giovedì, novembre 22, 2012

CampariedeMaistre: Il caso Savita e l'aborto "terapeutico"

CampariedeMaistre: Il caso Savita e l'aborto "terapeutico": di Giuliano Guzzo




Savita Halappanavar, giovane di origine indiana, è morta nei giorni scorsi in Irlanda a causa dell’aggravarsi delle proprie condizioni in seguito ad un aborto che i medici, nonostante i forti dolori accusati e le sue richieste, hanno tardato a praticarle motivando questo diniego – così si dice – sulla base della loro fede cattolica. Non è chiaro se l’aborto, se fosse stato praticato quando lei lo chiese, e cioè pochi giorni prima rispetto a quando poi è stato effettuato, le avrebbe allungato l’esistenza; sta di fatto che a questo dramma sta già facendo seguito, com’era prevedibile, una fortissima campagna a favore di una legislazione abortista in un Paese, l’Irlanda appunto, che a tutt’oggi ne è privo. La notizia ha naturalmente sollevato forti polemiche anche in Italia come dimostra, per esempio, il portale dell’Uaar, nel quale è addirittura riportato che Savita è «morta perché l’Irlanda “è un paese cattolico”. Tanto è cattolico, che vi si può morire perché i medici rifiutano un aborto, anche se è in pericolo la vita di una madre» [1].

Ora, dinnanzi a simili sparate sono necessarie, per depurare la realtà da pregiudizi e insinuazioni, alcune brevi ma essenziali precisazioni, anzitutto di natura giuridica: in Irlanda l’aborto è sì illegale, ma il cosiddetto “aborto terapeutico [2]” – quello che, se effettuato qualche giorno prima, avrebbe potuto impedire (anche se non è certo) la morte della povera Savila – è consentito. Infatti, l’articolo 40.3.3 della Costituzione irlandese riconosce a chiare lettere «
il diritto alla vita del nascituro unborne, salvo restando il diritto alla vita della madre» [3] e la Suprema Corte ha specificamente riconosciuto che, nel caso in cui la gravidanza costituisca un rischio reale e sostanziale per la vita (non per la salute) della donna, ivi incluso un rischio di suicidio, la protezione accordata al diritto alla vita consente, ancorché in via eccezionale, l’aborto [4].
Quel che in Irlanda manca non è quindi la possibilità per donne nelle condizioni di Savila di abortire, bensì un provvedimento che definisca accuratamente la procedura «da seguire per comprendere se un caso concreto» ricade o meno «nell’ipotesi eccezionale di rischio reale e sostanziale per la vita della madre» [5], anche se su Irish Indepedent l’avvocato Eilís Mulroy ha ricordato come «la scelta di indurre il travaglio precoce», oltre ad essere conforme – come abbiamo visto – alla legge, sia esplicitamente prevista dalle linee guida emanate dal Consiglio dei medici irlandesi [6]. Ne consegue che il diniego alle richieste di Savita (sul cui decesso sono in corso opportuni accertamenti) di abortire, non sarebbe da ascriversi – come viene fatto ingannevolmente credere – a dei divieti ma, tutt’al più, alla mancata chiarezza di alcuni regolamenti attuativi.
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mercoledì, novembre 07, 2012

Forward!

Forward!:
Obama-Forward
When men have come to the edge of a precipice, it is the lover of life who has the spirit to leap backwards, and only the pessimist who continues to believe in progress.
G. K. Chesterton
HT: http://www.brutallyhonest.org

domenica, novembre 04, 2012

Tremende bazzecole - Il suicidio di un bambino a Roma è uno squillo di tromba che chiama gli adulti alla battaglia educativa (Annalisa Teggi su Tempi)

Tremende bazzecole - Il suicidio di un bambino a Roma è uno squillo di tromba che chiama gli adulti alla battaglia educativa (Annalisa Teggi su Tempi):


A Roma un bambino di 10 anni si è impiccato in bagno, mentre era a casa dei nonni. Questa non è una notizia di cronaca nera, è uno squillo di tromba che ci chiama in battaglia. È un grido forte, tragico e lacerante che risveglia il nostro intorpidito silenzio. C'è attorno a noi una sostanza viva e ferita di realtà che è ovattata dallo strabordante chiasso della sovra-comunicazione che ci sommerge. Dov'è la conoscenza che abbiamo perso nell'informazione? (si chiedeva T. S. Eliot).
C'è da far guerra al silenzio di conoscenza che ci assedia. Dietro ogni semplice fatto umano balena una scintilla di vero sulle nostre cose più intime e fondamentali, e ciò che quella scintilla indica va oltre l'informazione. Quel senso di vulnerabilità che sento su di me leggendo le poche scarne righe riguardo alla vicenda di questo bambino non voglio tamponarlo riempiendomi di dettagli sul fatto, e neppure di spiegazioni del fatto. Ci sento del mio in questo dolore impotente.
Non mi importa la causa effettiva di questa tragedia, sia essa la separazione dei genitori, il bullismo, la voglia di emulazione della violenza vista chissà dove o quant'altro. Perché – in fondo – la causa la conosco guardando me stessa, e delle ipotesi di psicologi e giornalisti non me ne faccio nulla. È una debolezza che mi riguarda e la riconosco: è qualcosa che è a monte di problemi gravi come il divorzio, il bullismo, l'emulazione ed è la fiacca debolezza da parte nostra (di adulti) di porgere un segno visibile e positivo che sia risposta all'eterno, quotidiano, gigantesco e originale bisogno di educazione che i nostri figli e alunni ci chiedono.
Un bambino che si suicida può avere ogni sorta di storia triste e tremenda alle sue spalle; in mille modi il mondo è capace di colpire chi è più esposto con l'orrore o l'insensatezza del male. Non è questo lo scandalo, per quanto doloroso sia. Lo scandalo è che il fronte umano sia così sguarnito da permettere che i più piccoli e i più esposti cadano. Siamo noi il punto debole, siamo sentinelle addormentate. Il fortino dell'educazione vacilla, ma non semplicemente a scuola – in noi stessi. Di fronte al celebre motto umanitario ottocententesco «Save the children» (non l'organizzazione che attualmente prende questo nome) il signor Chesterton rilanciò la posta in gioco sugli adulti:
«Finché non si salveranno i padri, non si potranno salvare i bambini e, allo stato attuale, noi non possiamo salvare gli altri, perché non sappiamo salvare noi stessi. Non possiamo insegnare cosa sia la cittadinanza se noi stessi non siamo cittadini; non possiamo dare ad altri la libertà se noi stessi abbiamo dimenticato l'ardente desiderio di libertà. L'educazione è semplicemente la trasmissione della verità; e come possiamo passare ad altri la verità se noi non l'abbiamo mai avuta tra le mani?» (da Cosa c'è di sbagliato nel mondo).
Qui non si parla di pedagogia scolastica o di psicologia familiare, perché non si parla di norme, o teorie sociologiche, ma di una piccola e solida proposta positiva di vita che i figli possano vedere all'opera in un genitore o in un insegnante non mentre sgrida o spiega, ma mentre vive accanto a loro. L'educazione è una chiara ipotesi di vita in atto. Non è un rassicurante placebo psicologico studiato a tavolino, ma è un autorevole giudizio all'opera nel vivere. È un solido punto di autorevolezza alle spalle e nell'orizzonte della coscienza viva di ogni persona. Quella roccaforte da cui non si recede, che è insieme il nido e la strada per il viaggio della vita. Qualcosa che sia un solido punto di appoggio e anche apertura, che sottragga la vita da qualsiasi sbiadita visione neutrale.
Un pacato e ragionevole discorso che metta equilibrio tra le cose non è educativo (del tipo: "il matrimonio è una scelta di mamma e papà, ma anche il divorzio è una scelta di mamma e papà"), perché non valorizza entrambe le ipotesi, ma le precipita nell'indistinzione reciproca. L'educazione deve essere parziale e creativa, perché il suo compito primo è negare che un essere umano vivo sia qualcosa di neutrale o indifferente. I bambini su questo non li freghi. Riconoscono l'autorevolezza e la riconoscono in chi ha il coraggio di fare scelte di preferenza. Noi adulti possiamo stare in salotto a gingillarci di chiacchiere e teorie, accontentantoci di un semplice e civile confronto tra le parti, ma il bambino ha la radicale purezza di aggrapparsi tenacemente a chi – invece – gli porge il barlume di una certezza difesa con entusiasmo.
La neutralità per il bambino non esiste, perché sta sempre da una parte o dall'altra, e vuole una parte in cui stare; neutralità per lui equivale a «nulla» e – per sua fortuna – lui ha gli occhi di chi vede ancora qualcosa in tutto. L'ombra della civile tolleranza, che ammorbidisce i contrasti tra le cose, ne uniforma la dignità e tende a istigarci a pensare che sia un valore aggiunto considerare ogni verità come relativa, è l'alleato naturale dello sconforto e del suicidio. Perché semina la nebbia dell'indifferenza, in mezzo a cui la scure delle contraddizioni della vita, quando arriva, trova vittime facili.
Il suicidio di un bambino è un delitto che entra in casa nostra, mette a nudo una debolezza educativa nostra. Così, infatti, prosegue il signor Chesterton, nel brano prima citato: «Gran parte della libertà moderna è, alle radici, paura. Non è tanto che noi siamo troppo audaci per sopportare le regole, è che siamo troppo paurosi per sopportare le responsabilità. Mi riferisco alla responsabilità di affermare la verità della nostra tradizione umana e di tramandarla con la voce dell'autorità, una voce insopprimibile. Questa è la sola ed eterna educazione: essere così sicuri che qualcosa è vero da avere il coraggio di dirlo a un bambino».
@AlisaTeggi