Atessa, 1996
Mi presento qui, come profano, in una
cerchia di qualificati maestri ai quali mi sento legato da rapporti di amicizia
e cordialità. Purtroppo, però, non si verifica ciò che ci si potrebbe augurare
da un simile vicinato. A questo proposito mi richiamo a Socrate che fu invitato
ad una festa in onore di un poeta tragico, un certo Agatone. A questa cena
Socrate siede tra Agatone e il celebre commediografo Aristofane e afferma:
“Sarebbe una bella cosa se la sapienza potesse scorrere come l’acqua che passa
da un vaso all’altro attraverso un filo di lana. In tal modo potrei apprendere
molto dai miei amici.” Come già Socrate ha rilevato, purtroppo questo non
accade, per cui nonostante i rapporti di buon vicinato, io mi trovo in
imbarazzo. In imbarazzo per il timore di proiettare, sull’argomento che
tratterò, le mie paure personali. In imbarazzo perché ho poco da dire a chi
come voi ha grande esperienza sugli anziani, ha ascoltato le loro storie, le
loro domande, quelle vere, che abbiamo spesso soffocato con l’idea di
riproporcele quando anche noi saremo vecchi, quando avremo il tempo di porre a
noi stessi le stesse domande.
Prima di parlarvi su “Anziani e qualità
della vita” mi piace ringraziare il sindaco di Atessa, nella persona dell’Ass.
Dott. Nicoletta Fini che ha voluto ospitarci in questo splendido teatro. Gesto
di attenzione speciale per tutti noi, ma soprattutto grande considerazione per
gli anziani di questa Città, di questa regione ai cui valori, alla cui
solidarietà, egli da sempre rivolge il suo impegno generoso. So che questa
Amministrazione intende promuovere una più efficace tutela delle persone
deboli. So che da tempo ha avviato una riflessione sistematica sulle politiche
sociali. So che i risultati, le esperienze di questa cultura solidale,
costituiscono ormai una risorsa preziosa e accessibile anche per operatori,
educatori e volontari di altri Comuni e altre Regioni. E questo è per
l’Amministrazione e per noi, motivo di orgoglio ma anche stimolo a portare
avanti una cultura della solidarietà e dell’accoglienza.
Al Direttore Generale ing. Domenico
Recchione che ha voluto dare il patrocinio della USL a questo convegno, dico
grazie per la sua partecipazione e della partecipazione del direttore
amministrativo Dott. Lanci. Mi rendo conto che noi parliamo dell’anziano e lui
è ancora così giovane da poter esorcizzare tale età della vita, ma tra gioventù
e vecchiaia non c’è soluzione di continuità e quest’ultima non è un periodo
facoltativo della nostra esistenza ma una sicura realtà. Realtà che presuppone
servizi sempre più efficienti ed integrati, in grado di soddisfare i bisogni
delle persone avanti in età e anche delle rispettive famiglie. Questo significa
che il problema anziani costituirà sempre più un problema sanitario e sociale
di rilievo. Sono certo che anche dopo questo convegno la USL orienterà ancora
di più il suo impegno verso la promozione dell’uomo in età avanzata. Io mi
auguro che a seguito delle iniziative della USL ogni anziano sia debitore di un
grande arricchimento fisico e spirituale e possa sperimentare una esperienza
nuova esaltante, forse irripetibile.
Anziani: una società amareggiata e
delusa. Una società che non crede più in se stessa. Una società che non crede
nella patria, nella nazione. Che non crede nel futuro, non crede nemmeno nella
religione tradizionale. Una società senza l’uragano delle illusioni, dove anche
i giovani si sentono vecchi. Anziani: molte parole e pochi fatti. In Italia la
percentuale degli ultrasessantenni all’inizio del secolo era del 6,5%.
Attualmente è del 16% e nel 2000 sarà del 20%. Ciò significa che le cosiddette
terza e quarta età costituiscono un popolo di 12 milioni di persone e per la
prima volta, l’anziano esercita una sua forza politica, non solo, ma ha una
aspettativa di vita senza precedenti nella storia. Ciò comporta in primo luogo
la necessità di garantire assistenza ad un numero maggiore di anziani; di
decidere i criteri perché ad un anziano spetti o meno un’assistenza di alto
livello tecnologico, che sarà sempre più preziosa (parlo di trapianti di organo,
di organi artificiali, ecc.). Da definire in base a quali criteri si
utilizzeranno i sofisticati attrezzi artificiali di supporto alla vita.
Vi è oggi una forte spinta alla
manipolabilità del corpo umano secondo il desiderio e le possibilità tecniche.
Ciò apre di fatto la strada a distinzioni e a nuove emarginazioni, quando non
addirittura a selezioni tra le persone in base alle loro condizioni fisiche. Si
presenta forte allora, il rischio di smarrire i principi fondamentali sui quali
si è fondata finora la nostra civiltà: quelli legati alla intangibilità
assoluta dell’essere umano che è sempre anche intangibilità della sua realtà
corporea. Il potere di intervenire sulla vita e sulla morte si è enormemente
accresciuto, con strumenti diagnostici e terapeutici, sia nell’utilizzo di
farmaci sempre più specifici, sia del mantenimento artificiale in vita e
dell’uso dei trapianti. E ciò ha messo in crisi gli antichi valori (valore
della sofferenza per la religione cristiana, senso della morte come passaggio,
significato della vita, ecc.) che servivano come guida per il comportamento dei
popoli. Ma anche se la vita si getta verso il nulla e sembra riempirla delle
sue creazioni, questa longevità già misurabile e sicuramente prevedibile, può
crescere oltre che in quantità, in qualità?
“Spensi all’uomo la vista della morte...
Poi lo feci partecipe del fuoco” così il Prometeo di Eschilo descrive i due
doni che egli ha offerto all’uomo: l’oblio dell’ora della morte dovuto a quel
farmaco che è la speranza, che non vede e il fuoco che rappresenta il sapere
tecnico che permetterà di sopravvivere e diventare il signore del pianeta. La
vecchiaia: distillato di quanto di meglio esiste nella natura; compagna
seducente e nemica affascinante. Ecco il cuore delle angosce e delle speranze,
ecco il dialogo eterno della vita e della morte. “Come è caritatevole la
natura!” dice Joseph Roth ne La cripta
dei Cappuccini. “I malanni che essa regala sono una grazia. Oblio ci
regala, sordità e occhi deboli.” Ma Cicerone non è d’accordo! “Nella vecchiezza
questo io vedo di miserrimo, sentirsi in quella età di fastidio agli altri”.
Dopo tante promesse di solidarietà: la solitudine delle relazioni umane, la
limitazione delle risorse, la malattia, la povertà. In tale condizione, anche
in questa terra che si compiace dei suoi primati industriali e turistici,
l’anziano è straniero; fuori tempo e fuori posto e passa dalla anzianità alla
inabilità, dalla inidoneità alla emarginazione.
Ma l’uomo non è mai solo. Se questo
calvario di privazioni e di povertà ci indigna, se la ricerca vergognosa del
profitto spinge fino all’egoismo secessionista di questi giorni, di converso,
schiere di uomini e donne ad ogni età rispondono all’invito evangelico: “Chi
spende, chi consuma la propria vita per gli altri, la ritrova moltiplicata per
sé”. Ci sono esseri umani che amano fare del bene, che sanno venire in aiuto,
occuparsi del decadimento fisico, che sanno trasformare gesti di aggressione in
gesti del cuore. Uomini che di fronte all’angoscia degli altri hanno imparato
ad accogliere ed amare.
Un giorno, nella quotidiana
esercitazione al letto del malato, l’allieva infermiera che saluto insieme alla
direttrice della scuola Suor Lorenza, fu invitata a incurvare braccia rigide e
tese, quasi a formare un nido in modo che un po’ di tenerezza passasse nei
gesti, e il calore del cuore arrivasse alle mani. Di lì a qualche tempo disse:
“non sapevo che qui avrei scoperto la mia stessa umanità; che con il contatto
della mano qualcuno mi sarebbe venuto incontro anche se non ci diciamo niente,
siamo insieme. Ora so quanto ricevo, e tutto quello che imparo, da coloro che
non possono fare più niente, tranne esserci. Ora so che è una vita intera ad
essere in una stanza e non soltanto un corpo malato.”
E la nave va! E quest’uomo, ogni uomo, è
stupito di ritrovarsi personaggio del film di Fellini e pare rivolga una
domanda al grande Regista: “E tu hai avuto paura della morte?” La risposta
arriva semplice ed enigmatica: “Lì ho incontrato sia la domanda, sia la risposta.”
La parola e il silenzio. Il dolore e la gioia. È questa io credo la ricchezza
più vera degli operatori sanitari e di quanti sono chiamati a rispondere alle
domande che vengono da una società che invecchia: nei cronicari, negli ospedali
e ovunque c’è un debito di salute, un debito di amicizia. Non c’è nella vita
cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro cingendoti il collo,
possa rialzarsi. Chi ha un gesto spontaneo di compassione non sa quanto bene fa
all’altro.
Giovanni Papini vecchio e provato dalla
cecità dettò un pensiero che suona come un comandamento: “Quando ero giovane,
un uomo di cinquanta anni mi sembrava vecchio, uno di sessanta addirittura
decrepito. Ora che ne ho più di settanta mi accorgo che a questa età si può
ancora amare, imparare, creare, insomma vivere.” E proprio negli stadi avanzati
dell’esistenza la persona umana consegue la migliore realizzazione delle sue
capacità potenziali. Un poeta francese con molta efficacia diceva “ottanta
anni, più occhi, più orecchi, più gambe, più fiato”. È incredibile come si
arrivi a sorpassarli.
Bisogna allora dare un significato al
sogno antico della umanità: longevità nella salute e nella efficienza. Le
nascite, i matrimoni, i compleanni, le festività sacre e profane, e le magie,
in ogni epoca e luogo, hanno cantato l’auspicio alla vita, alla “lunga vita”. E
noi siamo qui a ripeterlo per tutti. A tutte le persone anziane che si sentono
inutili e dimenticate vorrei gridare: la vostra vita è degna di significato,
assaporatene ogni istante. Fermatevi ad ascoltarne il fruscio. Dispiegate tutte
le risorse che dormono nei sotterranei dell’essere: la felicità arriva senza
avvertire e la meraviglia è nell’istante. Molte cose possono ancora essere
vissute. Al di là di noi stessi, al di là delle nostre certezze, al di là delle
nostre menzogne c’è la vita, c’è la pienezza del destino compiuto. Perché ogni
essere umano non si limita a ciò che vediamo o crediamo di vedere: è sempre
infinitamente più grande di quanto lo si giudichi con i nostri criteri inadeguati;
sempre in divenire, potenzialmente capace di realizzarsi, di trasformarsi
attraverso le crisi e le tribolazioni.
E dagli archivi dell’essere cerco un
nome: madre Teresa di Calcutta. Segni particolari: lineamenti, volto olivastro
tagliato dalle rughe. L’anagrafe dice che è nata a Skopje in Macedonia nel
1910, ma sono molti a credere che una volta tanto le certificazioni ufficiali
abbiano torto, perché forse viene da più lontano. Forse viene direttamente
dalla Palestina e chissà ha accompagnato Cristo sulle viene della Galilea.
Questa vecchia di 86 anni, per lo stato, per qualunque stato già in pensione,
improduttiva a quella veneranda età, ancora oggi dà alla umanità una
testimonianza d’amore per la creatura umana, per ogni debole, per ogni povero,
per ogni persona nella solitudine. Ecco tutto quello di cui l’umanità ha
bisogno. Qui, gli occhi, le mani, la vita stessa non sono considerate come
proprietà personale da usare per se stessi, ma sono strumenti di amore e di
donazione. Questo “perdere” un poco di se stessi, è un trovare. Qui la retorica
si smorza, la verità si libera di ogni incrostazione e si svela nella sua
luminosa essenzialità. Sin dai primi interventi di questo meeting si è
percepito che la prima risorsa dell’uomo è l’uomo stesso e che il problema vero
dell’anziano sta qui: non nelle tessere con lo sconto o nelle protesi, pure
utili, ma nel bisogno di significato, trovato il quale sa anche accettare una
vita più povera. Che fare allora?
“Bisogna vivere. Ed egli mi insegnò a
vivere. Egli mi insegnò a sentire la vita, a sommergermi nell’anima della
montagna, nell’anima del lago, nell’anima della gente del villaggio, a perderci
in essa per restare in essa.” Così scrive il poeta spagnolo Miguel de Unamuno
interpretando in termini di interiorità e solitudine la sua terra basca. Così
scrivono con la loro vita, ogni giorno, i nostri anziani, quelli dei villaggi
che circondano questa città, quelli del lago, quelli della montagna in un
esistenzialismo quasi metafisico che non accetta il limite della morte e che dà
significato al mondo. Il senso della vita è questo perdersi nella vita della
gente, da parte di chi si sente uno con la natura e con le sue armonie. Il
senso della vita è perdersi nella cultura dell’amore contro tutte le
alienazioni della società contemporanea. Il senso della vita è capire che
l’anziano ha nel suo cuore un progetto mirabile. il senso della vita è capire
che davanti a lui, l’aurora e il tramonto si sono toccati e tutti gli uomini
sono fratelli.
Signore e signori, vi chiedo scusa se ho
abusato della vostra pazienza. Da qualche tempo ho imparato la scienza
degli addii, ma oggi mi ha ingannato quella forma volatile e inafferrabile che
i dotti considerano il sublime dell’artificio e forse è l’anima del mondo: la
poesia.
“Ognuno sta solo nel cuore della terra
trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.“
Così Montale con un linguaggio che evoca
la purezza dei graffiti. Ma è possibile seminare ancora un sogno, una luce tra
questi versi, queste pietre che ha artigliano in profondità il senso della
vita? Sul sentiero di ognuno giunge l’autunno e ogni albero lascia cadere
lievemente la sua lluvia de alas, la
sua “pioggia di ali” mentre continua a vivere nella gioia della profezia e
dell’imprevedibile. Anche io avanzo nella notte della vita come Abramo, guidato
da quella dolce figlia dell’ignoranza che ha nome speranza.
Vittorio Giuseppe Bottone
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