giovedì, giugno 29, 2006

E le astensioni del 2005 acquisirono un peso doppio

Le preferenze personali non possono nascondere il senso elementare dei risultati della consultazione referendaria svoltosi nell’ultimo fine settimana. Vediamone alcuni aspetti.
1. Il "no" ha vinto in modo inequivoco. Rispetto alle modifiche introdotte dal centrodestra nella passata legislatura, una larga maggioranza di elettori ha preferito la Costituzione del 1948 così com’è. La legittimità di questo esito è confortata dal netto superamento di un quorum non richiesto e non previsto. L’esperto potrà sempre dire che in nessuna grande democrazia il primo ministro è così debole come in Italia, e persino calcolare quanto questo ci costi in termini spesa pubblica improduttiva. Ma questa osservazione si risolve in un giudizio ancor più duro sull’incapacità dei riformisti del centrodestra di elaborare una proposta capace di adeguato consenso. Il fatto poi che il "sì" abbia vinto in due delle regioni più avanzate del Paese non può essere un alibi, ma solo una parte del problema: per l’Unione, e magari per quella porzione di "cattolicesimo impegnato" che proprio in quelle regioni ha alcune delle sue radici più importanti e che in quelle aree più si è speso per il "no".
2. Questo risultato carica di responsabilità politica quell’area che ha sostenuto il "no" dicendosi intenzionata ad aprire una via alle riforme diversa e migliore. Si capirà subito se questo era solo uno slogan, se costoro sono minoranza nel centrosinistra o ne hanno la leadership. Si capirà subito se coloro che hanno sostenuto un "no per" lo hanno fatto per mancanza di coraggio o per la convinzione di poter realisticamente proporre al Paese riforme migliori. Certamente, costoro oggi si trovano dentro un centrosinistra con un programma istituzionale meno riformista di quello del 1996 e dentro una coalizione in cui i conservatori (esteticamente "estremisti") sono maggioranza.
3. Come abbiamo visto, una parte del significato politico di questo risultato elettorale è costituito dalla straordinaria partecipaz ione registratasi: il 53,7%. Finire 60 a 40 con il 53% dei votanti è una cosa, mentre finire 60/40 con il 25% dei votanti sarebbe stata ben altra cosa. L’osservazione non è peregrina perché del 25% fu all’incirca la partecipazione al voto nel referendum sulla "fecondazione assistita" (legge 40). Per di più, quel modesto risultato fu ottenuto dopo una campagna elettorale lunga e vivacissima, con interventi ed appelli di tutti i tipi, e non al termine di una campagna spenta e rassegnata ad una bassa affluenza alle urne. Ottenere il 53% senza spingere e fermarsi al 25% dopo aver mobilitato di tutto e di più un significato l’avrà, o no? Probabilmente, molto dell’astensionismo dello scorso anno, per cui tante istanze cattoliche si erano spese, aveva motivi forti e dipendeva da scelte vere, così come molta della reale anche se non richiesta partecipazione al voto di due giorni fa. Il risultato di ieri aumenta ulteriormente il peso specifico di quello di un anno fa: se gli elettori volevano, potevano andare a votare come questa volta hanno fatto. Insomma, l’opinione pubblica italiana ha idee e passioni. Condivisibili o meno, che si vorrebbe combinare in un modo invece che in un altro. Per una opinione pubblica di questo genere, oltre che istituzioni democratiche efficienti, serve una offerta politica insieme più seria e più umile.

Luca Diotallevi
Avvenire, 28 giugno 2006

Interdisciplinary Nineteenth-Century Studies International Conference

Se qualcuno si trova in Inghilterra la prossima settimana, mi può ascoltare qui.
Giovedì alle 14, per la precisione.

Che delusione!

Questa volta il paragnosta, dobbiamo dirlo, ci ha un po' deluso. Per quanto riguarda il risultato finale, aveva previsto 65% per i Sì e 35% per i No, e non è andato tanto lontano. Ma il 52,3% dei votanti è ben oltre il 40% pronosticato! No, non va bene. Se continua così ci farà rimpiangere la Doxa.

mercoledì, giugno 28, 2006

PhD

Poiché certe soddisfazioni non capitano tutti i giorni, volevo fare i complimenti a Michele L., nostro fedele lettore attualmente a Reading, nonchè ex presidente di un'illustre federazione.
Michele è stato ammesso al PhD presso l'Università di Oxford. Capperi.


(Quando l'ho detto a mia madre mi ha risposto: Ma cos'è il PhD? Mamma, sono 4 anni che sono quassù e non sai cos'è il PhD?)

lunedì, giugno 26, 2006

Governo ladro



Giusto per curiosità volevo segnalarvi che qui a Dublino in questo momento piove, c'è nebbia e la temperatura è di 11 gradi. La massima prevista per oggi è di 16 gradi.
Insomma, il tempo ideale per chi come me deve studiare.

sabato, giugno 24, 2006

The man who rehabilitated Galileo

John Allen è forse il più importante vaticanista di lingua inglese e senza dubbio il mio preferito. La sua rubrica settimanale The Word From Rome, sempre puntuale ed attendibile, è la mia prima lettura ogni venerdì. Nel pezzo uscito ieri presenta un ritratto di Enrico di Rovasenda, 'l'uomo che ha riabilitato Galileo'. Viene menzionata, naturalmente, anche la FUCI.

Enrico di Rovasenda, che ha compiuto 100 anni lo scorso 17 giugno, è una gloriosa quanto poco conosciuta figura di alto valore intellettuale. Così l'ha voluto celebrare Avvenire. Mentre qui c'è una sua breve presentazione a cura di Romolo Pietrobelli.

Con quest'ultimo appello, che ho ricevuto da Stefano Ceccanti, chiudiamo la discussione sul referendum.



No al referendum per una riforma migliore


1.
Ci sentiamo impegnati per il "No" nel referendum sulla riforma costituzionale e nel contempo riteniamo doveroso precisare le nostre posizioni a favore di una riforma migliore. Non crediamo né giusto, né opportuno, né corretto, che lo schieramento a favore del No sia indistinto e generico, tale da ingenerare l’idea che il No significhi la fine di un percorso necessario per il Paese. Siamo così convinti di rafforzare lo schieramento per il No ampliandone la base a chi altrimenti si sentirebbe tentato dall’astensione tra due alternative entrambe avvertite come lontane dalla propria posizione di merito e deformanti della realtà.

Siamo infatti contro questa riforma perché i meccanismi in essa prescelti distorcono o addirittura capovolgono i punti di partenza ispirati ad alcuni validi principi (legittimazione diretta del Primo Ministro, superamento del bicameralismo perfetto, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento del sistema delle autonomie).

L'obiettivo del rafforzamento del governo è infatti contraddetto in taluni passaggi sino ad indebolirne pesantemente l'azione. Da un lato l’obbiettivo della coerenza delle maggioranze è costruito in maniera tale da rendere i governi prigionieri di esigue minoranze interne alla maggioranza – al punto di spostare in capo ad esse il potere di provocare lo scioglimento anticipato della legislatura - e dall’altro la composizione e i poteri di veto del cosiddetto Senato federale permangono tali da costituire un pesante ostacolo all’esercizio della funzione di governo e al limpido esercizio della funzione legislativa. La composizione e i poteri di veto dello stesso sono tali da offuscare e contraddire la scelta, pur importante e apprezzabile, di sottrarre allo stesso (ma con decorrenza dal 2011) il voto di fiducia e taluni poteri di indirizzo politico. Insomma ciò che è tolto con una mano (il potere fiduciario) è restituito surrettiziamente con l’altra (un abnorme potere di veto).

L’obbiettivo della costruzione di un federalismo moderno ed efficiente – tanto conclamato dalla Lega Nord- è contraddetto dalla previsione di limiti tali da soffocare le autonomie regionali. Le burocrazie centrali e i gruppi di pressione nazionali saranno così resi protagonisti del rapporto Stato-regioni. Le sovrapposizioni di competenze (talvolta definendo “esclusive” sia le competenze statali sia quelle regionali sulla stessa materia) aumenteranno il contenzioso presso la Corte costituzionale, mentre per di più si moltiplicano oltre misura gli accessi ad essa col rischio di paralisi dell’organo.

La Costituzione repubblicana ne esce in ogni modo stravolta e indebolita. Se non si riuscisse a fermare questa riforma con il voto popolare avremmo governi e maggioranze più deboli ed autonomie regionali meno garantite.

2. Per i suddetti motivi denunciamo il tentativo dei partiti che l’hanno approvata di presentare il testo di riforma come adeguato al rafforzamento del governo e alla costruzione del federalismo e per questo motivo non condividiamo anche il simmetrico ricorso di alcuni oppositori del testo ad allarmismi esagerati e ingiustificati sui poteri del Primo Ministro e sulla divisione dell’Italia. Per bocciare il testo, basta e avanza criticare ciò che c’è davvero, senza bisogno di aggiungere ulteriori pericoli e c’è bisogno di indicare esplicitamente una prospettiva migliore di riforma.

3. Ci impegniamo pertanto a respingere questo confuso progetto sottoposto a referendum, ma affermiamo con pari forza, fin da adesso, che una volta che esso sia stato bocciato, ci sarà ancora bisogno di riforme istituzionali realmente in grado di rinnovare e di far funzionare in modo efficiente ed efficace le nostre istituzioni. E su questo riteniamo necessario che si esprimano chiaramente partiti e movimenti che intendono battersi per il “No”.

Una nuova riforma costituzionale dovrà sancire con chiarezza che spetta solo agli elettori scegliere il governo per l'intera legislatura e che a tale scopo vanno riconosciuti al Primo Ministro quei poteri che consentono allo stesso di mantenere coesa la maggioranza, ivi compresa, con adeguati contrappesi, la proposta di ricorso anticipato alle urne, prevista nei principali ordinamenti europei.

Il bipolarismo, e i governi di legislatura che ne conseguono, sono ormai acquisiti nella cultura politica di un gran numero di italiani, siano essi elettori del centrodestra che del centrosinistra, e hanno trovato una clamorosa conferma nella grande partecipazione alle primarie del centrosinistra e nella stessa ampia partecipazione alle elezioni politiche dell’aprile scorso.

Una incisiva riforma costituzionale dovrà altresì eliminare il cosiddetto bicameralismo perfetto voluto dai costituenti, sconosciuto in altre democrazie proprio perché incompatibile con la logica di un robusto governo parlamentare e che – come in più occasioni denunciato da un vasto schieramento - ha dimostrato di non funzionare.

4. Non pochi limiti del quadro istituzionale rischiano di essere aggravati dalla controriforma elettorale che produce pericolosi effetti di indebolimento del bipolarismo, di rafforzamento di alcune oligarchie partitiche e di conseguente allontanamento degli eletti dagli elettori.

Per questo crediamo, innanzitutto, che si debba da subito, urgentemente, mettere in cantiere il ritorno al collegio uninominale, perfezionato col ricorso ad elezioni primarie, che consente di ritornare ad un rapporto reale degli eletti con gli elettori e a creare maggioranze più solide ed omogenee.

In ogni caso solo agli elettori spetta scegliere il Governo nelle elezioni politiche per l‘intera legislatura, senza aprire la strada ad inaccettabili forme di trasformismo post-elettorale.

5. Nel contempo andrà ben delimitata un’area significativa di decisioni da sottrarre alla secca riproposizione della contrapposizione tra maggioranza e opposizione. Ci riferiamo alle decisioni relative alle regole elettorali, a quelle relative alle garanzie per l’ opposizione, fino a materie come la bioetica, ed altre materie eticamente sensibili, che per loro natura richiedono convergenze capaci di reggere al variare delle alternanze politiche. Le garanzie andranno costruite nel bipolarismo e non dal bipolarismo: cioè devono essere tali da bilanciare razionalmente la forza delle maggioranze tutelando i diritti dei singoli cittadini e dell’opposizione parlamentare. Bisogna però evitare di bloccare il sistema con anomali poteri di veto che portino a forme di consociazione che dissolvano il principio di responsabilità di chi governa. Non si tratta di innalzare in modo indiscriminato i quorum di approvazione, ma per lo più di concordare in via convenzionale di non procedere da soli a scelte unilaterali o anche di consentire che alcune decisioni vengano spostate su organi terzi e non all’arbitrio della maggioranza: ad esempio il giudizio sulla regolarità dei risultati elettorali non può essere attribuito in modo insindacabile ad organismi parlamentari, ma consentito un ricorso in appello alla Corte costituzionale.

In questo quadro andranno fissate in Costituzione regole nuove per l’informazione e la comunicazione politica, pubblica e privata, i cui problemi non si esauriscono con la pur essenziale rimozione del conflitto di interessi.

6. Voteremo “No”, altresì, alla devoluzione dei poteri voluta dalla Lega Nord. Ma la nostra nuova proposta di riforma deve riprendere le modifiche, tra cui la rimodulazione delle materie trasferite alle Regioni, che correggono alcuni errori per eccesso dell’incompleta e incoerente riforma approvata cinque anni fa dal centrosinistra che pur si muoveva in una direzione complessivamente condivisibile. Diciamo questo per doverosa chiarezza politica e per evitare che siano ingannati quei settori dell’elettorato del Nord che credono nel federalismo. Ma lo diciamo anche per sottolineare come non sia possibile limitarsi a bloccare questa pasticciata riforma e tenere poi in vita così com’è la riforma del 2001,con effetti nocivi sia per lo Stato sia per le Regioni .

Anche in questo caso, una volta bocciato il progetto, sarà necessario perciò ripensare in modo organico l’assetto dello Stato con un’incisiva riforma costituzionale che, abrogando parti della riforma del 2001, e correggendo la stessa Costituzione del 1948, riorganizzi i livelli territoriali di governo e assicuri insieme l’autorità dello Stato nazionale e un forte decentramento dei poteri, superando sia tentazioni e pratiche centralistiche e sia regressioni e pratiche localistiche, che soffocano, entrambi, con una perversa tenaglia, lo sviluppo economico del Paese.

In ogni caso la riforma del Titolo V varata nel 2001 va completata con i necessari strumenti di cooperazione, primo fra tutti un Senato realmente rappresentativo delle Regioni, slegato dal rapporto fiduciario col Governo e quindi dalla logica maggioranza-opposizione, chiamato ad essere la sede prima della cooperazione e non grave intralcio alla governabilità, come è invece concepito dalla riforma sottoposta a referendum.

7. Per far questo dovremo rilanciare l’invito a “riscrivere insieme” le riforme necessarie della Costituzione trovando momenti di collaborazione parlamentare fra maggioranza ed opposizione. Tenendo conto della inadeguatezza della procedura prevista dall’articolo 138 (che ha favorito riforme frutto di maggioranze di governo) e dell’usura dello strumento delle Commissioni Bicamerali occorre, fin da adesso, progettare strumenti nuovi.

A tal fine si può ipotizzare – come avvenuto “con il metodo Convenzione” per la Costituzione europea – un percorso straordinario costituente (se non un’Assemblea Costituente, a cui alcuni di noi pensano), un organo composto da un numero ristretto di membri, coinvolgendo parlamentari scelti in maniera paritaria tra i due schieramenti, rappresentanze regionali, locali ed europee, esponenti del mondo universitario e delle realtà sociali ed economiche. Giungendo così a scrivere un progetto di revisione che per l’autorevolezza dei suoi membri, e per la loro rappresentatività, sia in grado di essere approvato rapidamente dal Parlamento (eventualmente adottando procedure di tipo redigente) e ratificato da un referendum popolare.

8.Per questo voteremo “no” nel referendum. Per questo ci organizziamo per collaborare ad un’ampia partecipazione riformatrice in modo chiaramente distinto da coloro che si battono per il No in modo generico o perché ritengono di dover chiudere la stagione delle riforme. Ci batteremo insieme per mettere in moto un’iniziativa che realizzi un grande consenso nazionale su un progetto alto di riforma. E chiederemo, in particolare, di battersi con noi anche a quanti, nell’uno e nell’altro schieramento, hanno condiviso, con i referendum elettorali del 1991 e del 1993, le battaglie e le speranze per un’Italia più moderna.

Il nostro programma è quindi semplice: NO a questa riforma, SI’ ad un incisivo processo costituente, che rafforzi la Costituzione del 1948. Un serio patriottismo costituzionale va manifestato adeguando la Costituzione, non chiudendosi nelle strettoie di un assoluto conservatorismo.

Primi firmatari tra i circa 200 già pervenuti

(in corsivo i politologi, in grassetto i costituzionalisti)

Michele Agostini, Marco Ai cardi, Francesco Alario, Ubaldo Alifuoco, Christian Amatori, Sesa Amici, Filippo Andreatta, Pantaleone Annunziata, Associazione Valdo Magnani di Reggio Emilia, Fulvio Baldin, Serena Baldin, Gianfranco Baldini, Ugo Baldini, Luca Balzi, Augusto Barbera, Massimo Barrella, Francesco Baruffi, Roberto Barzanti, Carlo Bassetti, Marcello Basso, Gianni Bechelli, Claudio Bellavita, Enrica Belli, Paolo Benesperi, Gianni Bernini, Giuseppe Berta, Alessandro Bertini, Vincenzo Bertolini, Monica Bettoni, Roberta Biagi, Giovanni Bianchi, Giovanni Bianco, Salvatore Biasco, Giuseppe Bicocche, Marco Bisbano, Paolo Bonari, Salvatore Bonfiglio, Simona Borello, Piero Borla, Carlo Bossi, Lidia Brilli, Willer Bordon, Riccardo Borghi, Paolo Bosi, Alessandro Branz, Stefano Brogi, Luigi Brossa , Flavio Brugnoli, Gianfranco Brunelli, Anna Bucciarelli, Marco Campione, Giuseppe Campo, Katya Camponeschi, Giliberto Capano, Marco Carrai, Francesco Cavazzuti, Bruno Ceppitelli, Stefano Ceccanti, Franco Cefalota, Giovanni Celenta, Claudio Cesa, Gianfranco Cestrilli, Franca Chiaromonte, Emanuele Ciancio, Emilio Ciarlo, Bartolo Ciccardini, Angelo Cifatte, Circolo Riformista di Verona, Tommaso Ciuffolotti, Leopoldo Coen, Claudio Colombo, Pino Casentino, Umberto Croppi, Salvatore Curreri, Antonio Dainelli, Natale D’Amico , Cinzia Dato, Franco Debenedetti, Loreto Del Cimmuto, Patrizio Del Prete, Francesco De Notarsi, Eugenio Di Blasio, Giuseppe Di Genio, Danilo Di Matteo, Francesco Di Nisio, Alessandro Di Nucci, Enzo Di Nuoscio, Andrea Drezzadore, Maria Chiara Esposito, Sergio Fabbrini, Stefano Facchi, Antonio Farri, Luciano Fasano, Stefano Fassina, Nicola Favati, Giorgio Federici, Vittorio Ferla, Antonio Ferrara, Luisa Ferrari, Anna Ferrario, Andrea Ferrazzi, Rachele Filippetto, Deo Fogliazza, Federico Formisano, Roberto Franceschetti, Mario Fucito, Antonio Funiciello, Sabato Fusco, Massimo Gaggini, Paola Gaiotti, Elisa Garosi, Gilberto Gasparini, Stefano Gaviglio, Paolo Giaretta, Oriano Giovannelli, Gregorio Gitti, Stefano Goracci, Nino Grazzani, Michele Guarda, Romolo Guasco , Luciano Guerzoni, Luca Guglielminetti, Angelica Guidi, Remigio Iacopino, Pietro Ichino, Riccardo Illy, Berardo Impegno, Pasquale Improta, Francesca Izzo, Lucio Lapalorcia, Legautonomie, associazione autonomie locali, Aldo Loiodice, Michele Lucchesi, Walter Lunardi, Giampiero Lupatelli, Miriam Mafai, Claudia Mancina, Susanna Mancini, Stelio Mangiameli, Armando Mannino, Pierluigi Mantini, Silvio Mantovani, Alessandro Maran, Luigi Marattin, Alberto Martinelli, Carla Martino, Marco Martorelli, Bruno Marzocchi, Pietro Marzotto, Diego Masi, Oreste Massari, Alberto Mattei, Giovanna Melandri, Stefano Merlini, Paolo Messa, Virginia Messerini, Giovanni Militerno, Alberto Milla, Fabrizio Molina, Gloria Monaco, Enrico Morando, Andrea Marezzi, Antonio Moro, Andrea Morrone, Giovanni Moschella, Enzo Musco, Tommaso Nannicini, Salvatore Antonio Nappi, Paolo Naso, Beppe Navello, Massimo Negarville, Magda Negri, Isabella Nespoli, Fausto Carmelo Nigrelli, Corrado Ocone, Nello Olmi, Sonia Oranges, Franco Osculati, Graziella Pagano, Ruggero Paladini, Letizia Paolozzi, Alfonso Pascale, Giovanni Pellegrino, Mario Pernechele, Antonio Perrelli, Alessandro Petretto, Carlo Piccinini, Giovanni Pieraccini, Bruno Pierozzi, Roberta Pinotti, Gabriella Pistone, Giovanni Poggeschi, Antonio Polito, Paolo Pombeni, Elisa Pozza Tasca, Franca Prisco, Erminio Quartiani, Giulio Quercini, Giorgio Radaelli, Pippo Ranci, Beatrice Rangoni Macchiavelli, Umberto Ranieri, Margherita Raveraira, Ugo Retis, Vito Riggio, Michele Rizzi, Mario Romano, Gian Enrico Rusconi, Alberto Sabbioni, Riccardo Saccenti, Mimmo Sacco, Roberto Salsi, Michele Salvati, Gianluca Salvatori, Marcello Sartarelli, Carlo Scognamiglio Pasini, Mario Segni, Eugenio Somaini, Francesco Soro, Pierluigi Sorti, Antonio Spignoli, Maria Antonietta Spiller, Carlo Tanara, Ferdinando Targetti, Giglia Tedesco, Francesco Tempestini, Sandro Tesini, Fulvio Tessitore, Chicco Testa, Domenico Ticozzi, Silvano Toffolutti, Diego Toma, Giorgio Tonini, Gianni Toniolo, Aldo Torchiaro, Francesco Totino, Stefano Tripi, Giulio Vaccaio, Salvatore Vassallo, Adriano Verlato, Mirta Alessia Verlato, Roberto Vitali, Luigi Viviani, Sleiman Zammar, Fulvia Zinno, Elio Ziparo, , ,

venerdì, giugno 23, 2006

Paraparapara

Mauro, nei commenti, segnala l'appello per il Sì promosso dalla Fondazione Magna Carta.
Chiede anche una previsione del paragnosta.
Beh, c'è da dire che il paragnosta ultimamente è stato impegnato a risolvere i propri problemi di amore, salute, denaro, fortuna e non ha seguito molto la discussione. Comunque, pur con una certa approssimazione, i suoi poteri di preveggenza gli permettono di annunciare che i votanti non arriveranno al 40%. Risultato finale: No 65%, Sì 35%. (Maggiori dettagli solo a pagamento)

Salviamo la Costituzione

Dal sito del Comitato nazionale "Salviamo la Costituzione" riprendiamo il seguente appello sottoscritto da 17 presidenti e vicepresidenti emeriti della Corte Costituzionale, 183 professori universitari di diritto costituzionale, diritto pubblico e diritto amministrativo, 102 altri professori universitari di materie giuridiche, 184 professori universitari di altre discipline.

Il referendum del 25-26 giugno e' una decisiva occasione per azzerare una riforma che investe parti essenziali della Costituzione repubblicana. Il nostro proposito, dichiarato due anni fa, e' stato: aggiornare, non demolire la nostra Carta costituzionale: ma le riforme coerenti con i principi fondamentali della Costituzione possono realizzarsi solo se viene cancellata questa pessima controriforma.
Il testo sottoposto a referendum, indicato con l'improprio nome di "devolution":
a) ferisce l'unita' nazionale attribuendo alle Regioni la competenza esclusiva in materie che riguardano i livelli essenziali delle prestazioni per i diritti alla salute ed alla istruzione. Oltre ai costi mai precisati di questa operazione, che sarebbero comunque molto alti, e' chiaro che soluzioni dissociative di questa natura si risolverebbero in un ulteriore depotenziamento delle Regioni finanziariamente piu' deboli, rendendo vano ogni sforzo di perequazione nell'ambito del federalismo fiscale. In piu', il sistema sanitario tenderebbe a differenziarsi per il diverso rapporto tra sanita' pubblica e sanita' privata. Bisogna poi tener conto dei pesanti
effetti di differenziazione derivanti dalla attribuzione del carattere esclusivo alle competenze regionali nelle altre materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato (agricoltura, industria e turismo, tra le altre): in queste materie potrebbe diventare impossibile la determinazione di principi generali unitari e di qualunque politica nazionale;
b) concentra nel Primo ministro poteri che rendono del tutto squilibrata in senso autoritario la forma di governo dell'Italia, isolandola dagli Stati liberal-democratici. La blindatura del vertice del governo e' praticamente assoluta, perche' la sua sostituzione con un altro Primo ministro appartenente alla stessa maggioranza (che eviterebbe lo scioglimento della Camera), e' resa impossibile dall'altissimo quorum richiesto. Il Presidente della Repubblica perde il potere di scioglimento della Camera, che passa integralmente al Primo ministro: la Camera dei deputati e' degradata ad una condizione di mortificante inferiorita': o si conforma alla richiesta di approvazione di un testo legislativo su cui il Premier ha posto la questione di fiducia o, se dissente, provoca lo scioglimento dell'Assemblea e il
ritorno di fronte agli elettori. La finalita' "antiribaltone" non giustifica queste scelte estreme, perche' la stabilita' del governo dipende soprattutto dal "fatto maggioritario", realizzabile anche con l'attribuzione di un premio di maggioranza, come e' gia' avvenuto nelle XIV e XV legislature;
c) Il superamento del bicameralismo paritario (escludendo il Senato dal rapporto di fiducia) non e' giustificato dalla creazione di un vero Senato federale rappresentativo degli enti e delle comunita' territoriali. La riduzione del numero dei parlamentari e' un espediente puramente demagogico perche' essa e' operativa solo dal 2016 quando i capi e capetti di oggi saranno sperabilmente in pensione;
d) La distribuzione delle attribuzioni legislative tra Camera e Senato in base alle diversita' delle materie (quelle di competenza esclusive dello Stato, le altre di competenza concorrente con le Regioni) rende del tutto incerto l'esercizio del potere di legiferare, anche perche' il Primo ministro puo' spostare dal Senato alla Camera la deliberazione in via definitiva sui testi ritenuti fondamentali per l'attuazione del programma di governo;
e) da ultimo, ma non per ultimo, il testo sottoposto a referendum viola l'art. 138 della Costituzione, che non prefigura "riforme totali" della Carta, e viola i diritti degli elettori, radicati negli artt. 1 e 48 Cost., elettori che con un solo "si'" o "no" vengono costretti a prendere contemporaneamente posizione sulle modifiche delle funzioni del Presidente del Consiglio, delle funzioni del Presidente della Repubblica, del procedimento legislativo, della composizione e delle funzioni di Camera e Senato, delle competenze legislative regionali, della composizione della Corte costituzionale, del giudizio di legittimita' costituzionale in via diretta e del procedimento di revisione costituzionale.
Se vincesse il si' diventerebbe impossibile per molto tempo cambiare un testo approvato dal popolo; mentre se vince il no, c'e' solo il rifiuto di "quella" riforma (votata nella passata legislatura) restando aperta la strada per emendamenti migliorativi puntuali coerenti con i principi ed equilibri fondamentali dell'impianto costituzionale: emendamenti da approvare a maggioranza qualificata, in forza della auspicata riforma dell'art. 138 della Costituzione, volta a mettere fine una volta per tutte all'epoca delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza.
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Firmato da:
Presidenti o vicepresidenti emeriti della Corte costituzionale:
Leopoldo Elia, Antonio Baldassarre, Enzo Cheli, Riccardo Chieppa, Piero Alberto Capotosti, Francesco Paolo Casavola, Giovanni B. Conso, Fernanda Contri, Mauro Ferri, Francesco Guizzi, Renato Granata, Carlo Mezzanotte, Guido Neppi Modona, Valerio Onida, Gabriele Pescatore, Giuliano Vassalli, Gustavo Zagrebelsky.
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Professori universitari di diritto costituzionale, diritto pubblico e diritto amministrativo:
Franco Bassanini, Alessandro Pizzorusso, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Federico Sorrentino, Gaetano Azzariti, Gianni Ferrara, Sergio Stammati, Massimo Luciani, Paolo Caretti, Salvatore Prisco, Antonino Spadaro, Mario Dogliani, Maurizio Fioravanti, Giorgio Pastori, Roberto Bin, Paolo Ridola, Giancandido De Martin, Adriana Vigneri, Roberto Zaccaria, Pietro Ciarlo, Luisa Torchia, Renato Balduzzi, Vincenzo Cerulli Irelli, Domenico Sorace, Carlo Amirante, Giuseppe Ugo Rescigno, Antonio Ruggeri, Augusto Cerri, Mauro Volpi, Angelo Mattioni, Michele Scudiero, Adele Anzon, Umberto Allegretti, Fulco Lanchester, Massimo Villone, Gregorio Arena, Paolo Carrozza, Massimo Carli, Maurizio Oliviero, Alfonso Di Giovine, Bernardo G. Mattarella, Alessandro Torre, Angelo Antonio Cervati, Annamaria Poggi, Ernesto Bettinelli, Giulio Vesperini, Vittorio Angiolini, Tania Groppi, Gianfranco D'Alessio, Silvio Gambino, Alfonso Celotto, Stefano Grassi, Enzo Balboni, Alberto Massera, Cesare Pinelli, Giovanni Serges, Giuseppe Di Gaspare, Enrico Grosso, Gladio Gemma, Roberto Pinardi, Agatino Cariola, Andrea Pugiotto, Massimo Siclari, Anna Chimenti, Eduardo Gianfrancesco, Angela Musumeci, Francesco Rimoli, Nicola Colaianni, Gianluca Gardini, Stefano Sicardi, Auretta Benedetti, Carla Barbati, Paolo Carnevale, Gianni Sacco, Andrea Gratteri, Roberto Oliva, Francesco Vella, Mauro Renna, Ernesto Sticchi Damiani, Bruno Dente, Emanuele Conte, Marco Bombardelli, Alberto Lucarelli, Maria Paola Guerra, Nicola Lupo, Maria Alessandra Sandulli, Maria Cristina Grisolia, Lorenzo Chieffi, Giovanni Cocco, Giorgio Grasso, Antonio D'Aloia, Riccardo Guastini, Joerg Luther, Filippo Pizzolato, Emanuele Rossi, Camilla Buzzacchi, Anna Marzanati, Aldo Sandulli, Gianmario De Muro, Fernando Puzzo, Barbara Marchetti, Francesco Bilancia, Paolo Giangaspero, Leopoldo Coen, Daria De Pretis, Giovanni Di Cosimo, Giuditta Brunelli, Antonio Cantaro, Rosanna Tosi, Claudio De Fiores, Saulle Panizza, Giuseppe Campanelli, Pietro Pinna, Omar Chessa, Elena Malfatti, Sandro Staiano, Francesco Rigano, Matteo Cosulich, Filippo Donati, Maria Stella Righettini, Valeria Piergigli, Luisa Azzena, Nicola Vizioli, Giampaolo Gerbasi, Luca Baccelli, Paola Marsocci, Laura Ronchetti, Roberta Calvano, Sergio Congiu, Renato Pescara, Giovanni Saracino, Diego Corapi, Giulia Tiberi, Giulio Enea Vigevani, Pio G. Rinaldi, Alessandra Valastro, Luigi Cozzolino, Luca Castelli, Aldo Loiodice, Vincenzo Tondi della Mura, Roberto Romboli, Pasquale Costanzo, Barbara Pezzini, Carlo Colapietro, Raffaele Bifulco, Filippo Satta, Roberto Cavallo Perin, Guido C. di San Luca, Fabio Francario, Antonio Romano Tassone, Giorgio Cugurra, Luigi Volpe, Paolo Veronesi, Marco Olivetti, Roberto Toniatti, Marina Calamo Specchia, Giovanni Duni, Alessandro Mazzitelli, Gianluca Bascherini, Giovanna Endrici, Walter Nocito, Paolo Sabbioni, Sergio Gerotto, Maurilio Gobbo, Enrico Caterini, Guerino D'Ignazio, Laura Rainaldi, Marco Ruotolo, Andrea Piraino, Andrea Giorgis, Edoardo Chiti, Rodolfo Lewanski, Nicoletta Rangone, Felice Besostri, Mario Ganino, Caterina Cittadino, Elisabetta Lamarque, Giancarlo Montedoro, Francesco Cerrone, Fabio Corvaja, Marco Giampieretti, Giovanni Tarli.
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Professori universitari di materie giuridiche:
Pietro Rescigno, Stefano Rodota', Nicolo' Lipari, Luigi Ferrajoli, Paolo Zatti, Enrico Di Nicola, Gabrio Forti, Arianna Fusaro, Leopoldo Tullio, Anna Maria Pagliei, Mario Losano, Eligio Resta, Francesco Trimarchi, Maria Vittoria Cozzi, Clemente Santillo, Mario Fiorillo, Federico Carrai, Alberto Oliverio, Luigi Berlinguer, Lucia Serena Rossi, Anna Lazzaro, Valentina Prudente, Alessandro Dal Piaz, Francesco Domenico, Pietro Mancini, Sergio Caruso, Domenico Gallo, Fausta Guarriello, Carlo Cester, Giuseppe Pera, Giancarlo Guarino, Marco De Cristofaro, Gilberto Lozzi, Antonio Mantello, Giuliano Crifo', Mauro Catenacci, Oronzo Mazzotta, Massimo Coccia, Maria Luisa Alaimo, Piero Antonio Bonnet, Maria Grazia Campari, Fausto Granelli, Pia Acconci, Antonio Marchesi, Carlo Renoldi, Mauro Meucci, Francesco Maisto, Riccardo Fuzio, Antonella Salomoni, Claudio Di Turi, Francesco Sbordone, Severino Nappi, Giorgio Giraudi, Roberto De Luca, Renate Siebert, Massimo Fragola, Sabina Licursi, Fabrizio Amato, Silvia Albano, Emilio Siriani, Alessandra Facchi, Thomas Casadei, Silvia Bozzelli, Franco Batistoni Ferrara, Giuliano Lemme, Lucio Lanfranchi, Antonio Carratta, Maria Donata Panforti, Gustavo Gozzi, F. Zanchini Castiglionchio, Ermanno Vitale, Angela Del Vecchio, Lia Biscottini, Anna Cardiota, Alessandra D'amico, Nadia Del Frate, Giovanna Fava, Fabrizio Frasnedi, Samuela Frigeri, Fausto Gardini, Giuseppe Giampaolo, Maria Elena Guarini, Raffaella Lamberti, Claudia Landi, Irene Mazzone, Rosa Mazzone, Elena Merlini, Elena Passanti, Patrizia Ravellini, Carlo Ronconi, Maria Grazia Scacchetti, Maria Teresa Semeraro, Elena Tasca, Stefania Tonini, Pierangela Venturini, Maria Virgilio, Vincenzo Ferrari, Sergio Mattone, Luca Lo Schiavo, Massimo Basilavecchia, Fabio Botta, Giovanna Mancini
*
Professori universitari di altre discipline:
Pietro Scoppola, Giuseppe Alberigo, Pippo Ranci, Salvatore Settis, Alessandro Pizzorno, Augusto Graziani, Guido Formigoni, Massimo Bordignon, Arnaldo Bagnasco, Marcello Messori, Mario Sarcinelli, Riccardo Mussari, Gianluigi Beccaria, Francesca Zajczyk, Silvia Giannini, Claudio Nunziata, Lorenzo Caselli, Valerio Speziale, Luciano Benadusi, Adriana Topo, Paola Tornaghi, Giuseppe Marotta, Gian Antonio Mian, Marcello Piazza, Luciano Corradini, Franco Russo, Giovanbattista Zorzoli, Umberto Mazzone, Michele Emmer, Mariuccia Salvati, Michele Lalla, Adele Maiello, Luciano Hinna, Stefano Tortorella, Maria Giulia Amatasi, Marina Torelli, Joan FitzGerald, Silvia Carandini, Eugenia Equini Schneider, Ferruccio Marotti, Elena Pierro,
Francesco Romeo, M. Teresa Spagnoletti Zeuli, Fulvio Rino, Valentina D'Urso, Stefano Trinchese, Mario Vietri, Giovanna Bianchi, Livio Triolo, Marco Rossi, Silvana Saiello, Paolo Bosi, Alberto Burgio, Francesca Bettio, Maria Cecilia Guerra, Corinna Papetti, Ennio Bertolucci, Achille Flora, Carlangelo Liverani, Vincenza Orlandi, Federico Albano Leoni, Geminello Preterossi, Carmine Ampolo, Anna Oppo, Paolo Ramat, Gaetano Arfe', Marcello Cini, Giovanna Grignaffini, Wilma Labate, Raniero La Valle, Simona Pergolesi, Aurelio Picchiocchi, Stefania Pastore, Enrico Pugliese, Gabriella Turnaturi, Antonella Tabacchini, Giorgio Vecchio, Claudio Pavone, Anna Rossi-Doria, Antonello Sotgiu, Antonio Bertacca, Carlo Cerotto, Cristiana Peroni, Enrico Giusti,
Ernesto Lamanna, Fernando Ferroni, Giuseppe Marchesini, Marta Cucciolini, Maurizio , Benfatto, Pier Maria Gaffarini, Pier Raimondo Crippa, Renzo Vaccarone, Roberto Bartolino, Roberto Bellotti, Roberto Cirio, Sergio Ratti, Giuseppe Catalano, Mario Regini, Tazio Pinelli, Wanda M. Alberico, Patrizia Mentrasti, Maria G. Lo Duca, Bruno Anatra, Maria Barbara Ponti, Leonida Pandimiglio, Danilo Giulietti, Leopoldo Milano, Maria Itala Ferrero, Barbara Caccia, Amedeo De Dominicis, Fabrizio Bertinetto, Cristina Burani, Arnaldo Stefanini, Michele Livan, Sofia Casula, Davide Caramella, Ubaldo Bottigli, Marco Salis, Paola Beninca', Tommaso Pizzorusso, Anna Laura Zanatta, Carla Varese, Giuliana Giusti, Roberto Antonelli, Sandra Di Majo, Anna Antonini, Marco Budinich, Paolo Bufera, Giunio Luzzatto, Giovanni Bachelet, Mario Calvetti, Laura Sannita, Carlo Bernardini, Giorgio Parisi, Giorgio Gallo, Emanuele Menegatti, Andrea Zanella, Claudio Natoli, Francesco Di Matteo, Amalia Signorelli, Giancarlo Monina, Paola Crucci, Alberto Melloni, Marzolini Bartolini Bussi, Ferdinando Arzarello, Iaia Masullo, Alessandro Lenci, Mauro Belli, Arnaldo Vecli, Ennio Gozzi, Luca Fanfani, Daniele Zedda, Michelangelo Bovero, Filippo Zerilli, Giancarlo Gialanella, Lucia Re, Mirella Enriotti, Giuliana Chiaretti, Carla Bazzanella, Maria Concetta Dentoni, Federico Butera, Luigi Mazza, Paolo Rossi, Gabriele Pasqui, Daniela Lepore, Enrico Rebeggiani, Luciano Vettoretto, Gian Paolo Caselli, Giorgio Prodi, Giorgio Zanetti, Giulio Conticelli, Giuseppe Dell'Agata, Francesco Fidaleo, Donatella Barazzetti, Carlo Donolo, Laura Di Nicola, Lucia Sagui', Luciano Mariti, M. Luisa Cerron Puga, Paolo Gramolino, Franco Benigno, Maurizio Donato, Franco Eugeni Giorgio Caravale.

giovedì, giugno 22, 2006

Il referendum constituzionale nella valutazione del Meic e dell'Istituto Bachelet

Il referendum costituzionale nella valutazione del Meic e dell’Istituto Bachelet dell'Azione Cattolica Italiana.

La prossima chiamata alle urne per il referendum confermativo – promosso per iniziativa sia di un rilevante numero di elettori sia di parlamentari e consigli regionali (cioè tutte le categorie di soggetti previsti dalla Costituzione) – sollecita alcune considerazioni che sentiamo il dovere di esternare a tutti coloro che hanno a cuore le istituzioni della nostra Repubblica, auspicando fin d’ora un’ampia e consapevole partecipazione al voto (ancorché la consultazione sia valida quale che sia il „quorum” di partecipazione) che esprima l’importanza della carta costituzionale nella vita dei cittadini.
Premessa della nostra riflessione, anche alla luce del convegno nazionale promosso dal Meic e svoltosi all’Istituto Treccani gli scorsi 5 e 6 maggio, è la conferma della valutazione positiva sulla nostra Costituzione, esempio di equilibrio tra la prima e la seconda parte, cioè tra la Costituzione dei diritti e la Costituzione dei poteri, ma anche, all’interno della seconda parte (quella organizzativa), di equilibrio tra i diversi poteri e tra i diversi livelli territoriali. Qualunque intervento di revisione deve rispettare tale equilibrio.
Ci sembrano essenziali, in questa prospettiva, soprattutto tre ordini di considerazioni:
1) La valutazione complessivamente negativa della riforma costituzionale. Il giudizio sul testo di legge costituzionale approvata nel novembre scorso dal Parlamento non può che essere fortemente critico, sia sul modo con cui si è giunti a concludere l’iter parlamentare, sia in ordine a molta parte dei contenuti della riforma.
Per quanto riguarda il metodo va sottolineato che non vi è stata assolutamente la (paziente) ricerca di quell’ampio consenso che richiede una revisione costituzionale, a maggior ragione se di così ampia portata come quella in discussione, che riguarda ben 53 articoli della legge fondamentale. Vi è stata anzi un’aspra contrapposizione, in un clima assai poco costituente, in cui il dato che emerge è la scelta di blindare un testo frutto di compensazioni interne alla precedente maggioranza parlamentare, invece che la ricerca di larghe intese su regole del gioco essenziali per il funzionamento del sistema. La logica che dovrebbe consentire modifiche o integrazioni al testo della Costituzione, ai sensi dell’art. 138, è stata d’altra parte stravolta anche per la etereogeneità degli oggetti della riforma, che abbraccia almeno sette distinti argomenti (ruolo e funzione del Primo ministro, ruolo e funzione del Presidente della Repubblica, procedimento legislativo, composizione e funzioni di Camera e Senato, competenze legislative regionali, composizione della Corte costituzionale e procedimento di revisione costituzionale).
Circa i contenuti, le perplessità maggiori riguardano:
a) il premierato „assoluto”, con una verticalizzazione della responsabilità politica che condizionerebbe anche la vita della Camera, senza alcun effettivo contrappeso;
b) il bicameralismo barocco e spurio che è stato immaginato, con tre tipi di procedimento legislativo;
c) le norme che depotenzierebbero un organo di garanzia come il Presidente della Repubblica e
politicizzerebbero maggiormente la Corte costituzionale;
d) infine, la cd. „devoluzione”, basata su una confusa soluzione ideologica di federalismo assai poco solidale, con rischi sia di conflitti tra i vari livelli del sistema e di rottura dell’unità e della solidarietà nazionale sia di riduzione a livelli minimi di quelle che ora sono considerate le prestazioni essenziali in materia di istruzione e assistenza sanitaria.
L’esito sarebbe, da un lato, uno sbilanciamento del sistema politico-costituzionale e, dall’altro, una maggiore confusione nell’assetto delle competenze, con rischi conflittuali o paralizzanti, oltre che il pericolo sostanziale di messa in discussione di principi e di garanzie unitarie e fondamentali sancite nella parte prima della Costituzione (soprattutto in ordine ad alcune istanze di solidarietà di sistema che debbono assicurare la coesione della comunità nazionale).
Anche alcune scelte potenzialmente utili, quale la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo rigidamente paritario, la sottolineatura di meccanismi collaborativi tra Stato e regioni, la valorizzazione della sussidiarietà orizzontale e l’accesso alla Corte costituzionale delle autonomie locali appaiono assai problematiche in quanto il testo ora non ne chiarisce la portata (sussidiarietà), ora (riduzione dei parlamentari) la differisce addirittura sino al 2016, ora non le collega tra loro (raccordi Stato-regioni e nuovo bicameralismo), ora infine non si cautela rispetto a possibili controindicazioni (accesso alla Corte costituzionale).
2) Il „no” nel voto referendario – In base a queste premesse non ci appare dubbia la necessità di prendere le distanze da questo testo di riforma e bocciarlo con un esplicito „no” popolare, che rappresenta ormai l’unico modo per evitare i molti problemi e danni che potrebbero derivare dalla entrata in vigore di questa riforma.
Questo „no”, in sostanza, appare pienamente giustificato e obbligato considerando i principali limiti della riforma, sia per sanzionare il metodo con cui è stata approvata, senza un’effettiva apertura al dibattito e ad apporti di tutte le principali componenti politiche rappresentate in Parlamento, sia per i contenuti inaccettabili delle soluzioni previste sulla forma di governo, l’assetto del bicameralismo e del procedimento legislativo, la composizione della Corte costituzionale, cui si aggiunge il pasticcio contraddittorio e pericoloso nel riparto del potere legislativo in materie essenziali come quelle dell’istruzione e della tutela della salute.
E’ un „no” che finisce per travolgere forzatamente l’intero testo, anche se alcune parti potrebbero essere utili.
Ma l’espressione di voto è unica e non consente di distinguere. D’altra parte, ciò evidenzia una volta di più che le riforme e gli adeguamenti costituzionali dovrebbero essere perseguiti per oggetti omogenei, in modo anche da consentire – in caso di referendum – un’effettiva possibilità di voto libero da parte del cittadino. Ma è un „no” che non deve accentuare le divaricazioni tra le forze politiche, indebolendo le condizioni per riprendere il cammino riformatore: anzi nel dibattito che deve precedere la votazione referendaria è opportuno creare le premesse per una messa a fuoco del rapporto tra norme costituzionali ed esigenze del Paese, cercando una convergenza su eventuali reali esigenze di riforma.
3) Il „no” non deve significare comunque un blocco della riflessione sulle riforme costituzionali. Se il meccanismo referendario obbliga a decidere in modo drastico per un „no” all’intero testo, ciò non deve significare né una bocciatura totale di tutte le soluzioni ivi contenute, né soprattutto comportare l’abbandono della riflessione sugli eventuali e opportuni adeguamenti della Costituzione. Si tratta, nella legislatura appena apertasi, di ricercare il terreno della possibile maggiore condivisione e di affinare le capacità di discernimento, con alcuni elementi fondamentali di riferimento.
In primo luogo, che la revisione costituzionale del 2001, prima ancora che corretta in alcuni punti e integrata in altri, va sperimentata in tutte le sue parti, compresa quella, interessante e innovativa, che prevedeva l’integrazione con rappresentanti delle regioni e delle autonomie locali della commissione bicamerale per le questioni regionali. In secondo luogo, che si tratta di procedere per oggetti omogenei, ricercando soluzioni che ottengano un effettivo ampio consenso, nel rispetto della logica dell’art. 138, il quale andrebbe semmai rafforzato per stabilire l’obbligo di una soglia dei due terzi per approvare le revisioni costituzionali (lasciando con nettezza al di fuori di questa prospettiva ogni suggestione di dar vita ad una nuova Assemblea costituente, che inevitabilmente destabilizzerebbe il sistema politico e metterebbe in discussione direttamente
la prima parte della Costituzione). In terzo luogo, che occorre saper trarre dall’esperienza politicoistituzionale di questi anni indicazioni non ideologiche, ma frutto dell’esperienza medesima: per fare due esempi importanti, si pensi all’esigenza di rafforzare l’adesione italiana all’Unione europea attraverso un articolo ad hoc e, in tutt’altro campo, alla opportunità di allargare la legalità costituzionale, rivedendo la previsione della autodichia (art. 66 Cost.) con la previsione di adeguate garanzie nei confronti della decisione delle Camere sulla convalida delle operazioni elettorali.
Sulla base di questi elementi, l’occasione referendaria può allora divenire il momento per riaffermare i valori della Costituzione, sanciti in modo lungimirante nel 1946-1947 (a opera di un arco composito di forze ideali e culturali al cui interno un ruolo decisivo svolse la componente di ispirazione cattolica), spesso ancora da sviluppare e attuare in parti significative. Si auspica, quindi, che dopo il referendum, si creino rapidamente le condizioni per avviare in Parlamento e tra le forze politiche il dialogo indispensabile per concretizzare, in tempi ravvicinati, gli interventi sopra sintetizzati, evitando che si estenda e si perpetui l’idea affrettata di una Costituzione sorpassata e quindi un clima di incertezza sempre più dannoso per la vita politica e sociale del
nostro Paese. La Costituzione repubblicana è un patrimonio degli italiani tuttora vitale e da tutelare nelle sue linee fondamentali e nei valori portanti riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini e rapporti economicosociali: patrimonio non da stravolgere, ma da perfezionare e attuare concretamente, in una prospettiva che rafforzi e valorizzi le varie autonomie, la sussidiarietà e la solidarietà nazionale, per superare i crescenti rischi di involuzione del sistema democratico e di disaffezione dei cittadini per la partecipazione politica, da ultimo mortificata in modo assai grave dalle modifiche delle leggi elettorali per Camera e Senato.

mercoledì, giugno 21, 2006

Per la Costituzione

Appello di riviste di ispirazione cristiana.



Anche per i cristiani del nostro Paese si avvicina un momento di grande responsabilità.

Per la prima volta dal 1946 il potere costituente torna al popolo. La Costituzione che ci governa dal 1948 è stata ripudiata da una parte del mondo politico italiano e dalla maggioranza delle vecchie Camere, e sulla “Gazzetta Ufficiale” è stata già pubblicata la nuova Costituzione, che se non è ancora entrata in vigore è solo perché il popolo si è riservato il diritto di respingerla col “no” nel referendum convocato per il 25 e 26 giugno. Questa chiamata alle urne non è pertanto una prova elettorale come le altre; si tratta di un referendum assolutamente eccezionale in cui i cittadini, divenuti essi stessi costituenti, devono decidere di nuovo dell’identità e del futuro della Repubblica.

Ciò che fu stabilito dall’Assemblea Costituente nel 1947 è infatti oggi rimesso in questione. Allora confluirono in quella decisione le tre grandi culture del Paese, quella cattolica, quella comunista e socialista allora strettamente unite, e quella laico-liberale; ma l’incontro e la sintesi di quelle tre culture fu talmente felice che non un pezzo della Costituzione per ciascuna, ma l’intera Costituzione è risultata perfettamente coerente a ciascuna delle tre ispirazioni. Perciò essa, scritta (e sottoscritta) da tutti, è anche la Costituzione di tutti ed ha compiuto il miracolo di unificare l’Italia e di permetterle di passare dalla arretratezza alla modernità, dalla miseria diffusa alla diffusa abbondanza di beni pur nelle sussistenti disparità, dalla dittatura alla democrazia e dalla guerra a una lunga pace. Con essa la guerra fu ripudiata; le filosofie e le dottrine politiche che avevano fondato la società sulla ineguaglianza per natura degli esseri umani furono rigettate e sostituite da una antropologia della pari dignità umana, per costruire un ordinamento di giustizia e di pace.

Se la Costituzione è di tutti, i cristiani hanno delle particolari ragioni per rivendicarne i contenuti e difenderla. Non solo perché vi concorsero nel sacrificio che la precedette e nella elaborazione che ne fissò i principi e le norme nell’Assemblea Costituente, ma perché il patrimonio che vi è rappresentato evoca i più alti valori della vita cristiana: dal fondamento del lavoro su cui è stabilita la Repubblica alla centralità della parola che si esprime nel Parlamento, dal primato della pace alla conversione dei poteri in “funzioni” e servizi per il bene comune, dalla pacificazione con la Chiesa cattolica alla laicità e alla libertà religiosa. Nell’enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII la Costituzione, come carta dei diritti e regola dei rapporti tra cittadini e poteri pubblici fu celebrata come un “segno dei tempi”, cioè come una delle conquiste storiche in cui costruzione umana e ordine voluto da Dio si parlano e si incontrano.

Se nella ordinaria vita politica i cristiani sono presenti e agiscono senza esibire la loro peculiare identità, vi sono circostanze che possono esigere un atteggiamento diverso. Quando, come in occasione di questo referendum, sono in gioco e per un lungo tempo futuro i fondamenti stessi e i valori supremi della convivenza civile, non c’è ragione per cui dei cristiani non debbano assumere a viso aperto le difese della Costituzione, impegnandovi tutta la loro responsabilità. Del resto, se nella storia del nostro Paese hanno svolto, in diverse forme, un ruolo di rilievo le tradizioni del cristianesimo democratico e del cristianesimo sociale, oggi sembra del tutto opportuno e necessario che emerga un’iniziativa di “cristiani per la Costituzione”, per salvarla nel momento in cui è “aggredita”.

Vero è che tale aggressione viene negata, perché quella che viene rimossa e sostituita dal testo di Calderoli e degli altri quadrunviri riunitisi a Lorenzago è solo la seconda parte della Costituzione, e quindi sarebbero fatti salvi i principi e i diritti fondamentali della prima. Ma le due parti della Costituzione sono speculari e necessarie l’una all’altra: la prima parte è una struttura a piramide rovesciata, avente al primo posto i diritti e i doveri del cittadino nella sua individualità, e poi via via del cittadino in rapporto alla famiglia e alla scuola, quindi in rapporto alla sfera economica e infine in rapporto a quella più ampia del mondo politico; la seconda parte, in base allo stesso schema, comincia col Parlamento, in corrispondenza al primo articolo proclamante la sovranità popolare, per svilupparsi poi nella definizione degli altri istituti in cui coerentemente doveva concretarsi l’organizzazione statale unitaria della società. In tal modo la seconda parte risulta attuazione, strumento e garanzia della prima. Ora nella riforma promossa dalla Lega e varata da tutto il centrodestra sotto il nome riduttivo e fuorviante di “devolution”, questo rapporto viene rotto. Il Parlamento è travolto, la vita della Camera è condizionata a quella del governo, la rappresentanza popolare è smembrata in una maggioranza dotata di tutti i poteri e una minoranza senza diritti, i cui voti nemmeno verrebbero contati nelle votazioni di “sfiducia costruttiva”, l’unità nazionale che comporta pari opportunità per tutte le regioni è compromessa e gli istituti di garanzia sono snaturati e mortificati. In particolare il Presidente della Repubblica non avrebbe neanche il potere di salvare la Camera dallo scioglimento che il Primo Ministro potrebbe decretare in ogni momento mandando a casa i deputati a suo piacimento; verrebbe istituita la figura sovrana e incondizionata del capo del governo, vero padrone “determinante” della politica nazionale e del Paese intero. Tutto ciò di cui si è discusso in queste settimane per l’attribuzione dei nuovi ruoli istituzionali e di governo, diverrebbe con la nuova Costituzione privo di senso, perché un solo potere personale sarebbe instaurato e garantito e nessuna vera opposizione potrebbe essere esercitata in corso di legislatura. L’identità dell’Italia e il suo ruolo nel mondo sarebbero decisi da una persona sola, e il popolo non potrebbe influirvi facendo valere le sue radici, la sua civiltà e la sua cultura.

La difesa della Costituzione vigente non vuol dire peraltro che singole sue disposizioni o istituti non possano essere modificati se necessario; ma in ogni caso deve essere salvaguardato il costituzionalismo interno e internazionale nelle sue acquisizioni irrinunciabili.

Perciò noi riteniamo che sia necessaria una forte mobilitazione dei cristiani contro questa riforma, anche attraverso la partecipazione a una grande manifestazione nazionale unitaria di tutto il fronte democratico per il “NO” al referendum del 25 giugno. E dopo il referendum pensiamo che debba restare alta l’attenzione dei credenti perché ai valori della Costituzione non sia inferta alcuna ferita, e perché l’amore della pace, dell’unità, della libertà e dei diritti torni sempre a rinascere.



Promuovono l’Appello:

(in ordine alfabetico)

Adista (agenzia di informazione su religione e politica), Aggiornamenti Sociali (mensile dei gesuiti del Centro Culturale San Fedele - Milano), Appunti di Cultura e Politica (rivista dell’associazione “Città dell’Uomo”), Cem Mondialità (mensile di educazione interculturale dei Missionari Saveriani), Cercasi un fine (periodico di cultura e politica fondato da organizzazioni del volontariato pugliese), Club3 (mensile di attualità dei Religiosi Paolini), Confronti (mensile di dialogo interreligioso), Coscienza (mensile del Meic – Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale dell’Azione Cattolica), Cristiano sociali news (quindicinale del movimento dei Cristiano Sociali), Gioventù Evangelica (trimestrale della Fgei - Federazione Giovanile Evangelica Italiana), GO - Gioventù Operaia (mensile della Gioc), Il Dialogo (periodico politico-religioso irpino), il foglio (mensile di cristiani torinesi), Il Gallo (rivista di cristiani genovesi), Il Margine (mensile dell’associazione Oscar Romero), Il Tetto (bimestrale politico religioso fondato a Napoli nel 1964), Jesus (mensile di cultura e attualità religiosa dei Religiosi Paolini), Koinonia (rivista di formazione comunitaria cristiana promossa a Pistoia da Religiosi Domenicani e da laici), La Voce Alessandrina (settimanale della Diocesi di Alessandria), L’invito (trimestrale di cristiani trentini), Misna (Agenzia dei 4 Istituti Missionari: Comboniani, Saveriani, Pime e Missioni della Consolata), Missione Oggi (mensile dei Missionari Saveriani), Missioni Consolata (rivista dei Missionari della Consolata in Italia), Mosaico di Pace (rivista mensile promossa dalla sezione italiana di Pax Christi), Mo.VI informazione (rivista del Movimento del Volontariato Italiano), Narcomafie (Mensile del Gruppo Abele di Torino), Nigrizia (mensile dei Missionari Comboniani), Notiziario Cdb (periodico delle Comunità Cristiane di Base), Oreundici (rivista dell’associazione cristiana “Ore undici”), Polis duemila (periodico Associazione culturale di impegno sociale e politico), Politicamente (periodico dell'associazione cattolico-democratica “Agire politicamente”), Popoli (mensile internazionale e missionario dei gesuiti italiani), Preti Operai (rivista dei preti operai italiani), Proposta educativa (rivista del Mieac – Movimento di Impegno Educativo di Azione Cattolica), Qol (rivista di dialogo ebraico-cristiano), Ricerca (mensile della Fuci – Federazione Universitaria Cattolica Italiana), Riforma (settimanale delle Chiese Evangeliche Battiste, Metodiste e Valdesi), Rocca (quindicinale della “Pro Civitate Christiana” di Assisi), Segno (mensile di cultura e politica di laici e Religiosi Redentoristi di Palermo), Settimana (settimanale di attualità per operatori pastorali dei Religiosi Dehoniani), Tempi di Fraternità (mensile piemontese di cristiani di base), Testimonianze (rivista fondata da padre Ernesto Balducci), Viottoli (mensile della Comunità cristiana di base di Pinerolo), Vita monastica (rivista dei monaci camaldolesi), Vita pastorale (mensile per operatori pastorali dei Religiosi Paolini)

martedì, giugno 20, 2006

Alcune ragioni per votare sì

Vorrei proporre alcune ragioni per votare sì al referendum del 25 e 26 Giugno.
Il recente pronunciamento della conferenza episcopale italiana fornisce il quadro migliore per un confronto serio. I vescovi hanno richiamato alla responsabilità, alla prudenza ed al coraggio. Alla responsabilità, perché la materia è delicata ed importante. Alla prudenza, perché si eviti di coprire con l'autorità della Chiesa opzioni che per forza di cose non possono essere infallibili. Al coraggio, per riconoscere le opportunità laddove si manifestano.
Il nucleo ideale del dibattito riguarda il rapporto con lo spirito e la lettera della Costituzione. Questa non deve divenire un idolo, ma certo costituisce un'intuizione di gran valore che ha consentito alla comunità nazionale di compiere un importante cammino di sviluppo civile.
Ma proprio questa semplice affermazione dischiude una possibilità che va valutata con attenzione e libertà d'animo. Spesso si verifica che proprio il successo di un'istituzione determini un contesto sociale nuovo, che richiede, proprio a chi difende le ragioni alla radice di quella istituzione, di intraprenderne una riforma anche profonda. Così, potrebbe darsi che oggi, proprio per essere fedeli all'opzione democratica e repubblicana all'origine della Costituzione del 1948, sia necessario riformarne parti anche importanti affinché obiettivi ideali analoghi a quelli definiti allora possano essere ancora perseguiti in contesti sociali però profondamente mutati. Diversamente, le migliori intenzioni non impedirebbero alla pura e semplice difesa dell'esistente di produrre un sostanziale tradimento delle opzioni fondamentali cui pure ci si riferisce.
In questa prospettiva, a me pare che tra le riforme costituzionali che il 25 e 26 giugno siamo chiamati a giudicare ce ne siano alcune di grande utilità.
In particolare mi riferisco all'aumento dei poteri del premier (reso più responsabile di fronte all'elettorato), alle norme anti-ribaltone (che impediscono ai parlamentari di stravolgere le scelte dell'elettorato ed alle piccole fazioni di condizionare l'azione di governo per soli interessi di ceto), alla redistribuzione dei poteri tra amministrazioni centrali ed amministrazioni locali. Si tratta di riforme che incrementano gli spazi di responsabilità e di sussidiarietà (cui i cattolici sono senz'altro sensibili).
Naturalmente non si tratta di una riforma completa ed organica, né priva di elementi contraddittori o disfunzionali (in particolare il cosiddetto senato federale). Ed è per queste ragioni che molti, pur aperti alle riforme, sostengono il no.
Tuttavia, non abbiamo alcuna garanzia che ad una vittoria dei no segua un avvio delle riforme. Anzi, il carattere programmaticamente conservatore di larga parte del fronte del no ed il fatto che l'attuale maggioranza di centrosinistra abbia uno spento programma istituzionale, decisamente meno riformista di quello dell'Ulivo nel 1996, rende più ragionevole aspettarsi che una vittoria dei no infligga un colpo forse mortale alle prospettive di riforma democratica delle istituzioni politiche italiane.
Al contrario, una vittoria dei sì introdurrebbe alcune riforme positive e costringerebbe a tener aperto il cantiere riformatore, per correggere i limiti - ormai comunemente ammessi - della legge costituzionale approvata nella scorsa legislatura e per completare l'opera.

Luca Diotallevi

lunedì, giugno 19, 2006

La FUCI e il referendum sulle riforme costituzionali

La FUCI e il referendum sulle riforme costituzionali
Documento elaborato dalla presidenza nazionale e approvato all’Assemblea federale di Pisa 2006-

1. Nei prossimi mesi saremo chiamati a pronunciarci, nelle forme del referendum confermativo, sulla revisione costituzionale quantitativamente e qualitativamente più rilevante della storia della Repubblica. Non è facile esprimere un giudizio pacato su tale riforma, prescindendo dalla considerazione delle condizioni in cui questa è venuta a maturare. Ancor meno lo diventerà con l’approssimarsi della scadenza referendaria; lo spettacolo offerto dall’appena conclusa campagna elettorale non permette ragionevolmente di sperare ora in un confronto serio e disteso sulle esigenze di riforma delle istituzioni del nostro Paese. Ciò che è probabile è che l’attuale riforma costituzionale diventi l’ennesimo terreno di scontro frontale fra i due poli della politica italiana, con la sua demonizzazione da parte di chi non vi ha contribuito e la sua difesa “blindata” da parte di chi la ha elaborata. Pur nella consapevolezza della difficoltà di una valutazione non rispondente a logiche di schieramento, sembrano rintracciabili alcuni punti fermi su base dei quali è possibile argomentare un giudizio.

2. In primo luogo sembra assolutamente censurabile il metodo con cui si è giunti a questa revisione, che nulla ha a che vedere con il clima culturale in cui venne elaborato il testo della nostra Costituzione e che tradisce lo spirito della procedura di revisione costituzionale prevista dall’art. 138. L’iter che ha portato a questa revisione costituzionale appare infatti caratterizzato da due diverse tensioni. Da una parte l’incapacità di stabilire un canale di dialogo fra gli opposti schieramenti politici e il mancato coinvolgimento dei rappresentanti delle Regioni e degli enti locali; dall’altra la spartizione del testo fra le varie componenti interne alla maggioranza, a discapito della coerenza complessiva del disegno riformatore. Sembra pertanto confermarsi e acuirsi sensibilmente la pericolosa tendenza, inaugurata nel 2001 da una diversa coalizione politica, a modificare la Costituzione a colpi di maggioranza. Si va così affermando l’idea che i valori fondamentali in essa contenuti siano nella piena disponibilità della maggioranza di turno, solo che questa abbia i numeri per intervenire sul testo costituzionale. Un simile atteggiamento, che fa della Costituzione un terreno e un’arma dello scontro politico, altro risultato non ha che quello di screditare il valore della Costituzione, il che significa, in ultima analisi, aggredire alla radice le ragioni e le regole fondamentali della convivenza democratica nella nostra società.
3. Anche nel merito molte delle soluzioni avanzate non sembrano rispondere all’esigenza di ammodernamento delle istituzioni, da lungo avvertita nel nostro Paese. Assolutamente inadeguata appare la proposta del c.d. “Senato federale”, il quale, ben lungi dal poter rappresentare adeguatamente le Regioni e le autonomie locali e dall’essere il luogo di raccordo fra le diverse entità che costituiscono la Repubblica, si configura piuttosto come un contropotere autoreferenziale, in grado di rallentare e paralizzare l’attività legislativa. Una seconda camera così costituita pone una seria ipoteca sul profilo della governabilità, che questa riforma persegue esclusivamente attraverso il rafforzamento della figura del Premier e dei suoi poteri di condizionamento sul Parlamento: in questo modo si finisce soltanto per esasperare le tendenze alla personalizzazione della politica e alla mortificazione del dibattito parlamentare, già in atto nel nostro Paese.
Quanto alla c.d. devolution, il rischio che la presente riforma possa intaccare alcuni degli elementi fondamentali della cittadinanza (quali la scuola e la sanità), si salda con la sicurezza che gli elementi di confusione e incertezza nel riparto delle competenze già presenti nell’attuale scenario costituzionale saranno indubbiamente destinati ad aumentare con questa riforma.
Forti preoccupazioni destano anche la politicizzazione della Corte costituzionale, con l’aumento dei componenti di nomina parlamentare, e le troppo deboli garanzie riconosciute alle forze di opposizione. Non si può inoltre non sottolineare che la presente revisione costituzionale manca di approntare meccanismi che migliorino gli istituti di partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica, proprio allorquando si renderebbero necessari interventi atti a rivitalizzare il referendum abrogativo (al fine di superare l’abuso - e la conseguente inefficacia – che lo ha contraddistinto negli ultimi anni) e a dare piena attuazione al principio del “metodo democratico” (di cui all’articolo 49 della Costituzione) nella vita dei partiti.
4. Queste ragioni ci sembrano sufficienti per non condividere il progetto di riforma costituzionale in esame; la FUCI esprime pertanto il proprio NO ad una riforma che non risolve adeguatamente nel merito le esigenze di rinnovamento istituzionale del nostro Paese e che, sul piano del metodo, indebolisce pericolosamente la percezione del valore delle regole fondamentali della convivenza democratica. La contrarietà all’attuale riforma non deve però essere letta attraverso la categoria dell’immodificabilità della Costituzione: la nostra Carta fondamentale, a sessant’anni dalla sua elaborazione, mostra dei limiti di fronte all’evolversi della vita politica del nostro Paese e un intervento di revisione sembra imprescindibile se si vuole colmare il divario che ormai separa il concreto funzionamento delle istituzioni dal dato normativo costituzionale. Pertanto è auspicabile che, successivamente all’esito del referendum, prosegua il dibattito sulla riforma delle istituzioni, in un clima che speriamo più disteso e maggiormente partecipato, nel reciproco riconoscimento delle contrapposte forze politiche. Da ultimo è bene ricordare come le riforme costituzionali non possano essere viste come la panacea in grado di risolvere tutti i problemi di funzionalità del nostro sistema politico, i quali più che dalle regole costituzionali sembrano dipendere da ragioni culturali, prassi ed interessi della nostra classe politica: già con le regole attuali non sarebbe impossibile il miglioramento dell’efficienza e delle garanzie del nostro sistema istituzionale, solo che ve ne fosse la volontà politica.

Enrico Brizzi è uscito, a piedi.

S.: Cos’è che nessuno saprà?
E.B.: Molte cose. Sono molte le cose che non saprà chi non si mette mai in ascolto, chi va sempre dritto per la sua strada senza rallentare mai. Poi i libri sono fatti per irradiare certi significati e per lasciarne altri nascosti. È bello che ognuno trovi i suoi secondo il proprio percorso.


Enrico Brizzi è uscito, a piedi, e s'è fatto una chiacchierata con mia sorella.

domenica, giugno 18, 2006

Si avvicina la data del referendum. Per ragioni pratiche, poichè sono stato in Italia la settimana scorsa, non tornerò a votare il 25 e forse anche per questo finora non mi sono interessato alla questione. Male. I cambiamenti sono particolarmente rilevanti e meritano una adeguata riflessione. Pertanto, nel mio piccolo, ho deciso che gli interventi sul blog in questa settimana saranno concentrati sul tema referendario.
Comincio con la pubblicazione di un appello che mi ha spedito Stefano Ceccanti. Invito tutti i miei lettori a segnalarmi articoli o interventi interessanti.



Lettera aperta
Da subito, ed anche attraverso il referendum del 25 Giugno
Riformare per rimanere fedeli, conservare per tradire

1. Riteniamo quanto mai opportuna la scelta dei vescovi italiani di non dare indicazioni di voto in merito alla scadenza referendaria e nel contempo di invitare a un esercizio attivo e consapevole del diritto di voto. Questa scelta contribuisce ad evitare, su un terreno particolarmente delicato, improprie demonizzazioni reciproche tra i due schieramenti. Essa richiama d’altro canto ad un supplemento di impegno e di responsabilità sulla riforma delle istituzioni perché esse siano non idolo, ma utile e sempre provvisorio strumento di bene comune. Un tema meritevole di approfondimenti innovativi, anche in vista del Convegno ecclesiale di Verona.
2. Ciò comporta un impegno ancora più coraggioso, prima e dopo il referendum del 25 Giugno, che personalmente intendiamo condurre con tutti coloro i quali condividono le valutazioni qui di seguito esposte.
3. Si parla di princìpi e valori della Costituzione che sarebbero in pericolo. I pericoli più gravi nascono anzitutto dalla mancanza di riforme, dalla contraddizione che si è aperta tra i princìpi e alcuni concreti strumenti istituzionali che risultano datati, dall’introduzione surrettizia di strumenti di decisione non adeguatamente corredati da apposite garanzie o da riforme parziali che richiedono a questo punto di essere completate, come quella del Titolo V. Dietro alla difficoltà a portare a termine le riforme si cela spesso la difesa di poteri di veto o di posizioni di privilegio che invece dovrebbero essere rimossi. Talora, dietro tali difficoltà c’è anche una visione demoniaca dell’avversario politico, col quale non si ritiene di poter collaborare sul piano delle regole perché lo si vede o lo si dipinge come del tutto alieno dalla condivisione dei valori costituzionali. Queste concezioni indeboliscono il radicamento della democrazia nella coscienza civile, di fatto bloccano il confronto, deformano la competizione, ed offuscano le differenze su cui invece avrebbe più senso che si svolgesse il dibattito pubblico.
4. Intervenire nuovamente sulla parte II della Costituzione, qualunque sia l’esito del prossimo referendum, significa anzitutto cambiare il metodo per farlo. Il patto non può riguardare solo le forze politiche di una maggioranza parlamentare, ma deve coinvolgere entrambi gli schieramenti: basta con riforme costituzionali a colpi di maggioranza. Inoltre, in una società come quella del 2006, molto più pluralista di quella del 1948, il patto deve coinvolgere anche la società civile e le autonomie territoriali. Occorre quindi ripartire dalla questione del metodo, affinché la Carta costituzionale riformata sia – come fu ed è quella del 1948 – la Costituzione di tutti. Da questo punto di vista, la proposta di una Convenzione costituzionale costituisce una buona base di discussione per unificare sin d’ora una ampia porzione dell’opinione pubblica.
5. In particolare, riteniamo che oggi, nel nostro maturato contesto sociale, le ragioni della Costituzione siano in contraddizione con un assetto centralista e deresponsabilizzante (in cui latitano gli istituti della imputabilità personale dell’agire politico), che non attribuisce la dovuta importanza alla sussidiarietà e al federalismo solidale, con governi nazionali deboli e inconcludenti e opposizioni prive di riconoscimento istituzionale. E’ qui che la Costituzione corre i suoi maggiori pericoli di scarto tra principi e strumenti ed è su questo che occorre lavorare con urgenza, verso e oltre il 25 giugno.

Filippo Andreatta, Università di Bologna
Luca Antonini, Università di Padova
Giorgio Armillei, Comune di Terni
Marta Cartabia, Università di Milano Statale
Stefano Ceccanti, Università di Roma “La Sapienza”
Luca Diotallevi, Università di Roma 3
Giovani Guzzetta, Università di Roma “Tor Vergata”
Andrea Simoncini, Università di Macerata
Giorgio Tonini, Senato della Repubblica
Salvatore Vassallo, Università di Bologna
Giorgio Vittadini, Università di Milano Bicocca
Lorenza Violini, Università di Milano Statale

Rockin' the Right

Rockin' the Right
The 50 greatest conservative rock songs.

venerdì, giugno 16, 2006

Abortions

Dopo il South Dakota, anche il Parlamento della Louisiana ha approvato una nuona legge che proibisce gli aborti volontari. Questa volta il merito è dei Democratici.

Sempre dagli USA, la notizia più assurda degli ultimi tre mesi. A Birmingham, Alabama, una clinica abortista è stata chiusa per aver provocato la morte di un bimbo tramite la triste pillola RU 486! Per la precisione, il bimbo, o se preferite potete chiamarlo 'il frutto del concepimento', non era ancora nato. Birmingham abortion clinic surrenders license after baby's death. Ma non servivano a questo le cliniche abortiste? Mah ....

Leon Kass

It's remarkable how in an age that has a reasonable claim to being called decadent, young people still respond to fine works of literature with noble sensibilities and deep insights into enduring human matters. So liberal education is still a possibility, though universities are beleaguered by political correctness today and the great books are under attack; plus the high cost of education means everybody's in a hurry to learn something that will help to pay off their loans. Still, students are interested in the big questions. Who would have thought that religion would be of greater interest to young people today than it was 50 years ago?

L'ultimo numero di The American Enterprise ospita un'intervista a Leon Kass, medico e filosofo. Se non conoscete Kass, è un buon modo per iniziare a leggerlo.
Ebreo, conservatore, discepolo di Strauss, ha insegnato per decenni presso l'Università di Chicago ed è stato presidente del Council on Bioethics degli Stati Uniti. Ha appena pubblicato una lettura filosofica del libro della Genesi.
Lo conosco un po' perché è l'idolo di Teresa Iglesias, uno dei due miei supervisori.

giovedì, giugno 15, 2006

Abebooks

Abebooks, il miglior sito per chi è alla ricerca di libri usati e rari, compie 10 anni di attività. In questa pagina raccoglie interessanti curiosità. Ad esempio, il libro più costoso che è stato venduto in questi 10 anni è la prima edizione del 1937 del The Hobbit di Tolkien, pagata 65.000 dollari. Seguono l'Areopagitica di John Milton, per lo stesso prezzo, e l'Utopia di San Tommaso Moro per 60.000 dollari. Capisco Milton e San Tommaso Moro ma una simile cifra per Tolkien mi pare esagerata.

Siamo tornati.

Siamo tornati. Dopo quattro giorni nel paese più bello del mondo, l'Italia, nella regione più bella d'Italia, l'Abruzzo, nella provincia più bella d'Abruzzo, Chieti, nel paesino ... vabbè, non esageriamo. Insomma siamo tornati a Dublino ed ora possiamo dedicare a questo blog il tempo che merita, ossia una ventina di minuti quotidiani.

Blathnaid ha partecipato per la prima volta ad un matrimonio italiano e dice che c'è solo una fondamentale differenza con quelli irlandesi: da noi si mangia molto, da loro si beve.
Comunque, un altro cugino è sistemato, ora tocca a Boccetta.

Un appello. Mi serve l'edizione romana di domenica scorsa dei quotidiani Il Tempo, Il Corriere della Sera e Repubblica. In particolare mi interessano gli articoli, comparsi nella sezione Spettacoli, riguardanti il concerto dei Billie the vision & the dancers.
Se avete una copia sotto mano fatevi avanti. Grazie.

giovedì, giugno 08, 2006

Matrimoni




Da oggi fino a martedì sarò in Italia. Si sposa mio cugino. Il 16 invece si sposano Enrica e Gennaro, che molti frequentatori di questo blog conoscono. Anche a loro vanno i miei auguri.

(La foto è tratta dalla versione americana dell'Ultimo Bacio. Sul nuovo sito di Zach Braff, il trailer in anteprima.)

venerdì, giugno 02, 2006

From Canterbury to Rome

Fr Taylor Marshall, prelato anglicano e celebre blogger, ha annunciato il suo passaggio alla Chiesa Cattolica, insieme alla moglie ed ai loro tre figli.
Qui racconta le ragioni della sua conversione, iniziando con una grandiosa citazione:

It is impossible to be just to the Catholic Church. The moment men cease to pull against it they feel a tug towards it. The moment they cease to shout it down they begin to listen to it with pleasure. The moment they try to be fair to it they begin to be fond of it. But when that affection has passed a certain point it begins to take on the tragic and menacing grandeur of a great love affair.

- GK Chesterton

The Brick Testament



The Brick Testament, le storie della Bibbia raccontate con il LEGO.