sabato, marzo 28, 2009

Newman e i Padri della Chiesa: un incontro decisivo

Newman e i Padri della Chiesa: un incontro decisivo

Gli amici del quarto secolo
che fanno bella ogni stagione



di Inos Biffi

Il 13 marzo 1864, domenica di Passione, alle sette del mattino, nel Testamento scritto in attesa della morte, Newman dichiarava: "Affido l'anima mia e il mio corpo alla Santissima Trinità e ai meriti e alla grazia di nostro Signore Gesù, il Dio Incarnato; all'intercessione e alla compassione della nostra cara madre Maria; a san Giuseppe; a san Filippo, mio padre, padre di un figlio indegno; a san Giovanni evangelista; a san Giovanni Battista; a sant'Enrico; a sant'Atanasio, a san Gregorio di Nazianzo; a san Giovanni Crisostomo e a sant'Ambrogio. L'affido altresì a san Pietro, a san Gregorio i, a san Leone e al grande apostolo san Paolo".
Non sorprende che nell'attesa della morte - che sarebbe sopravvenuta più di un quarto di secolo dopo, nel 1890 - Newman si affidasse alla Santissima Trinità, a Gesù Cristo, a Maria e a Giuseppe, a san Filippo Neri, fondatore degli oratoriani - ai quali apparteneva, e del quale era devotissimo - a san Giovanni Battista e agli apostoli Giovanni, Pietro e Paolo, e a sant'Enrico, del quale, con quello di Giovanni, portava il nome.
Non è però neppure sorprendente - ma molto significativo - che, dopo aver "passato la sua vita nell'intimità dei Padri" (Henri Brémond), Newman si affidasse in morte a quei padri e dottori che rappresentavano ai suoi occhi la gloriosa Chiesa antica: dopo la frequentazione durante tutta la sua vita, a partire dall'adolescenza, non poteva, certo, dimenticarli in morte. Essi erano stati "le sorgenti della sua conversione e della sua vita interiore" (Denis Gorce); li aveva cantati nelle sue più belle liriche; li aveva raccolti con premurosa devozione, in edizioni raffinate, nella sua biblioteca, per stare con loro; li aveva studiati a lungo e con entusiasmo: non poteva dubitare che si sarebbero presentati ad accoglierlo sulla soglia dell'eternità.
L'incontro di Newman con i Padri, con "queste prime luci della Chiesa", come egli li chiama, fu un incontro precoce. Era il 1816, quando questo "sublime inquieto" (Gorce) sperimentò - lo scrive nell'Apologia pro vita sua - "un grande rivolgimento di pensieri", incominciando "a subire l'ascendente di un credo ben definito" e ad accogliere "nella mente certe impressioni sul dogma che, per la grazia di Dio, non sono mai più scomparse né sbiadite".
La storia dei Padri diviene allora, in certa misura, la storia di Newman. E il pensiero va a quello che per lui aveva significato lo studio degli "amici del secolo iv", "il secolo di elezione di Newman", nel quale egli "si trova tutt'intiero" e che è "il suo luogo intellettuale (...) il paesaggio dell'anima che porta nel proprio intimo e trasfigura le sue giornate" (Gorce) - e va al Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, che si concluderà con la scelta dolorosa e doverosa, e insieme gioiosa e liberante, della conversione alla Chiesa cattolica, quando, proprio alla scuola dei padri, sentì sciogliersi l'ostacolo che lo teneva lontano da essa.
Dal dicembre 1832 al giugno 1833 Newman avrebbe compiuto il celebre viaggio nel Mediteranno da cui resterà incantato. Quelle acque, scriverà alla madre il 19 dicembre 1832, gli ricordavano Atanasio, che le aveva attraversate - "Qui il grande Atanasio viaggiò verso Roma" - e lo avvicinavano alle terre dei padri greci, e particolarmente dei "suoi Cappadoci". Il loro ricordo si trasfigura allora in poesia: la poesia che, d'altronde, anima tutta l'opera di Newman.
A bordo della Hermes, tra Zante e Patrasso, Newman canta i Padri greci, "la pagina variegata, tutta splendore di Clemente", "e Dionigi, guida saggia nel giorno del dubbio e della pena", "e Origene dall'occhio d'aquila", e, dopo Basilio, - col suo "alto proposito di colpire l'eresia imperiale" - "la grazia divinamente insegnata del Nazianzeno", e "Atanasio dal cuore regale", che altrove definirà "instancabile Atanasio"; mentre un'intera poesia sarà dedicata a Gregorio di Nazianzo.
Né meno poeticamente ispirato è un brano di prosa del saggio sul Crisostomo, dove quattro dottori della Chiesa sono paragonati alle quattro stagioni: "(Basilio) somigliava a una calma, mite, composta giornata d'autunno; san Giovanni Crisostomo era invece una giornata di primavera, luminosa e piovosa, splendida fra sprazzi di pioggia. Gregorio era l'estate piena, con un lungo intervallo di dolce quiete; la sua monotonia era interrotta da lampi e tuoni. E sant'Atanasio ci dà l'immagine dell'inverno rigido e accanito, con i suoi venti violenti, i terreni incolti, il sonno della grande madre, e in cielo le stelle luminose".
"I Padri mi fecero cattolico": Newman stesso lo dichiara a Edward B. Pusey. Questi aveva criticato il culto cattolico a Maria, ritenendolo uno sviluppo anomalo della pietà cristiana e un grave ostacolo per l'intesa degli anglicani coi cattolici, e Newman nella nota lettera a Pusey risponderà: "Non mi vergogno di basarmi sui Padri, e non penso minimamente di allontanarmene. La storia dei loro tempi non è ancora per me un vecchio almanacco. I Padri mi fecero cattolico (The Fathers made me a Catholic), ed io non intendo buttare a terra la scala con la quale sono salito per entrare nella Chiesa".
E, dopo aver terminato The Church of the Fathers, scriverà: "La mia Chiesa dei Padri è ora terminata. È il libro più bello - the prettiest book - che io abbia scritto. E non c'è da sorprendersi, dal momento che si compone tutto di parole e di opere dei Padri".
È lui stesso a riferire quanto si diceva: "Intorno a noi da ogni parte si alzavano voci, a gridare che i Tracts e gli scritti dei Padri ci avrebbero portato al cattolicesimo prima che ci avvedessimo" e a ricordare il suo prosternarsi "con amore e venerazione ai piedi di coloro - sta parlando dei padri calcedonesi - la cui immagine ebbi sempre davanti agli occhi e le cui armoniose parole risuonarono sempre al mio orecchio e sulle mie labbra". Si viene drammaticamente accorgendo che l'antica ortodossia patristica e conciliare continuava nella Chiesa di Roma, e la sua coscienza gli imponeva di prendere la decisione coerente: "Se sant'Ambrogio e sant'Atanasio tornassero all'improvviso in vita - scrive nello Sviluppo della dottrina cristiana - non vi ha dubbio quale confessione riconoscerebbero come la loro". Commenta con finezza il Gorce: "Newman non ha che da cantare il Nunc dimittis (...) Dopo essere stati gli strumenti della sua agonia, i Padri sono diventati finalmente gli artefici della sua risurrezione".
Newman stesso nell'Apologia pro vita sua ricorderà come nella stesura de Gli ariani del iv secolo i Padri abbiano via via influito su di lui. Così, scrive: "La vasta filosofia di Clemente e Origene mi entusiasmò (...) Certe parti del loro insegnamento, di per sé magnifiche, mi giungevano come una musica nell'orecchio della mia anima, quasi fossero la risposta a idee che, con ben poco incoraggiamento all'esterno, io accarezzavo da tanto tempo".
Fatto quindi cattolico, Newman affermerà che la lettura dei Padri era per lui fonte di "delizia"; egli li sentiva e li considerava come suoi familiari. Alcuni di essi erano i suoi "vecchi amici del secolo iv". Gli scritti dei padri erano i suoi "archivi di famiglia".
"Mi ricordo bene - scrive Newman - come, entrato finalmente nella comunione cattolica, baciavo i volumi di sant'Atanasio e di san Basilio con delizia, con la percezione che in essi ritrovavo molto di più di quello che avevo perduto, e come dicevo a queste pagine inanimate, quasi parlando direttamente ai gloriosi santi che le hanno lasciate in eredità alla Chiesa: "Ora, senza possibilità alcuna di errore, voi siete miei, e io sono vostro"".
I Padri - è l'osservazione del geniale Brémond - sono rievocati da Newman non come figure definitivamente perdute nel passato, ma come suoi veri contemporanei: "Poeta, veggente, la Chiesa dei Padri gli è presente e familiare quanto i suoi amici di Oxford e di Birmingham", così come "Ciro, in cui Teodoreto vive in esilio, "uggiosa, banale, con la sua popolazione insignificante", è Birmingham. Antiochia, l'elegante e la raffinata, ora che Alessandria ha perso il suo Atanasio, Antiochia è Oxford".
"Sempre il ricordo dei Padri - annota il Gorce - dorme in fondo alla sua anima, pronto a rivivere e a manifestarsi. Passando a Milano, nel recarsi a Roma, (...) egli si sentirà perfettamente at home nella grande città patristica". Newman aveva scritto: "Questo è il luogo più meraviglioso (...) Milano presenta maggiori richiami, che non Roma, con la storia che mi è familiare. Qui ci fu sant'Ambrogio, sant'Agostino, santa Monica, sant'Atanasio".
D'altronde, Newman non accostava i padri in modo astratto, unicamente interessato, da storico e da teologo, allo studio della loro dottrina, ma al fine - sono le sue parole - di penetrare nella loro "vita reale, nascosta, ma umana o, come si dice, l'"interno" di queste gloriose creature di Dio".



(©L'Osservatore Romano - 28 marzo 2009)

mercoledì, marzo 25, 2009

UNAids and myth of condoms efficacy against Aids

Sempre sulla questione condom e Africa, molto interessante e' questo articolo apparso su The East African il 7 febbraio, ossia prima delle polemiche legate alle parole del Papa. Si parla dell'UNAids, l'agenzia delle Nazioni Unite che dovrebbe prevenire e curare la malattia, e di come questa abbia nascosto e manipolato studi scientifici che mostrano come le politiche basate sulla promozione del condom si siano rivelate sbagliate.

Vi traduco il paragrafo piu' importante, che conferma quanto dicevo nei giorni scorsi:
I critici dell'organizzazione credono che i fatti messi in luce da Maxine Ankrah, Norman Hearst, Tom Barton ed altri erano semplicemente troppo duri da digerire per l'UNAids in quanto contraddicevano il sistema di credenze dell'organizzazione - che i condom e non il cambiamento di comportamente fossero la soluzione definitiva per prevenire il diffondersi della pandemia nell'Africa subsahariana e in altre regioni in sviluppo. In breve, era un chiaro caso nel quale l'ideologia prende sopravvento sui fatti epidemiologici.



UNAids and myth of condoms efficacy against Aids
By CURTIS ABRAHAM

Saturday, February 7 2009

The recent appointment of Michael Sidibe of Mali as the new director of the United Nations Programme on HIV/Aids (UNAids), the main advocacy body in the global fight against HIV, the deadly virus that causes Aids, could mark a significant turning point in the way the organisation handles its mandate in the political and scientific spheres of the deadly disease.

However, two recent books criticising the way the organisation is putting political correctness above scientific evidence as well as recent calls in some quarters for the organisation to be disbanded altogether have thrown the usefulness of the global body into serious question.

Experts now know that unprotected sex involving high rates of long-term concurrent sexual relationships coupled with low rates of male circumcision has led to national prevalence rates in East and Southern Africa ranging from six per cent to 24 per cent, according to the 2007 report, Why is HIV prevalence so severe in Southern Africa?: The role of multiple concurrent partnerships and lack of male circumcision, written by Daniel T. Halperin of the Department of Population and International Health at the Harvard School of Public Health and Aids expert and author Helen Epstein.

However, UNAids and other Aids organisations fail to recognise fully the role of long-term multiple concurrent relationships in the spread of HIV and instead appear to favour the use of condoms, abstinence and other less effective methods.

Take the case of Dr Norman Hearst, an epidemiologist at the University of California, San Francisco.

In 2003 Dr Hearst and his research assistant Sanny Chen, then of San Francisco’s Department of Public Health, carried out an extensive literature review commissioned by UNAids on the effectiveness of condoms in preventing the spread of HIV virus in sub Saharan Africa and other developing regions.

The initial report, titled: Condoms for Aids prevention in the developing world: A review of the scientific literature, concluded that although condoms were about 80 per cent to 90 per cent effective as a public health strategy in halting the spread of Aids in some concentrated epidemics (epidemics affecting men who have sex with men, injecting drug users and commercial sex workers) in places like Thailand and Cambodia, condoms were seen as ineffective in preventing the spread of HIV/Aids in generalised epidemics like those taking place in Eastern and Southern Africa.

“These findings surprised us and were not what UNAids wanted to hear at all,” recalls Dr. Hearst who says that his report provoked serious debate within UNAids.

Efforts were made by UNAids to edit the Hearst/Chen report into something that might be more politically palatable to the organisation. In fact, Dr Hearst was shown various drafts of the heavily edited document, which UNAids was expected to publish but in the end never did.

Instead they released their own separate statement about how wonderful and effective condoms are. This did not have our names on it, nor would I have wanted it to,” says Hearst. “It made no reference to our review or our report. I was never given any explanation for this decision.”

But the conclusions reached by the Hearst/Chen study would have been of major importance to policy makers in Africa, the West and elsewhere in the developing world; Aids agencies; Aids activists; and the general public at large in terms of policies formulation and programme implementation to combat the spread of Aids.

However, this crucial report was not made public by UNAids. According to UNAids insiders, the organisation rewrote the entire report — even removing the names of the researchers — and published something quite different from what they had submitted. Taken aback by this blatant action, Hearst and Chen published their original findings in 2004 in Studies in Family Planning, a major peer-review journal.

Per ragioni di copyright non posso citare l'intero articolo ma lo trovate qui.

martedì, marzo 24, 2009

The Pope and the condoms

THE POPE AND CONDOMS

March 23, 2009

On March 17, a reporter asked Pope Benedict XVI, while en route to Cameroon, to defend the Church’s promotion of monogamy and opposition to condoms in the fight against AIDS, especially since such positions are “frequently considered unrealistic and ineffective.” He responded in part by saying that “the scourge cannot be resolved by distributing condoms; quite the contrary, we risk worsening the problem.” This prompted a fresh, if predictable, round of scorn from the western press. France went so far as to say his statements represent a threat to public health. Yet it might surprise the casual observer to learn that empirical record supports the Pope’s assertions.

First, every instance in which HIV rates have fallen in Africa is most attributable to fundamental changes in sexual behavior, most importantly an increase in faithfulness. In contrast, HIV transmission rates have remained high and even grown in other African countries where widespread behavior change has not occurred, despite considerable increases in condom use. An influential article in Science last year lamented that international HIV prevention priorities had not yet shifted to reflect this epidemiological profile.

In recent years, researchers have paid greater attention to the specific issue Benedict raised: the possibility that condom promotion even risks “worsening the problem.” The theory that people may take greater risks in exposing themselves to harm because they feel a new technology grants them a measure of protection in doing so, goes by the names of “risk compensation” or “behavioral disinhibition” in public health circles. A series of recently published articles (including in the Lancet) have concluded that this phenomenon – that condom promotion can lead to greater risk taking - is quite real indeed.

Finally, the track record for condoms – by far the most emphasized approach over the years – has been rather poor in Africa. An exhaustive review of the impact of condom promotion on actual HIV transmission in the developing world concluded that condoms have not been responsible for turning around any of the severe African epidemics. This rigorous study was originally commissioned by UNAIDS, and conducted by researchers at the University of California at San Francisco. Instead of welcoming the findings, and adapting HIV prevention strategies accordingly, UNAIDS first tried to alter the findings, and ultimately refused to publish them. The findings were so threatening to UNAIDS that the researchers were finally forced to publish them on their own in another, peer-reviewed journal.

This episode provides a disturbing glimpse into the priorities of the lead United Nations’ AIDS agency. Though normally quick to insist on the right to “accurate information” about condoms, in this case they placed their own ideological convictions above the welfare of those they are charged with protecting. Still, the New York Times claims, mere hours after the Pope’s remarks, that he “deserves no credence when he distorts scientific findings about the value of condoms in slowing the spread of the AIDS virus.” The informed observer might well conclude that the outrage aimed at the Pope over the fight against AIDS is poorly directed.

Matthew Hanley

PS.
Per chi non capisce l'inglese, traduco il paragrafo piu' importante.

Negli anni recenti i ricercatori hanno prestato piu' attenzione alla questione specifica sollevata da Benedetto: la possibilita' che la promozione del condom rischia di "peggiorare il problema". La teoria secondo la quale le persone possono incorrere in rischi maggiori esponendosi al danno perche' hanno la sensazione che una nuova tecnologia assicuri loro una misura di protezione nel farlo viene chiamata nei circoli che si occupano di salute pubblica "compensazione del rischio" o "disibizione comportamentale". Una serie di articoli pubblicati recentemente (su The Lancet incluso) hanno concluso che questo fenomeno, ossia che il la promozione del condom puo' portare a rischiare maggiormente, e' certamente reale.

domenica, marzo 22, 2009

Macchine blindate e preservativi

Quanto ho scritto venerdì è stato ripreso su questo blog.
Vi riporto l'inizio della discussione.


Commento di Paolo Angelo Bottone scrive questo:
> il preservativo non riduce il problema
> dell’AIDS ma lo aumenta. Il motivo è
> semplice: utilizzando il preservativo
> diminuisce la percezione del rischio e
> pertanto aumenta la propensione a rischiare.

La stessa cosa si può dirla di qualunque misura di prevenzione o sicurezza: bisogna per questo abolire queste misure? Invece di pensare ad abolire il profilattico, che pensino di promuovere tutte le altre misure.


Commento di Angelo Bottone
Paolo, rilegga quanto ho scritto. La conclusione logica della mia argomentazione non è che bisogna abolire le misure di prevenzione ma, piuttosto, che bisogna adottarne di più efficaci. Nel caso dell'AIDS la misura più efficace del preservativo esiste e si chiama astinenza, la quale ha il vantaggio di non aumentare la propensione al rischio.

Se vogliamo utilizzare l'analogia degli incidenti stradali, un rapporto a rischio può essere paragonato all'invasione deliberata della corsia di direzione opposta. Lei mi suggerisce di farlo con una macchina blindata, in modo da diminuire il rischio di morte, io le rispondo che è più ragionevole non invadere la corsia.
(Non mi risponda che è pur sempre meglio guidare una macchina blindata, altrimenti non ha capito l'analogia)
In un ipotetico Paese dove il tasso di invasione è molto alto le campagne di sicurezza dovrebbero mirare a cambiare gli stili di guida.

Il Papa direbbe che il promuovere le macchine blindate non solo non risolve il problema ma lo aggrava perché dà un senso di falsa sicurezza e non insegna ai guidatori come evitare di invadere l'altra corsia.

Per problemi drastici non valgono le mezze misure, se non cambiamo radicalmente mentalità l'AIDS non sarà mai sconfitto.

sabato, marzo 21, 2009

L'ultima lettera del parroco di Gaza

L'ultima lettera di Padre Manuel Musallam, il parroco di Gaza.

Charles Colton disse una volta: "L'esperienza ci insegna due cose, la prima è di correggere molto, e la seconda è di non esagerare nel farlo". Israele ci sta correggendo molto. Israele, il nostro vicino a Gaza, non è stato capace di regolare le relazioni con i suoi vicini. Esso corregge il popolo palestinese specialmente perché sostiene che i palestinesi si oppongono al suo ritorno alla "Terra Promessa". Ci sta correggendo, noi palestinesi, con la guerra, i massacri, i crimini di guerra e la deportazione. Ha distrutto le nostre case, le nostre fattorie e i nostri villaggi, e ha stabilito insediamenti su di essi. Ha sradicato centinaia di migliaia di olivi e aranci produttivi, e ci ha proibito di fare il raccolto dai nostri campi. Ha aperto circonvallazioni e ha eroso le nostre terre. Ha distrutto, frammentato e isolato le nostre città, villaggi e campagne. Ha costruito e istallato centinai di checkpoints per scombussolare le nostre vite. Ci ha impedito di raggiungere i nostri santi luoghi di culto a El Aqsa, alla Natività e al Santo Sepolcro. Ha costruito il muro dell'apartheid intorno alla Cisgiordania, Gerusalemme e Gaza. Il muro non ci separa forse dagli altri e i ponti non sono forse luoghi di incontro? Ha spezzato le nostre ossa e proibito cure e medicazioni. Ha assassinato i nostri capi in diversi modi. Abbiamo vissuto sotto le tende, e ci ha proibito i mezzi di vita e di lavoro. Ci circonda con un assedio che blocca la nostra vita quotidiana. Ci ha gettati in un ghetto senza acqua, elettricità, medicine, cibo e lavoro. Stiamo morendo di una morte lenta. Dovevamo "diventare affamati e assetati fino alla soglia della morte senza oltrepassarla.

Sderot, un insediamento vicino a Gaza, è divenuto il Muro del Pianto dove tutti i leader del mondo e i turisti vengono per vedere le reliquie lasciate dai missili Qassam, che hanno ucciso 12 israeliani dal 2002. Mentre noi non osiamo costruire un monumento che perpetui la memoria di migliaia di palestinesi innocenti uccisi durante i crimini di guerra a Gaza, perché Israele non mancherebbe di distruggerlo durante la sua costruzione. Nella recente barbara guerra contro Gaza, centinaia di bambini, uomini, donne e vecchi innocenti sono stati bruciati in forni di bombe e missili sofisticati. Che differenza c'è tra i forni in cui gli ebrei morirono in Germania e i forni in cui noi moriamo a Gaza? Il mondo li ha visti attraverso i giornalisti e i canali satellitari. Persone di buona volontà, come l'Arcivescovo Desmond Tutu e organizzazioni dei diritti umani, avvocati e specialisti in crimini contro l'umanità, hanno incominciato a venirci a trovare. Israele ha impedito alle delegazioni di raggiungerci, umiliandoli, trattenendoli ai confini di Jenin, Rafah e Beit Hanoun, finché non sono riusciti a ottenere un permesso di ingresso. Israele ha distrutto molti segni dei loro crimini di guerra.

Il nostro popolo è incappato nei briganti. Lo hanno spogliato e percosso, e se ne sono andati lasciandolo mezzo morto. Il Sig. Bush ci ha visto, ma è passato dall'altra parte. Allo stesso modo i leader europei, sia il mondo islamico sia quello cristiano, sono venuti qui, e quando ci hanno visto, sono passati dall'altra parte. Quando verrà il Samaritano misericordioso che, vedendoci, avrà compassione di noi?

Gli Stati Uniti, con il loro diritto di veto, hanno respinto qualsiasi soluzione o impegno di diritto internazionale, sicché Israele si è comportato come se fosse al di sopra della legge. Ora l'America vuole cambiare il diritto internazionale, cosí che i leader di Israele non siano processati come criminali di guerra. Israele percorre la nostra terra, perché non ha confini. Ogni giorno, inghiottisce un appezzamento di terra, migliaia di metri quadrati. È possibile che il mondo riconosca uno stato senza confini dopo 60 anni dalla sua costituzione? Lo stato di Israele è l'unico modello di questo tipo nel mondo.

Continua qui.

venerdì, marzo 20, 2009

Logica e preservativi

Nel mio corso di Critical Thinking tratto, tra le altre cose, di fallacie logiche ossia di errori nel ragionamento. Una delle prime fallacie che studiamo è quella della composizione, ossia l’errore nel ritenere che poiché gli elementi che compongono un insieme possiedono una certa proprietà allora l’insieme gode di quella stessa proprietà. Questo non è sempre vero e perciò bisogna considerare caso per caso di quale proprietà si sta parlando. Ad esempio, se dico: “ogni frase di una pagina è ben scritta allora l’intera pagina è ben scritta”, questo è un errore perché le frasi, singolarmente ben scritte, potrebbero non essere in buon ordine. Oppure, se dico: “una bomba atomica causa più danni di una bomba convenzionale perciò durante la Seconda Guerra Mondiale le bombe atomiche hanno causato più danni delle bombe convenzionali” anche questo è un errore perché non tiene conto del numero di bombe utilizzate durante la guerra mondiale.
Immaginiamo ora il caso di una caverna bella ma pericolosa, il guardiano della caverna invita i turisti a visitarla dicendo “ogni tanto vi muore qualcuno ma se usate il casco che io vi vendo il rischio di morire diminuisce dell’80%”. Dopo un certo tempo il sindaco si accorge che il numero dei morti non è diminuito ma aumentato e chiede spiegazioni al guardiano, il quale si difende “io faccio il mio dovere, l’uso del casco che io promuovo contribuisce alla diminuzione del numero dei morti dell'80%”. Il sindaco, che conosce un po’ di logica, risponde: “Fallacia di composizione! Il casco diminuisce dell’80% il rischio individuale ma non il rischio dell’intero numero dei visitatori, anzi poiché il casco diminuisce la percezione del rischio il numero dei visitatori aumenta e quindi aumenta anche il numero dei morti. Abbiamo sbagliato tutto, se vogliamo risolvere il problema dobbiamo smettere di promuovere l’uso del casco e convincere le persone a non rischiare. Qualcuno rischierà ugualmente ma alla fine il numero dei morti diminuirà.”


Il mondo moderno non ha perso la fede ma la ragione. Nei giorni scorsi il Papa ha scandalizzato i soliti ben pensanti dicendo quello è sotto gli occhi di tutti, il preservativo non riduce il problema dell’AIDS ma lo aumenta. Il motivo è semplice: utilizzando il preservativo diminuisce la percezione del rischio e pertanto aumenta la propensione a rischiare. Tanto difficile da capire? Un'efficace politica di prevenzione deve mirare a ridurre il numero di rapporti, i quali sono sempre rischiosi, piuttosto che la probabilità di rischio di ogni singolo rapporto. La promozione dei preservativi invece produce l'effetto contrario a quello desiderato, tipica eterogenesi dei fini del mondo moderno. La prossima volta che qualcuno vi dice che l'AIDS si combatte promuovendo l'uso dei preservativi rispondete "Fallacia di composizione!" e raccontategli la storiella del guardiano della caverna. :)

Miei lavori

Ho aggiornato la pagina dei miei lavori.

mercoledì, marzo 18, 2009

Tommaso Ariemma

Tommaso Ariemma è un giovane e brillante filosofo, forse solo un paio d'anni più giovane di me (che filosofo non sono). Ci siamo incrociati nel Dipartimento di Filosofia della Federico II senza mai conoscerci veramente. Oggi ho scoperto che ha un bel blog, pieno di donne nude. ;) Tommaso infatti ci occupa, tra le altre cose, di filosofia della nudità. Tra le sue pubblicazioni compaiono Il nudo e l'animale: Filosofia dell'esposizione e Il senso del nudo.
Da tenere sott'occhio.

Apparecchio (Dizionario dell'Omo Salvatico)

Apparecchio

"L’apparecchio (si pensa) ha dato lo sfratto al miracolo".
Infatti da quegli innumerevoli scemi che a forza di credere nel progresso hanno finito col non credere più in Dio, si parla continuamente dei "miracoli della scienza", che son dovuti, in grandissima parte, agli "apparecchi".
Senonché, certe volte, nonostante le perizia dell’apparecchiatore, l’apparecchio, sul più bello, non funziona.
E allora qui habitat in coelis irridebit eos.

lunedì, marzo 16, 2009

Tu quoque, Bone!

Come regalo per il mio compleanno avevo chiesto inizialmente il nuovo lavoro degli U2 ma poi ho optato per quello degli Bell X1, uscito oggi in Italia e che potete ascoltare interamente nella colonnina qui a destra. Gli U2 hanno deciso di spostare il loro business in Olanda per ragioni fiscali e alcune organizzazioni umanitarie irlandesi lanciato una campagna di boicottaggio. Io con loro.

sabato, marzo 14, 2009

Making a virtue out of a moral impasse

Sempre a proposito della conferenza su MacIntyre, qui trovate il video della lezione pubblica e qui un bel po' di foto, ben fatte.
Questo invece e' un articolo apparso sull'Irish Times di oggi.

Making a virtue out of a moral impasse
PAUL GILLESPIE

Sat, Mar 14, 2009

WORLD VIEW: ABOUT 500 people packed out a UCD lecture hall yesterday week to hear a lecture by Alasdair MacIntyre entitled “On Having Survived the Academic Moral Philosophy of the 20th Century”. Described by former UCD president Paddy Masterson as one the greatest living philosophers, a conference there celebrated his 80th birthday by examining aspects of his work (see www.macintyreanenquiry.org).


Introducing his lecture, he referred to Ray Kinsella’s invocation of his work in this newspaper as the possible source of an alternative morality to that which gave rise to the current financial and economic crisis. MacIntyre explained he was not going to propose such a solution. But many of those attending were keen to hear how his account of ethics might yield such insights. He concluded it is necessary to live on the intellectual and political margins to be able to see things as they really are, even while drawing on the philosophical mainstream.

MacIntyre’s distinctive blend of Aristotelian, Thomist and Marxist approaches to ethical engagement has made him a celebrated figure in that discipline – and well beyond it. He is a trenchant critic of advanced capitalist modernity and its characteristic liberal individualist ethos. Most people living in this world do not have a meaningful sense of purpose, experience a genuine community and lack a moral code.

He draws on the ideal of the Greek polis to propose a different way of life in which people work together practically. That possibility can be sustained in small exemplary communities resisting the destructive forces of liberal capitalism as best they can.

In his book After Virtue (1981) he puts it like this: “The tradition of the virtues is at variance with central features of the modern economic order and more especially its individualism, its acquisitiveness and its elevation of the values of the market to a central social place.”

By the virtues he means acquired human qualities, “the possession and the exercise of which tends to enable us to achieve those goods which are internal to practices and the lack of which effectively prevents us from achieving any such goods . . . we have to accept as necessary components of any practice with internal goods and standards of excellence the virtues of justice, courage, and honesty.” Other virtues arising from the Greek and Christian traditions and seen as necessary by them for the good life are temperance, prudence, faith, hope and love.

MacIntyre argues that with modernity there came a vast fragmentation and instrumentalisation of moral life. It has increasingly been matched in moral philosophy.

His lecture traced how excellence in that discipline has come to be evaluated by “the quality of one’s analytic and argumentative skills, especially in their negative use to expose failures in the distinction-making of others or gaps in their arguments, together with an ability to summon up telling counter-examples ‘‘. . . Disagreement on fundamental issues is taken to be the permanent condition of philosophy.” This is unsatisfactory because it reduces most ethical disputes to matters of opinion or emotion, rather than of reasoned argument about how best to achieve and live a good life. To understand how that could be possible one must break with the ahistorical, armchair introspection characteristic of contemporary English-language moral philosophy and reconnect such theorising first with social practice and then with such human sciences as sociology and anthropology.

“We need to begin again and to do so by returning to the social context in which we learned the use of ‘good’ and its cognates. What we first had to learn was how to make the distinctions between what we desire and the choiceworthy, and between what pleases those others whom we desire to please and the choiceworthy.”

People learn (or do not learn) to discipline and transform their desires in particular settings such as housework, farmwork, making furniture and playing soccer – or becoming valued as human beings when they are recruited to the US marines.

MacIntyre offered a definition of such practical knowledge: “This discovery of a directedness in ourselves towards a final end is initially a discovery of what is presupposed by our practice, as it issues in a transformation of ourselves through the development of habits of feeling, thought, choice and action that are the virtues, habits without which – even if in partial and imperfect forms – we are unable to move towards being fully rational agents.”

Philosophers do not have the individual experience to justify their introspective method and are in any case constrained socially. While it is possible to imagine an alternative university regime – MacIntyre’s next book is entitled God, Philosophy, Universities and Masterson asked mischievously what it would take for UCD to exist on the margins – only such a reconnection of life and theory, of meaning and use, and of relating the practice of moral philosophy to living virtuously, offers a way out of this impasse.

MacIntyre’s work attracts such ostensibly unlikely partners as Marxists inspired by MacIntyre’s early but abiding critique of Stalinism, and Catholics who find his criticism of relativist secular liberalism correctly grounded in Thomas Aquinas’s philosophy. Aristotle is common to these positions (although their encounters can occasionally be comically incomprehending, for example on original sin).

So is their hope and conviction that an alternative life to that on offer from advanced capitalist modernity – now in deep crisis – is possible.

© 2009 The Irish Times

giovedì, marzo 12, 2009

After MacIntyre

Dopo quattro giorni indimenticabili sono tornato alla normale attivita' di insegnante. Il convegno su e con MacIntyre e' stato a dir poco eccezionale. Se qualcuno e' interessato, oltre che delle relazioni scritte, sono in possesso delle registrazioni degli interventi e dei commenti di Alasdair.
Intanto vi annuncio che il suo prossimo lavoro, che uscira' ad Aprile, contiene un capitolo su Newman e si intitola God, Philosophy, Universities: A Selective History of the Catholic Philosophical Tradition.

giovedì, marzo 05, 2009

Chi l'ha detto?

"La cifra dell’umanità è prendersi cura degli altri, e questo lo posso fare soltanto stando a sinistra."
Chi l'ha detto?

Leggi tutta l'intervista comparsa su Liberazione.

mercoledì, marzo 04, 2009

Il valore di una vita 'senza valore'

IL VALORE DI UNA VITA "SENZA VALORE"

È passata purtroppo inosservata la lettera che David Cameron, leader dei Conservatori inglesi, ha inviato via mail a tutti coloro che hanno espresso solidarietà a lui e a sua moglie Samantha dopo la morte del figlio Ivan, di sei anni. Ieri solo il Corriere della Sera l’ha riportata, a pagina 19. Peccato, perché quella lettera ha molte risposte da dare a quanti in queste settimane hanno avanzato dubbi sul valore della vita di persone gravemente handicappate, oppure in coma. «Ma è vita, quella?», si chiedono in molti, dando per scontata la risposta: no, non è vita. «Vivere così non ha senso», dicono.

Il piccolo Ivan era, dalla nascita, affetto da paralisi cerebrale ed epilessia. Era destinato a una morte certamente prematura, come infatti è avvenuto, e non ha potuto godere nulla delle gioie dell’infanzia: né giochi né corse, né parole né pensieri, almeno nel senso che intendiamo noi per pensieri. Ma quale «senso» abbia avuto la sua breve vita l’ha scritto suo padre, in quella mail, con parole commoventi: «Abbiamo sempre saputo - ha scritto - che Ivan non sarebbe vissuto per sempre, ma non ci aspettavamo di perderlo così giovane e così all’improvviso».

La sua morte, per i genitori, non è stata affatto quella «liberazione» invocata da altri genitori che hanno vissuto drammi simili. «Lascia un vuoto nella nostra vita - ha scritto ancora David Cameron - così grande che le parole non riescono a descriverlo. L’ora di andare a letto, l’ora di fare il bagno, l’ora di mangiare: niente sarà più uguale a prima».

Vado avanti: «Ci consoliamo sapendo che non soffrirà più, che la sua fine è stata veloce, e che è in un posto migliore. Ma, semplicemente, manca a noi tutti disperatamente. Quando ci fu detto per la prima volta quanto fosse grave la disabilità di Ivan, pensai che avremmo sofferto dovendoci prendere cura di luima almeno lui avrebbe tratto beneficio dalle nostre cure. Ora che mi guardo indietro vedo che è stato tutto il contrario. È stato sempre solo lui a soffrire davvero e siamo stati noi - Sam, io, Nancy ed Elwen(la moglie e gli altri figli,ndr) - a ricevere più di quanto io abbia mai creduto fosse possibile ricevere dall’amore per un ragazzo così meravigliosamente speciale e bellissimo».

«Ricevere»: in questo verbo semplice e straordinario c’è tutto il mistero della potenza di uno dei più grandi - forse il più grande - tabù del nostro tempo, la sofferenza. In queste settimane in cui mi sono dovuto occupare del caso di Eluana Englaro, ho ascoltato attentamente le argomentazioni di tutti, politici e filosofi e prelati, ma quella che mi ha convinto di più è contenuta nelle pochissime,scarne parole che mi ha detto, durante una chiacchierata sotto la sede del Giornale, un nostro collega, Felice Manti: «Eluana è stata eliminata perché era Cristo in croce. Era un segno visibile e tangibile dell’ineluttabilità, nella nostra vita, della sofferenza».

La sofferenza è lo scandalosupremo, e di fronte ad essa reagiamo cercando (invano) di espungerla dal nostro orizzonte. Ma David Cameron ci dice ora quello che molti altri hanno sperimentato: e cioè che la sofferenza (oserei dire: forse nulla più della sofferenza) può avere il potere di renderci migliori, più attenti al dolore degli altri; di scoprirci capaci di amare e di sentirci amati. Chi vive situazioni del genere fa spesso esperienza di una fraternità che mai, prima, avrebbe immaginato possibile. Ecco «a che cosa serve» unavita come quella di Ivan Cameron. Una vita lontana anni luce dai criteri di felicità e benessere del nostro tempo: eppure capace di produrre una catena di amorechechissàquandocesserà di dare frutti. Una vita breve.

Ma che cosa è breve e che cosa durevole? «Davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo» (Seconda lettera di Pietro, 3,8). PS: Ne approfitto per rispondere ai molti lettori che mi hanno criticato, e spesso coperto di insulti che nonf anno onore alla causa pro-life, per aver io scritto di essere contrario alla denuncia per omicidio volontario contro il papà di Eluana. Spero capiscano che è con le testimonianze alla David Cameron, e non con la richiesta di mettere in galera chi non ce la fa, che si può rendere un servizio alla vita e all’amore.

di Michele Brambilla

Il Giornale 3 Marzo 2009

martedì, marzo 03, 2009

Traslation right or wrong

Oltre al convegno su MacIntyre questa settimana a Dublino si volge anche questa interessantissima conferenza che prevede la partecipazione di Lawrence Venuti. Peccato non poterci essere.

lunedì, marzo 02, 2009

MacIntyre Conference at UCD

Questo e' il programma della conferenza che il mio dipartimento a UCD ha organizzato per celebrare gli 80 anni di Alasdair MacIntyre.
Se qualcuno e' interessato ma non puo' partecipare posso fornigli i testi degli interventi che verranno presentati.



What Happened in and to Moral Philosophy in the Twentieth Century?
Celebrating Alasdair MacIntyre
University College Dublin, 6-8 March 2009

Friday 6 March
Theatre B005, Health Sciences Building
13.00: Registration

14.00 -16.00
Panel on Alasdair MacIntyre
KELVIN KNIGHT (London Metropolitan University): MacIntyre’s revisionary aristotelianism
HANS FINK (Aarhus University): Against the self images of the age. MacIntyre and Løgstrup
DAVID SOLOMON (University of Notre Dame): MacIntyre and the applied ethics revolution
Chair: SEÁN MAC GIOLLARNÁTH (University of Reading)

Coffee
16.30-17.45
RICHARD KEARNEY (Boston College/University College Dublin): Forgiveness: possible or impossible? - on Arendt, Derrida, Ricoeur, Jankelevitch
Chair: DERMOT MORAN (University College Dublin)

18.30 – 19.15
RECEPTION, Concourse C, Health Sciences Building
19.30
Theatre B005, Health Sciences Building
DR HUGH BRADY, President of University College Dublin: Official welcome
ALASDAIR MACINTYRE: On having survived the academic moral philosophy of the twentieth century
PATRICK MASTERSON: Response
Chair: FRAN O’ROURKE (University College Dublin)

Saturday 7 March
Global Irish Institute

9.45-11.00
RAYMOND GEUSS (University of Cambridge): Marxism and the ethos of the twentieth century
Chair: GERARD CASEY (University College Dublin)

Coffee

11.30-12.45
STEPHEN MULHALL (New College, Oxford): Naturalism, nihilism and perfectionism: Stevenson, Williams and Nietzsche in twentieth century moral philosophy
Chair: MAEVE COOKE (University College Dublin)

Lunch

14.00-16.00
Panel on Thomas Aquinas
STEVEN LONG (Ave Maria University, Florida): The perfect storm: on the loss of natural teleology as a normative theonomic principle in twentieth century moral philosophy
JAMES MCEVOY (Queen’s University, Belfast): Parallel projects: Alasdair MacIntyre’s virtue ethics, thomistic moral theology (Servais Pinckaers) and thirteenth-century pastoral theology (Leonard Boyle)
MICHAEL SHERWIN OP (Université de Fribourg): Rediscovering Aquinas’ Augustinianism: an interpretation of some twentieth century Dominican theologians
Chair: MICHAEL DUNNE (National University of Ireland Maynooth)

Coffee

16.30 – 17.45
ELIJAH MILLGRAM (University of Utah): Relativism, coherence, and the problems of philosophy
Chair: MARIA BAGHRAMIAN (University College Dublin)

19.30: CONFERENCE BANQUET, Kildare Street and University Club, 17 St Stephen’s Green

Sunday 8 March
Global Irish Institute

11.00: Coffee

11.30-12.45
JONATHAN RÉE: The fetishism of morality
Chair: ISEULT HONOHAN (University College Dublin)

14.30-16.30
Panel on Alasdair MacIntyre
ADAM CHMIELEWSKI (University of Wrocław): Truthfulness to community. MacIntyre and the dialectics of traditions
ARTHUR MADIGAN (Boston College): Alasdair MacIntyre, thomistic aristotelianism, and revolutionary aristotelianism
OWEN FLANAGAN (Duke University): Alasdair MacIntyre on the un-easy relation(s) between the human sciences and ethics
Chair: JOSEPH DUNNE (St Patrick’s Training College, Dublin)


Coffee

17.00
ALASDAIR MACINTYRE: Envoi