobbe l’Innocente negli occhi dell’uomo comune e volle essere il suo difensore (il cognome “Smith”, cioè “fabbro”, corrisponde al nostro “Rossi”: l’autore ne scrisse una vibrante apologia ancora nel 1905, dieci anni prima di scrivere Uomovivo). Non perché Chesterton fosse polemico di carattere: era piuttosto il mondo che continuava a provocarlo. Proprio non riusciva a stare zitto quando un garbato gentleman, sorseggiando il suo the pomeridiano, si lasciava sfuggire en passant che la vita non vale la pena di essere vissuta, offendendo in un sol colpo l’intero creato e il suo Creatore.

Per questo Chesterton potrà scrivere, ne L’osteria volante: «Trovare e combattere il male è il principio di ogni allegria». “L’eterna rivoluzione” è il titolo di uno dei capitoli più vibranti del suo saggio Ortodossia (1908). Ecco la fonte della sua inesauribile vis comica la quale, prima che essere comica, è soprattutto vis: un atto di rivolta, un’insurrezione, una reazione. Un motto di spirito, cioè un movimento provocato nelle acque di un’anima stagnante. Allegrezza e coraggio, epica contentezza, un giocoso senso di sfida: ecco il connubio chestertoniano vincente. Ma mai l’uno senza l’altro: mai l’infinita burletta che riveste un disperato carpe diem, mai l’eroica tragedia di un’inevitabile sconfitta contro il Fato. La sua è la grande risata degli uomini cristiani, come spiega nel poema La ballata del Cavallo Bianco (1911 – appena tradotto in italiano da Raffaelli editore).

Il ritratto più azzeccato dello scrittore fu una caricatura di Thomas Derrick che lo ritrasse come un san Giorgio burlesco, un assurdo Sancho Panza armato non della lancia del «cavaliere dalla triste figura», ma di… una penna. Che è più potente di ogni spada, come ben sapeva san Paolo.

Un’ultima domanda: se Uomovivo è Innocent Smith, e Smith è Chesterton, chi era Chesterton? Domanda affatto scontata se un critico della levatura di Pietro Citati – in un lungo articolo del 1997 recentemente riproposto – arguiva che lo scrittore inglese trovasse noioso il bene ed eccitante il male: quando il suo percorso umano e artistico fu precisamente il contrario, biografia e opere alla mano.

Chesterton, aggiunge Citati, «avrebbe dato la vita, e forse l’anima, per una bella battuta». Ma egli aveva capito, semmai, che una bella battuta poteva salvare una vita, talvolta perfino un’anima. «Una caratteristica dei grandi santi è il loro potere di leggerezza – scriverà in Ortodossia. – La serietà non è una virtù […] È facile esser pesanti, difficile essere leggeri. Satana è caduto per la forza di gravità». Egli si difese dal culto della bella pagina reverendo l’umana emotività di scadenti romanzetti di genere.

Un ultimo appunto. Chesterton, secondo Citati, «condivideva nell’intimo l’idea dei suoi rivali: faceva fatica a non abbracciarla». Egli, ci pare, fu molto più generoso e molto più temerario: abbracciò i suoi rivali, ma sparò a vista alle loro idee. George Bernard Shaw non ebbe avversario più acerrimo né amico più sincero o biografo migliore di lui. H.G. Wells, fustigato per le oltre trecento pagine di L’uomo eterno, inviò un telegramma commosso per la morte del suo nemicoamico.

Chesterton li amò teneramente. Mandava allegramente al diavolo le loro gravi teorizzazioni perché essi, liberati dai macigni dell’ideologia, potessero sollevarsi fino a Dio come palloncini. Prendeva sul serio le loro idee e le proprie, ma non prese mai troppo sul serio se stesso. La beatitudine dell’allegria – così duramente scelta e conquistata – fece di lui un uomo capace di suscitare la simpatia e l’affetto di tutti, anche di chi pensava di essere un suo avversario.

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On Obama getting the nobel prize for peace

On Obama getting the nobel prize for peace: "


The best illustration i have seen on the matter that no one really understands

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domenica, ottobre 11, 2009

Pius XII on the Anniversary of Newman’s Conversion

Pius XII on the Anniversary of Newman’s Conversion: "Yesterday was the anniversary of Newman's conversion to Catholicism when he was received into 'what I now realise to be the one fold of the redeemer'. The website for the cause for the canonisation of John Henry Cardinal Newman has posted a letter from Pope Pius XII to Cardinal Griffin marking the 1945 centenary celebrations. The short letter quotes both Juvenal and Lactantius, and celebrates the ancient link between Britain and Rome.
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venerdì, ottobre 09, 2009

se liga

se liga: "

artist


pode ser, simplesmente, um problema de cognição


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giovedì, ottobre 08, 2009

Duhem Society blog

Nelle ultime settimane ho scritto pochissimo su questo blog ma siamo agli inizi dell'anno accademico e ho molto da fare. Devo preparare dodici ore di lezione a settimana!

Intanto la Duhem Society, dedicata allo studio di Pierre Duhem e Stanley Jaki, mi ha chiesto di contribuire al proprio blog. Nonostante gli impegni, non potevo dire di no.
Qui trovate il mio primo intervento, nel quale parlo brevemente di Jaki e l'Italia. C'è anche un provvisorio elenco dei suoi libri in italiano.

The Foundations of Jaki's Philosophy

The Foundations of Jaki's Philosophy: "
Fr. Jaki notes in his autobiography (p.162) that a fellow priest physicist could not figure out his stance as a philosopher from reading The Relevance. Jaki does provide some clues and it doesn't take long to realise that he had little esteem for positivism or materialism and especially not Kantian Idealism. The less said the better about the transcendental Thomists, or Aquikantians as he christened them.
Yet Fr. Jaki was reluctant to be called a Thomist also, unless Thomism was to be equated with metaphysical realism. (p. 169, A Mind's Matter) This should not seem too surprising. While Thomas' great service to science was his unyielding defence of realism and the Christian Creed, his lack of interest in experimentation and critically his concordist stance on Aristotle's physics, makes it difficult to construct a uniquely Thomist Philosophy of Science.
Of course, if Jaki considered himself a fully-fledged Thomist I would merely be repeating myself by referring to my philosophical stance as a 'Jakian Thomist'! However, it is Jaki's integration of a Thomist realist perspective into the Philosophy of Science and crucially in a non-concordist manner with the science of the moment that I think will give Jaki's thought perennial credence.
The following quotation provides one of the clearest statements of how Jaki builds the foundations of his philosophy:

[The basic constant of philosophy] consists in the necessity of taking one or the other of the alternatives: Does man create reality by having ideas about it, or do ideas depend on man's registering reality? Moreover, since reality is registered primarily through the registering of the size, the magnitude, or quantity of a thing, does it follow that the reality of a thing is exhausted by its quantitative parameters?

In fact, it seems to me that these choices are so fundamental that it is not possible to work out a consistent system of philosophy without adopting one or the other of those alternatives. Of course, only if one takes the realist alternative, is it possible to work out a philosophical system which can be communicated by a real means, such as a book. Although physical things reveal their reality primarily through their quantitative size, a set of quantitative measures is never equivalent to physical reality, let alone the source of it. If, however, such is the case, the exactness of quantities will never become an arbiter over ontological questions such as causality, freedom, and purpose.
[Numbers Decide: Planck's Constant and the Constants of Philosophy, Numbers Decide and Other Essays, p. 18-19]

Jaki concludes that such a system will give justice to both philosophy and science through the strict demarcation line between quantities and everything else. Or put simply, it's about recognising the fundamental difference between 123's and ABC's.

~ Jakian Thomist
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Colpi di scena [La giornata]

Colpi di scena [La giornata]: "

Su Marc Augé pesa la condanna di essere citato esclusivamente quale profeta dei non-luoghi, precipuamente aeroporti e centri commerciali. In Nomi, cose, città: viaggio nell’Italia che compra (Fandango) Arnaldo Greco esordisce con la descrizione di Vulcano Buono, centro commerciale a forma di Vesuvio recentemente inaugurato a Nola.

Continua sul sito del Foglio.it



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mercoledì, ottobre 07, 2009

Morganti ci regala un altro Chesterton

Morganti ci regala un altro Chesterton: "
PROSSIMA USCITA PER LA COLLANA DEDICATA AL NOSTRO GILBERT DA MORGANTI EDITORI

titolo: La sfera e la croce

autori: Gilbert Keith Chesterton

anno: 2010

pagine: 276

ISBN: 978-88-95916-25-5

prezzo: 15,00 €

stato: in uscita a gennaio 2010

La sfera e la croce è un altro capolavoro di Chesterton dedicato alla dialettica tra la Fede e la mancanza di essa. È di scena il duello tra la ragione, che ammette l'esistenza di ogni cosa, a patto che possa essere dimostrata, e l'accettazione dell'uomo nell'ammettere che non tutto può essere dimostrato, e questo 'non tutto' richiede la grazia della fede e il pensiero di Dio. Straordinari sono i protagonisti del romanzo, ad iniziare dal professor Lucifero, che solca i cieli della terra sul suo veliero d'argento, accompagnato dal monaco eremita Michele, che gli ricorda, a dispetto e con dolore delle sue demoniache orecchie, quanto sia necessaria per l'umanità l'idea di due opposte visioni del mondo e della vita. Il santo Michele ricorda a Lucifero, e agli uomini che incontrerà nel suo cammino, quanto la concezione razionalistica del mondo (la sfera) che si appoggia alla sola ragione, alla scienza, trovi il suo significato solo dal confronto (dal duello) con la concezione intimistica del mondo (la croce) che si basa sulla ricchezza spirituale dell'uomo. Lucifero rinchiude con vari espedienti i personaggi in un angusto manicomio, allo scopo di estirpare dalla loro mente il concetto di duello, inteso come inclinazione ad analizzare e comparare due posizioni antitetiche. Lucifero non ammette che una sola realtà, mentre l'uomo è incline a ponderare più soluzioni, grazie al dono della ragione, ma soprattutto della fantasia e immaginazione creativa. Il grande scrittore inglese trasforma questo mirabile romanzo in una parabola letteraria, che spinge l'uomo lontano dalla sterile applicazione del pensiero sulla sola ragione, e più vicino a quel 'pensiero fanciullo' che sempre si interroga su se stesso e sulla vita, oltre le apparenze. Solo andando oltre la concretezza delle cose, scrive Chesterton ne La sfera e la croce, l'umanità può vedere, anche sotto le apparenti spoglie di un folle, la saggezza e l'inestimabile ricchezza spirituale di chi spera, crede e vive con gioia.
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