venerdì, novembre 26, 2010

Il furbo, il santo, il paraculo

Roberto Saviano tra Loris Mazzetti e Fabio Fazio. Come un protagonista del grande teatro antimafia è caduto nella botola televisiva del luogo comune


E’ una potente trasmissione televisiva che si segue a bocca aperta ma respirando dal naso. Una messa cantata dove ci s’immerge mondandosi dei propri peccati, tenendosi per mano, mettendosi a posto la coscienza perché, insomma, se ci si fa novero tra i dieci milioni di ascoltatori di “Vieni via con me” – anche se di fiato corto, anche se arcitaliani – a ciascuno di noi è data l’ebbrezza di specchiarsi nella parte giusta, nella schiera vittoriosa, tra gli angeli del culturalismo e della virtù civile. E poco male se poi, ognuno di noi, tra i dotati di malizia e di corroborante cinismo, dovremmo farlo finire a fischi e a piriti (leggasi scoregge) questo Te Deum, giusto come ha fatto Umberto Bossi col suo pernacchio, perché – si sa – ci vuole un poco di vento in chiesa, altro che, ma non al punto di spegnere tutte le candele della libertà mentale.Ogni pernacchio ha una stretta eco con lo spernacchiato, sono sempre le belle bandiere ad eccitare le pulsioni più grevi, Saviano è anche il mio labaro, onusto di medaglie, ma neppure si può fare, come ha fatto il Giornale, di lanciare in prima pagina una campagna contro Roberto Saviano e manco stampare in bella evidenza la vera notizia: l’arresto di Antonio Iovine, il camorrista.Fare quegli ascolti che ogni volta si leggono come l’effetto di un formicaio in assedio alla torta del potere ha la funzione di un lavacro di giustizia. Purtroppo lo stesso arresto di Iovine, in questi tempi così malati di odio, grazie alla raffinata manipolazione di quelli col bicchiere in mano (quelli “dell’egemonia culturale, entrando da sinistra”, come giustamente se ne lamenta Ezio Mauro) è risultato quasi quasi ambiguo, una sorta di stroncatura di “Gomorra”, un po’ come la sparatoria sul pianerottolo di Maurizio Belpietro. Ci fosse stata una pistolettata davanti alla porta di Barbara Spinelli, l’Italia civile sarebbe ancora oggi mobilitata, specchiata di sicuro nel trionfante formicaio, affamato di legalità e giustizia. Ma purtroppo è solo la santificazione della geniale banalità quando si fa spettacolo. Questo è il “Vieni via con me” e Fini e Bersani, infatti, ridotti nel ruolo di “portavalori” (copyright di Aldo Grasso), messi sotto l’occhio di bue del narcisismo con l’elenco dei rispettivi valori, non sono la novità della destra e della sinistra, sono soltanto la versione poetica e furba del risotto cucinato da Massimo D’Alema nel salotto di Bruno Vespa.La manipolazione è sofisticata per definizione e leggere in tre righe tre Curzio Maltese che schiera un giornale contro la critica laureata (Aldo Grasso, il nostro eroe), rea questa stessa critica di aver laurea e titoli di poter discutere della trasmissione-missione, quasi quasi c’indispettisce perché in quelle tre righe Maltese ci ruba il mestiere: “Chi se ne frega della critica laureata”, dice. Magari non ha la rude e futuristica irruenza degli squadristi ma, ci chiediamo, come dovrebbe essere la critica, analfabeta? Solletica già da sinistra, pur con bicchiere in mano, una deriva plebiscitaria? A forza di mettersi nel sacco l’incolpevole Saviano, bisogna pur dirlo. Ecco, si sono ridotti a replicare Mario Scelba e le sue invettive contro il culturame. Proprio un brivido. E tutto questo per festeggiare la morte del berlusconismo televisivo.Farsi presepe in tre, poi – perché sono tre i veri protagonisti della funzione, ovvero Loris Mazzetti, Roberto Saviano e Fabio Fazio – replica in automatico la santa trinità di san Giuseppe, la Madonna e il Bambinello. A poco a poco, però, nella morte del berlusconismo televisivo, si sfiora la sceneggiata con tanto di Isso, Issa e o’ Malamente. E tutta quella gioiosa ascesi nel paradiso del successo cui nessun monumento dell’immaginario collettivo democratico si nega (sia esso Abbado, sia Benigni, sia gli Avion Travel) fa precipitare tutto nella cara commedia all’italiana. Ed è perciò che tutti e tre ben s’individuano nei ruoli. Rispettivamente un Furbo, un Santo e un Paraculo.Il furbo è Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre, furbissimo e bravissimo, cui la sciagurata iniziativa dell’azienda Rai di volerlo licenziare gli porterà in dote un immediato reintegro e, di conseguenza, un assoluto potere extraterritoriale derivato dalla magistratura. E senza tema di dover rispondere all’azienda, al suo stesso editore, a qualsivoglia dirigenza Rai perché il grande furbo, una volta riportato in sella da un giudice, potrà sempre fare ostensione di certificato martirio. Avrà voglia Mauro Masi di rimetterlo in riga. Solito tempo perso o, al più, una moltiplicazione di pubblicità che il furbo Mazzetti metterà all’incasso. E tra i ricavi non mancheranno di certo le preziose gocce di quella pioggia di scomuniche asperse da Avvenire dopo le esibizioni di don Gallo (coautore con lo stesso Mazzetti di un libro edito da Aliberti), additato quale “servo narciso” dal giornale dei vescovi ma considerato pezzo forte della macchinazione dove la radice forte è sempre furba, santa e paracula. Il paraculo è Fabio Fazio di cui abbiamo già dato, tutto si sa ed è bravissimo nel suo essere il monumento della vera Italia. La nazione tutta, infatti, gli assomiglia. Anche nel suo essere di sinistra è molto italiano. Lui è quell’italiano migliore, quello che si fa cittadino consapevole, ceto medio con le riflessioni, borghese dai principi solidi e ancor più saldi convincimenti, insomma: uno che si para sempre il culo. Basti pensare alla disperazione di Roberto Zaccaria, ai tempi della sua stagione in Rai, quando doveva togliere dalle reti un eventuale Piero Chiambretti per non urtare la solitaria ascesi di Fabio Fazio (terrorizzato da un probabile arrivo di Antonio Ricci) e magari nel frattempo alzare alti lai per la prevaricazione di Bruno Vespa, egemone in tutti i giorni della settimana su Raiuno. Tutto si sa di Fazio, è vero, ma solo in ristretta cerchia esoterica, quella dei detrattori, esclusi dalla santa messa penitenziale dei dieci milioni di ascoltatori, ma poiché non è reato augurargli di finire un giorno nella scuderia di Lele Mora, glielo auguriamo caldamente perché – e stiamo usando una parola scelta da Ezio Mauro per Saviano – adesso è proprio “troppo”. Ma nel caso specifico troppo paraculo. Santino nelle mani del Furbo e del Paraculo è Roberto Saviano. E a lui vanno le preghiere nostre, la mia in particolare, adesso che ha scelto di fare la calata agli inferi, quelli della telegenia, specie quella conformista. I giornali sono pieni di editorialisti che odiano Saviano ma che in pagina, al contrario, lo elogiano. Io che invece lo considero un patriota voglio trattarlo su questa pagina con la nostra cameratesca consuetudine e dirgli di stare attento alla piega che quei due stanno facendo prendere alle piaghe della sua stessa santità, lo hanno infatti costretto all’ostensione di un nuovo romanticismo pop e basta più. Con un grave danno: la demagogia. Quella che separa. Quella di Saviano, se è permesso dirlo, smette di essere un’operazione contro la criminalità nello stesso momento in cui lui stesso si presta ad argomenti speculari a chi l’Italia vuole dividerla. A chi accusa il sud non si risponde accusando il nord e non perché ci sono più meridionali in settentrione di quanti possano essercene nel mezzogiorno ma perché se là sopra ci sono quelli che il tricolore lo hanno messo nel cesso, il tricolore bruciato lo abbiamo già visto a Terzigno, capitale immorale di quella pentola a pressione che sta già in avanzato bollore, capitale di un regno che sta cercando il suo re. E Saviano, che a differenza di quanto ha scritto Ezio Mauro, non è un uomo solo contro il potere, non deve cadere nelle botole del luogo comune.Se si contrappone al sud il nord per spostare in avanti la famosa “linea della palma” – quella della lezione di Leonardo Sciascia secondo cui il deserto della malavita si prende un orizzonte sempre più vasto – ci si mette a capo di una rivendicazione semplificatrice che cassa definitivamente la verità. Come quando, inseguendo Giulio Andreotti, si diceva che la mafia era solo quella di Roma. A voler ridursi, come ha fatto Saviano, ad essere “un esponente del sud”, si dà linfa a quell’istinto di separazione che tanto piace al protoleghismo. E anche quelli con il bicchiere in mano, speculari ai nemici del sud, pur dai loro salotti, da sinceri democratici partecipano a una deflagrazione che è solo demagogia. E non, certo, solidarietà, sostegno ai poliziotti e costruzione dello stato. Quando, insomma, alle calunnie contro il sud si replica con accuse contro il nord, non si sta più facendo la guerra ai separatisti dell’Italia ricca, al contrario: si è diventati nemici di Carlo Azeglio Ciampi. E un patriota non può essere capo di una plebe, sia pure mistica, qualcuno deve dirglielo a Saviano. E glielo dico io, cameratescamente. La strada che ha intrapreso Saviano non ha che questo sbocco, costretto com’è nella scorciatoia dai furbi e dai paraculi: quello di restare “un esponente del sud” a rischio di plebeismo, capo dunque di una plebe mistica. E’ quella che lui stesso, in un divertente lapsus prontamente annotato col nostro lapis, definisce, anzi, evoca, come “il mio pubblico”. Qualcuno deve dirglielo di non fare auto-proclami che possano infine ridurlo a caricatura, tipo “Madonna in cammino sulla terra dei peccatori”. Altrimenti, la prossima volta che faranno quelli dello share, canteranno in coro “Mira il tuo popolo, o bella Signora”? Glielo dico io, cameratescamente: si deve diffidare di quel pubblico. E mi ripeto: non c’è tanta differenza tra chi il tricolore lo butta nel cesso e chi, come a Terzigno, dove lo vorrebbero re, il tricolore lo brucia.Saviano che è fatto santo, un santino messo in mezzo da un furbo e da un paraculo, non è certamente uno di quelli da cravatta stretta e camicia button-down. La sua faccia è perfetta e sa attraversare i mondi, tutti quelli insospettabili, rispettabili ma fuori codice, fuori dunque dalla cerchia dei furbi e dei paraculi. Alla sua vita così complicata aggiunge uno stordimento fatto di rimandi ormai totemici, anche quando i suoi detrattori gli fanno il favore di andargli contro abbaiando. Perfino i camorristi sono diventati più innocui e Saviano sa bene quanto più spietati possono diventare i furbi e i paraculi, e tutti i demagoghi benpensanti. Belli furono i tempi delle sue riunioni con i ragazzi dello Straniero, la rivista di Goffredo Fofi. Stavano tutti ad ascoltare a bocca aperta e respirando dal naso, tutti immersi nella sacra ostensione della verità fatta letteratura innanzi all’ufficio di Fofi, disturbato solo dal continuo chiacchiericcio del mitico Spada, un fotoreporter amico di Saviano. A un certo punto Fofi s’interrompe infastidito e intima a Saviano: “Roberto, prendi quello e portalo fuori da qui”. Spada si mette in piedi, s’aggiusta il giubbotto, si porta sotto il muso del venerato maestro e gli ruggisce (con fare educato): “Ne’ Giacubi’, statte accuorto”. Uscirono insieme e andarono a divertirsi. Oltre le paludi della letteratura e dell’impegno.Vecchi giacobini tornano, tornano sempre. Saviano ha sempre la faccia perfetta e il fatto che lui abbia scelto di stare però dalla parte giusta, furba e paracula, impedendo a tanti di condividere la sua santità, ci conforta comunque perché lui non si riduce a vanità. Magari cederà alla tentazione di sottoscrivere quanto ha scritto Ezio Mauro sul caso Saviano: “Un bisogno di cambiare programma non solo in tivù, ma nel paese”. Magari, appunto, cederà nell’illusione che con lui sia veramente nato un linguaggio nuovo, un significato diverso, un differente codice e non – come temiamo, perché sempre di tivù si tratta – solo una versione poetica e furba del solito vecchio risotto di D’Alema, ma che ci s’infili nell’amore, o nella passione sociale, da che mondo è mondo il romanticismo è impolitico. Qualcuno deve dirglielo e glielo dico io, cameratescamente. Per come mi dice sempre lui. Se ha scelto di sottrarsi alla letteratura per farsi riproducibile quanto a icona ma irriducibile quanto a santità, Dio ce ne scampi, può solo correre un serio rischio: diventare solo un nuovo Yuppi Du.


© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Pietrangelo Buttafuoco

martedì, novembre 23, 2010

Irlanda e non solo: crescita tanto esaltata quanto fragile

Quei tigrotti d’Europa ridotti a pulcini spiumati

In una prima fase, all’inizio degli anni Novanta, si era ironizzato chiamandoli il "club Med": si pensava che Grecia, Portogallo e Spagna non ce l’avrebbero mai fatta ad entrare nell’area dell’euro (allora in via di creazione) e che l’Irlanda ne sarebbe rimasta schiacciata dall’accresciuta concorrenza. Poi, tra il 1998 e il 2008, hanno sorpreso vari osservatori per l’elevato tasso di crescita (vero in due casi, presunto negli altri due): in quei dieci anni, i Pil pro capite dell’Irlanda, della Spagna, della Grecia e del Portogallo sono passati rispettivamente dal 106,1% della media dell’area dell’euro al 123,8%, dall’83,3% al 94,5%, dal 72,3% all’86,2% e dal 69,3% al 71,6%. Peccato che la contabilità nazionale della Grecia lasci a desiderare tanto quanto la finanza pubblica ellenica.

E il Portogallo abbia avuto una crescita più mediatica (il ponte sul Tago, l’abbellimento di Lisbona) che effettiva. Oggi, la comunità internazionale ha appena completato una prima azione di salvataggio della Grecia ed è al capezzale dell’Irlanda. Mentre Spagna e Portogallo rischiano il pronto soccorso.
Cosa è successo? In parte l’abbiamo spiegato su Avvenire del 14 novembre: la nascita dell’unione monetaria è stata percepita come una fase di "grande moderazione" caratterizzata da bassi tassi d’interesse e ampio credito dal resto dell’area.

Ne è seguito un forte indebitamento che ha, a sua volta, causato una rapida ascesa del credito totale interno collocato verso investimenti (per lo più immobiliari) a basso rendimento , mentre, in aggiunta, la produttività ristagnava. In questo quadro generale, ci sono caratteristiche specifiche. In Irlanda si è tentato di attirare investimenti diretti esteri in alta tecnologia con una tassazione molta bassa sugli utili, ma a conti fatti poche aziende veramente innovative si sono spostate verso la piccola "tigre celtica" la cui regolamentazione pareva lasca e la cui crescita era al traino della Gran Bretagna (mai entrata nell’euro). Così, quando per l’Isola Verde l’alta tecnologia si è rivelata un’illusione, ci è buttati sull’edilizia.

E i costruttori sono stati, dati alla mano, i principali finanziatori delle campagne elettorali dei vari partiti della Repubblica. In Spagna, la liquidità è corsa verso l’immobiliare (anche perché c’erano poche alternative concrete) mentre altre politiche pubbliche incoraggiavano la denatalità. Ora il Paese dispone di un patrimonio di case edificato con indebitamento estero e tale da soddisfare qualcosa come tre generazioni: la bolla è così esplosa all’interno e nei conti con il resto del mondo. Ancora, i tecnici dell’Eurostat avevano espresso serie perplessità sui conti della Grecia e sulla loro compatibilità con le regole di Maastricht: sono stati sostituiti per fare entrare gli eredi dell’Ellade (considerata la culla della civiltà europea) nell’areopago del continente. E il Portogallo? "La grande moderazione" ha portato conti in rosso senza crescita a ragione dei forti investimenti, oltre che nell’edilizia, nell’arido Nord del Paese.

Ora o si rattoppa l’euro o si va tutti a gambe all’aria: il presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy parla di «crisi di sopravvivenza». Rattoppare, però, non deve voler dire una sanatoria per le politiche errate. I primi a pagarne le spese sarebbero gli stessi "tigrotti" che tra qualche anno si ritroverebbero come adesso, ove non peggio di adesso. Alla lunga, poi, la stessa unione monetaria non resisterebbe: farebbe la fine di una dozzina di unioni monetarie costituite negli ultimi 60 anni.
È necessario allora che i salvataggi (a spese dei contribuenti di Paesi virtuosi) siano accompagnati da condizioni precise in merito a cambiamenti di rotta. E da un rigoroso monitoraggio.

Giuseppe Pennisi

La soluzione del problema Irlandese... e Portoghese e Greco e Spagnolo...

Cominciamo a vedere come si è arrivati al disastro d'Irlanda, lo facciamo con una parte di un articolo di Oscar Giannino uscito oggi su Chicago Blog:

.....Tutti sanno qual è la realtà. L’Irlanda non è Paese che abbia mentito sui suoi numeri pubblici come la Grecia. Non è Paese che abbia un deficit annuale a doppia cifra sul Pil delle partite correnti, come capita al Portogallo che non riesce a generare esportazioni e dipende dai capitali stranieri. L’Irlanda paga l’esplosione del suo sistema bancario, che adottando in pieno il modello di intermediazione ad alta leva era iperesposto su crediti e impieghi ad alto rischio, divenuti nella crisi insolvibili perché privi di prezzo. Con banche più grandi della sua economia, la garanzia pubblica data al sistema da salvare ha finito per non bastare, perché perdite e rettifiche sono giunte in due anni a coprire più di 40 punti nazionali di Pil.
L’innalzarsi degli spread dei titoli pubblici irlandesi sul Bund ha punito un Paese la cui economia è inefficiente? No, ha punito il fatto che in più di due anni l’euroarea non ha saputo né voluto in alcun modo darsi un meccanismo di salvataggio e garanzia degli intermediari finanziari che non sui riverberasse immediatamente sui conti pubblici anno per anno dei diversi Paesi membri. E’ un meccanismo che vede di volta in volta i Paesi leader tirare la corda fino all’estremo secondo prossimo al default del Paese che si trovi esposto al rischio, per poi imporgli condizioni capestro per salvare le proprie banche che regolarmente hanno titoli di quel paese e sono i veri destinatari del salvataggio, che invece spingerà il Paese destinatario a due conseguenze sbagliate.....
Usiamo le parole di Oscar Giannino permettendoci sommessamente di chiosare che non si può liquidare la politica spericolata delle banche di diritto irlandese come "modello di intermediazione ad alta leva", ci manca solo un nuovo giro di parole (tipo QE, manovra di bilancio, riallineamento dei conti, e bastaaaaa...) per definire bonariamente la totale irresponsabilità di banchieri la cui unica stella polare per anni è stata il bonus di fine anno, costi anzi rischi quel che rischi.

Ma c'è di più, quel "modello di intermediazione ad alta leva" (come suona bene eh...) è favorito da un sistema di norme tese ad attirare la maggior quantità di capitali possibili sull'altare di facili triangolazioni con paradisi fisacali (si veda l'ingegnoso sistema con cui il colosso Google riesce ad avere un tax rate del 2,4% grazie alle norme irlandesi ).

Quindi, va bene puntare il dito sulle lentezze e la arretratezza normativa dell'euroarea, ma insomma non è che a gonfiare a dismisura il proprio sistema bancario e il mercato immobiliare lo abbia prescritto il medico (o l'Unione Europea) all'Irlanda. E' stata una precisa scelta di politica economica che tra le altre cose ha spiazzato i sistemi fiscali e bancari delle altre nazioni europee.

Siamo d'accordo con Oscar Giannino, e lo diciamo da tempo, è necessario che venga immediatamente approntato un meccanismo europeo che affronti le crisi finanziarie e in particolare (questo lo aggiungiamo noi) prevedendo che siano anche i creditori a pagare smitizzando il tabù del default e degli stati e degli istituti bancari.

Hanno ragione i cittadini Irlandesi a rivoltarsi contro i loro governanti, contro l'FMI e persino contro questa Unione Europea , loro, si sono visti togliere servizi e diritti per salvare le banche!Tutte le banche, le loro e quelle del resto d'Europa, ma quello che è peggio è che gli Irlandesi stanno perdendo tutto senza fare pagare un centesimo di euro ai creditori e agli azionisti (e ai dirigenti) di quelle stesse banche piene zeppe di titoli senza valore.

E' inaccettabile, come fa notare Jim Rogers:
It would teach everybody a good lesson, and in the end Europe would be stronger for it, and the EUR would be stronger... You can not spend staggering amounts of money that you don't have of other people's money that you don't have because somebody has to pay the piper. This is ludicrous. This will cripple the Irish economy for years to come. In the future Ireland will be crippled because everything they earn will go to pay off old debt.There is no reason why taxpayers around Europe or in Ireland should pay for other people's mistakes. The bondholders and the stockholders of banks should lose money"... So simple, yet so irrelevant when dealing with a dying economic model.
E' semplice in fondo, non esiste alcuna ragione per cui i contribuenti europei debbano pagare gli errori di altre persone, prima devono pagare (fino ad azzerare i propri investimenti) gli obbligazionisti e gli azionisti delle banche. Lo stato interverrà solo alla fine di questo processo, nazionalizzando e/o liquidando le banche (e i banchieri) in dissesto. Può essere accettabile per i cittadini essere chiamati ad uno sforzo per salvare il sistema finanziario, NON è accettabile salvare gli utili e il bonus di fine anno dei banchieri: esattamente quello che sta succedendo in Irlanda.


Qualcuno ha una soluzione migliore?

Fossi irlandese: viva la sterlina!

Fossi irlandese: viva la sterlina!

Oscar Giannino

Mi spiace andare controcorrente, ma se io fossi irlandese avrei del tutto condiviso l’atteggiamento tenuto dal governo in queste ultime settimane. Avrei cioè detto fino alla fine che di aiuti non c’era bisogno, perché il debito pubblico era coperto per un anno:così da far “strizzare” le altre capitali dell’euroare. E avrei anche opposto fiera resistenza alla condizione numero uno per gli aiuti posta dai tedeschi e dai francesi. Anzi, avrei anche aggiunto sul tavolo un’altro argomento polemico, che al contrario l’Irlanda non ha ritenuto opportuno usare.

Tutti sanno qual è la realtà. L’Irlanda non è Paese che abbia mentito sui suoi numeri pubblici come la Grecia. Non è Paese che abbia un deficit annuale a doppia cifra sul Pil delle partite correnti, come capita al Portogallo che non riesce a generare esportazioni e dipende dai capitali stranieri. L’Irlanda paga l’esplosione del suo sistema bancario, che adottando in pieno il modello di intermediazione ad alta leva era iperesposto su crediti e impieghi ad alto rischio, divenuti nella crisi insolvibili perché privi di prezzo. Con banche più grandi della sua economia, la garanzia pubblica data al sistema da salvare ha finito per non bastare, perché perdite e rettifiche sono giunte in due anni a coprire più di 40 punti nazionali di Pil.

L’innalzarsi degli spread dei titoli pubblici irlandesi sul Bund ha punito un Paese la cui economia è inefficiente? No, ha punito il fatto che in più di due anni l’euroarea non ha saputo né voluto in alcun modo darsi un meccanismo di salvataggio e garanzia degli intermediari finanziari che non sui riverberasse immediatamente sui conti pubblici anno per anno dei diversi Paesi membri. E’ un meccanismo che vede di volta in volta i Paesi leader tirare la corda fino all’estremo secondo prossimo al default del Paese che si trovi esposto al rischio, per poi imporgli condizioni capestro per salvare le proprie banche che regolarmente hanno titoli di quel paese e sono i veri destinatari del salvataggio, che invece spingerà il Paese destinatario a due conseguenze sbagliate. La prima è una massiccia deflazione,pagata da tutti gli incolpevoli cittadini e dalle imprese. La seconda, nel caso irlandese, è ancor più inaccettabile, e costituisce la richiesta che più ha registrato opposizione a Dublino. E cioè alzare drasticamente quell’aliquota del 12,5% sul reddito d’impresa che ai grandi paesi dell’euroarea ha dato fastidio per anni. Garantendo all’Irlanda una crescita fortissima del’economia reale attirando imprese da tutto il mondo, e nell’equilibrio tra entrate e spese e dunque non in deficit, quel 12,5% di aliquota flat mostrava al mondo intero che la scelta di alte tasse europee era un pietoso scudo abbatticrescita, necessario in realtà solo a reggere l’eccesso di intermediazione pubblica del reddito nazionale.

Per questo, fossi irlandese, col cavolo che accetterei gli aiuti che servono a coprire le esposizioni franco-tedesche su titoli irlandesi, imponendo all’economia irlandese il costo e obbligando l’Irlanda ad uniformarsi alle alte aliquote continentali. Piuttosto, fossi stato un uomo di governo irlandese avrei continuato a far capire ai franco-tedeschi che è la loro Europa alla loro condizioni, che non regge. Tanto che avrei annunciato l’uscita dall’euro per un accordo di cambio collegato alla sterlina, autonoma dall’euro per fortuna dei britannici e lungimiranza di Margaret Thatcher. Su questa base, à la guerre comme à la guerre, avrei scommesso che americani e britannici avrebbero mobilitato tutte le proprie energie, per far accorrere il Fondo Monetario a sostegno dell’Irlanda.

Non è andata così. Purtroppo, franco-tedeschi ne ottengono l’ennesima conferma che l’euroarea può continuare ad andare avanti mettendo nel mirino uno dopo l’altro i Paesi esposti, al servizio dell’europrimato germanico e con la scappatoia offerta ai francesi di non prevedere rientri quantitativi del debito pubblico come tetti dichiarati ex ante in assenza del cui raggiungimento scattino sanzioni automatiche. Come capisco gli irlandesi capisco anche i tedeschi, forti delle scelte che hanno fatto su rigore pubblico e produttività privata. Purché sia chiaro che alla fine l’euro su questi presupposti non reggerà. E che presto verrà il turno dell’Italia, dopo il Portogallo. Perché non abbiamo bolle né banche esplose, ma cresciamo troppo poco e a quel punto il mercato penserà che senza un giogo al collo il debito pubblico non scenderà mai. Ci pensa, la politica italiana? Pronta com’è a dire che a quel punto la colpa è stata solo di chi ha invece frenato la spesa pubblica, non mi pare proprio. Credo anzi che in molti ci sperino, nell’Italia presto al posto dell’Irlanda. Allacciate le cinture.

lunedì, novembre 22, 2010

A Natale arriva La Nonna del Drago

A Natale arriva La Nonna del Drago: "

Cari amici chestertoniani,
anche quest’anno, come già due anni fa con la pubblicazione di Ortodossia, rilanciamo l’idea di regalare a Natale agli amici un libro di Chesterton in edizione economicissima.

Lo scopo è quello di dilettare e di dare a tutti la possibilità di fare un dono intelligente e piacevole, non certo di metterci a fare il lavoro che altri -gli editori- stanno facendo e bene.

Insieme alla Casa editrice Leardini stiamo per dare alle stampe una bellissima raccolta di 30 piccole storie di GKC, tratte da Tremendous Trifles, Alarms and Discursions e da altri libri mai editi in Italia. Il titolo del volume, di 182 pagine, sarà “La nonna del drago e altre serissime storie”.

Tradotti da Sabina Nicolini e curati da fra Roberto Brunelli, con faziosa postfazione di Marco Sermarini, sono racconti veramente imperdibili.

Il costo del pacco dono?
10 libri: 60 € spedizione compresa
20 libri: 110 € spedizione compresa

Precisiamo che fra qualche mese il volume sarà nelle librerie al costo di 15 € a copia. Quello che facciamo ora è quindi uno sconto indecente, solo per i malati gravi di Chestertonite.

Il guadagno dell’iniziativa andrà a favore delle Missioni Francescane in Zambia e per l’attività di evengelizzazione delle Apostole della Vita Interiore.

Nel libro, come la volta passata, inseriremo i nominativi degli iscritti alla Società Chestertoniana che avranno fatto richiesta delle copie del volume.

Per chi vuole inviamo un capitolo a titolo di saggio (ma va richiesto non su Facebook da cui non risponderemo -impazzire, no grazie!- bensì tramite il nostro indirizzo di posta elettronica societachestertoniana@gmail.com.

Prenotate entro il 30 Novembre!!! I libri vi arriveranno entro il 22 dicembre!

La Segreteria Volante.
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domenica, novembre 21, 2010

Radio anch'io

Mercoledì scorso la trasmissione radiofonica Radio anch'io è stata dedicata all'Irlanda. Tra gli interventi, segnalo quello dell'amico Raffaele Cavallo, presidente del Comites.

venerdì, novembre 19, 2010

The true dimensions of saint's project in Ireland

Questa è la recensione del mio libro apparsa la scorsa settimana su The Irish Catholic. Peter Costello, l'autore della recensione, è uno storico della cultura che ha pubblicato una ventina di volumi.



The true dimensions of saint's project in Ireland

The Philosophical Habit of Mind: Rhetoric and Person in John Henry Newman's Dublin Writings
By Angelo Bottone (Zeta Books, €22.00 pb; also available to individuals as an eBook, €9.00;www.zetabooks.com)


The beatification of John Henry Newman has seen the appearance of a host of books, of all kinds, to mark the occasion. But few of them will have the lasting qualities of this study of Newman's Dublin writings and their philosophical background, which makes a permanent and valuable contribution from Ireland to the development of our understanding of Newman's mind and outlook. This may well be the most important book published this year on Newman.
Angelo Bottone is an academic now resident in Ireland where he has taught at University College Dublin and elsewhere. His focus is on Newman's years in Ireland attempting to establish the Catholic University of Ireland - the institution which would later change into the UCD of today.
Newman's great work of this period, The Idea of a University, is universally acknowledged as one of the major intellectual landmarks of the 19th Century. But Dr Bottone demonstrates that the book, while very familiar, has been, in fact, little explored.
He analyses what went into its making, through the incorporation of various addresses and papers. But, in addition, reveals that behind it lies a wide range of other writings, which are connected with it and bear upon Newman's project.
He hugely enlarges just what was the true nature of Newman's Dublin enterprise, both practically and intellectually.
He then turns to a totally new and unexplored topic: just what were the philosophical sources for Newman's thoughts?
The whole scheme rests on the foundation of Aristotle's thought, but so thoroughly that the foundation on which the idea was raised is almost hidden from view.
Another spur was to be found in John Locke, not surprisingly, for he is the source of the utilitarian notions of the university that prevail today, and which Newman wished to counter.
Of even greater importance, and totally over-looked, is the figure of Cicero. Cicero domesticated Greek philosophy for the more practical and administration-minded Romans. Indeed, De Senectute and Pro lege Manilia were still a part of the Latin curriculum studies in Ireland through to the 1970s.
Rhetoric for the older scheme of education was the final stage of a course of study based on the use of language. Rhetoric today has a bad name, but, for Cicero and the Romans, it was an essential qualification of the educated person, the ability to order thought, to expound it, and to persuade.
Rhetoric thus serves as a way of completing, not just the civil person, but for Newman, the moral person as well.
From this, Dr Bottone goes on to consider just those aspects of Newman's Dublin writings, the formation of that whole person, the contrast between ''the gentleman'' and the truly ''educated man''.
For many readers, especially those concerned with the place and purpose of the university in the modern world, Dr Bottone's last chapter and conclusion may perhaps be the most vital and the most thought-provoking part of the book.
He suggests that, though Newman's project failed in a practical way, the idea of the university which he created remains as a touchstone of what a true education, of both the citizen and the moral person, ought to be. I found this a richly rewarding and a thought-provoking idea: Newman's notion of the metropolis as a true university seems to me a most exciting notion, one which connects with Walter Benjamin's arcades project.
The reader is left with notions arising from it that require further exploration.
Doubtless this is only the first of other explorations of Newman and his thought which we can look forward to from Dr Bottone.

Peter Costello

domenica, novembre 14, 2010

Il teologo all’antropologo

Il teologo all’antropologo: "

«Avete perfettamente ragione a sostenere la causa degli Zulù, ma con tutto ciò voi non li comprendete affatto. Anche se conoscete la ricetta degli Zulù per cucinare i pomodori e la preghiera che dicono prima di soffiarsi il naso, voi non li capite come li capisco io, che pure non distinguo una zagaglia da una forchetta. Voi siete più colto, ma io sono più Zulù» (G.K. Chesterton, Il club dei mestieri stravaganti, tr. it. Guanda, Parma 1987, p. 86).

"

sabato, novembre 13, 2010

E Berlino si scusò con gli speculatori

di Maurizio Blondet


Cinque capi di governo europei si sono precipitati a rassicurare la speculazione finanziaria. Il ministro degli Esteri tedesco Westerwelle – si noti, non quello delle Finanze, che era di ritorno da Seul – ha dovuto fare praticamente le sue scuse ai mercati: i detentori privati dei debiti pubblici europei non correranno alcun rischio, non pagheranno pegno. Quando la cancelliera Merkel ha detto che «anche loro saranno chiamati a contribuire» al prossimo default stile greco, scherzava... Continuate pure a speculare a rischio zero.

Ciò per il buon motivo che dopo la frase della Merkel pronunciata qualche giorno fa, i mercati hanno chiesto l’8,92% d’interesse per accettar di comprare il buono decennale irlandese, che ad agosto si negoziava a 4,89%; con ciò praticamente condannando l’Irlanda alla bancarotta, e il conseguente contagio, con bancarotte a catena di Portogallo e Spagna (e Italia, dopo). Il collasso puro e semplice della zona-euro. Che non è affatto scongiurato nonostante le scuse dei politici agli speculatori; dopo le frasi rassicuranti di Westerwelle, il decennale irlandese è sceso da 8,92% a 8,78%, comunque impagabile per l’Irlanda.

Come siamo arrivati qui? Ricapitoliamo fin dal principio, tutto il succo del disastro finanziario, citando ampiamente Paul Jorion.

Da vent’anni i redditi (mancanti) sono stati sostituiti da crediti. Il cartello di carta dei crediti è crollato dall’estate 2007, aggravandosi mese dopo mese con la rivelazione di scandali e frodi e sporchi trucchi sempre più inverosimili, a cominciare dai subprime. Invece di prendere atto che era una crisi di insolvenza degli speculatori e delle grandi banche d’affari, si è deciso di diagnosticare il male come crisi di liquidità. Ossia: no, non è cancro, è semplice disidratazione; occorre qualche fleboclisi. Diagnosi sbagliata, ma tranquillizzante. Era il Washington Consensus, e gli Stati europei hanno obbedito.

Gli Stati hanno infatti trasfuso liquidità in gran fretta ed enormi volumi alle banche, a tasso praticamente zero. Adesso le banche, quei fondi creati a spese dei contribuenti futuri, li distribuiranno alle imprese e alle famiglie in nuovi crediti, mutui, fidi; guadagnandoci, e intanto rimettendo in moto l’economia a credito. Ma non ha funzionato: causa recessione, le banche e la finanza ha capito che famiglie e le imprese non erano in grado di rimborsare; e nemmeno chiedevano più di fare altri debiti. Perciò hanno messo quei fiumi di denaro in pensione presso le Banche Centrali, o acquistato titoli di Stato: non corrono rischi gli audaci speculatori.

Ma siccome gli Stati si sono indebitati fino ai capelli per dare liquidità alle banche, e s’erano portati garanti della loro solvibilità, mentre le entrate tributarie degli Stati calavano causa recessione, i tassi richiesti dai «mercati» sui debiti pubblici salivano e salivano, mentre il valore dei prestiti della banche agli Stati calava; ciò specialmente per gli Stati deboli e mediterranei, ma anche baltici e Irlanda. Disdetta, il portafoglio delle banche si svalorizzava, costringendole a ricapitalizzarsi.

La diagnosi (deliberatamente) sbagliata produceva così la prima spirale viziosa verso l’inferno: le banche s’indebolivano perchè avevano le casse piene di titoli di debiti di Stato che perdevano valore, in quanto gli Stati s’erano indeboliti per salvare le banche.

Lo Stato più debole nella zona euro, la Grecia, ha chiesto aiuto all’Europa. Malmostosa, anzi ostile risposta di Berlino: tocca a noi virtuosi pagare per le cicale! Ma alla fine, bene o male, è stato messo insieme un fondo di garanzia europeo (Financial Stability Facility) per sostenere i Paesi incapaci di pagare il loro debito pubblico: 750 miliardi di euro. Una cifra più teorica che reale, ma ha calmato un poco i mercati, che sono tornati a comprare i Buoni del Tesoro dei Paesi in crisi.

E chi non lo farebbe? Perchè comprare Buoni tedeschi all’1%, poniamo, quando uno speculatore può comprare Buoni greci, portoghesi, spagnoli lucrando tassi doppi e tripli? L’Europa, le sue classi cosiddette dirigenti, di fatto ha invitato gli speculatori a comprare BOT di Stati fallimentari assicurando: paghiamo noi, il rischio per voi mercati è nullo.


Axel Weber
Per mesi la speculazione internazionale ha lucrato benefici astronomici su questi suoi investimenti nel debito di Stati-subprime, ma garantiti da stati prime. Gli interessi gravanti sulla Grecia sono un poco calati. Poi, ad ottobre, la Merkel e il suo banchiere centrale Axel Weber saltano fuori a dichiarare: «Alla prossima crisi di tipo greco, i detentori dei Buoni del Tesoro devono essere parte della soluzione anzichè del problema». E i tedeschi, affiancati da Sarkozy, cominciano a parlare, in caso di crisi di Portogallo, Irlanda o Spagna, di procedure di fallimento ordinato, di riscaglionamento del debito, di ristrutturazione, di scrematura dei detentori privati dei titoli di quel debito.

Il che significa: voi speculatori avete titoli pubblici portoghesi o irlandesi e vi aspettate che l’Europa vi ripaghi a scadenza il 100%, dopo 10 anni in cui lucrate gli interessi? No, ci sarà una procedura fallimentare, e voi sarete chiamati a pagare la vostra parte come creditori di un fallito: del BOT portoghese a valore facciale 100 vi sarà restituito 70. Oppure 60, o 30. O il decennale diventerà trentennale. O il pagamento del capitale sarà sospeso, e riceverete solo gli interessi.

Intendiamoci, l’idea è giusta e sana. Banche e fondi speculativi hanno goduto di uno scandaloso stato di privilegio, dando loro il permesso di comprare BOT greci e portoghesi con l’assicurazione che non correvano rischi, perchè a pagare il conto degli insolventi sarebbero stati i contribuenti tedeschi ed europei in genere. Del resto, quel meccanismo di garanzìa, che invita la speculazione a comprare BOT di Paesi in crisi, aggrava la situazione di detti Paesi. Per la Grecia, le banche e i fondi speculativi hanno potuto accollare circa 150 miliardi di euro ai governi europei, mentre la Grecia sta affondando nella spirale degli interessi composti a tal punto che, se all’inizio della sua crisi il debito pubblico era del 115% del PIL, alla fine del presunto salvataggio sarà del 150% cento. Impagabile.

Sì, i mercati speculativi meritano di essere puniti. Mentre le economie occidentali precipitano, sono i soli a continuare a guadagnare – e guadagnano sulla crisi e rovina degli Stati e delle società. E’ quel che si chiama azzardo morale, questo speculare su alti tassi (con la scusa che si presta a Paesi a rischio) quando il rischio è zero, perchè garantito dal fondo europeo di stabilità.

La Merkel e il suo banchiere hanno dunque detto la cosa giusta. Ma al momento e nella situazione sbagliata. Gli Stati sovrani (si fa per dire) dell’eurozona devono emettere l’anno prossimo 915 miliardi di nuovi debiti o rinnovarli, per coprire i loro immensi debiti (fatti per salvare banche e speculazione); finchè ci sono i mercati finanziari, devono chiedere i prestiti ai mercati. I quali hanno subito risposto alla (vuota) minaccia della Merkel chiedendo immediatamente all’Irlanda tassi del 9% anzichè il 4,5%.

Il settore privato (come chiamano se stessi gli speculatori inglesi) non vuol accollarsi la sua parte di perdite, ed ha la forza per rifiutarsi al taglio di capelli minacciato da Merkel e Sarko. Il governo tedesco ha dovuto chiedere umilmente scusa per aver pensato per un attimo che anche i mercati e le banche devono soffrire un pochino per i danni che essi stessi hanno provocato; le nuove norme non saranno in vigore prima del 2013, ha belato (complimenti per la rapidità, nel mondo del trading al millesimo di secondo). O, come la mettono gli speculatori della City, «i governanti non capiscono il risultato di un’alta esposizione del loro debito pubblico in mano a non-residenti».

E’ questo il punto: ci siamo inutilmente indebitati con l’estero, che i governi non controllano, anzichè coi nostri cittadini (come fa ancora il Giappone). E i nodi vengono al pettine.

Adesso il crollo dell’Irlanda è scritto (anche se a metà 2011) e il contagio si sta espandendo al Portogallo, e si vede nella forbice richiesta dai mercati per comprare BOT spagnoli e italiani. E’ a rischio l’intera eurozona, e nel modo più confuso e disordinato.




Continua su Effedieffe.

venerdì, novembre 12, 2010

The Irish Catholic

"This may well be the most important book published this year on Newman". Nell'ultimo numero del The Irish Catholic Peter Costello ha scritto una recensione molto positiva del mio libro su Newman.

giovedì, novembre 04, 2010

Copertino su Newman

L'amico Luigi Copertino sta pubblicando su Effedieffe una serie di articoli intitolata La catastrofe dell'Occidente. Nel quinto della serie parla di Newman e fa riferimento ai miei scritti.
(L'accesso è riservato agli abbonati)

mercoledì, novembre 03, 2010

Posta

Il mio indirizzo di posta elettronica (at)UCD.IE non funziona. Chi ha bisogno, può contattarmi su facebook o lasciare commenti qui.

martedì, novembre 02, 2010

Landino

Da qualche settimana Landino ha una nuova grafica, molto gradevole ed efficace.