mercoledì, dicembre 10, 2003

E sotto la Quercia rispuntò il monolitismo


Il varo, lungamente atteso, di una legge che ponga fine all’era di "provetta selvaggia" sta avvenendo in un clima che induce a qualche considerazione. Chssià perché, infatti, ancora una volta – e da più parti – si insiste nel convincere l’opinione pubblica italiana che il serissimo dibattito sul tema delle regole da porre alle pratiche di procreazione medicalmente assistita sia in realtà una sorta di guerra tra laici e cattolici. Con i primi, i laici, dipinti come guardiani delle libertà e paladini della scienza e i secondi, i cattolici, raccontati come chiusi in una trincea da protettori della vita e difensori della morale.
Una contrapposizione che potrà anche apparire polemicamente utile, e che invece resta profondamente insensata e notevolmente rischiosa. Si basa, infatti, sulla pretesa di scindere totalmente ciò che totalmente scindibile non è. A meno che non si sia disposti a teorizzare un diritto assoluto del potere scientifico o, per converso, una intrinseca e irrimediabile immoralità (o amoralità) della scienza. O – ancora – a meno che si sia decisi a pianificare la costruzione di un folle ordine nuovo in cui le libertà individuali (le singole volontà di potenza) possano ope legis disincarnarsi progressivamente dal primo dei valori civili e comunitari: la cura e il rispetto della vita umana, di ogni vita umana e, soprattutto, di quella in condizione di debolezza e di bisogno.
È proprio per questo che, nel concreto, al di là e al di sopra di alcuni studiati strepiti propagandistici, la complessa vicenda parlamentare della legge sulla fecondazione assistita si sta sviluppando fuori dai consueti schemi di schieramento e di partito. All’insegna, cioè, di una trasversalità di posizioni e contributi che, in questa legislatura (come già nella precedente), è il risultato di riflessioni assai ponderate e voti secondo coscienza. Scelte, è bene ricordarlo un po’ a tutti, che dovrebbero tener conto sia delle più che scoperte implicazioni commerciali della materia sia delle appena dissimulate mire eugenetiche di alcuni strenui fautori di una disciplina leggera fin quasi al limite dell’evanescenza se non addirittura di una perpetuazione normativa dell’attuale deregulation.
Risalta, perciò, con particolarissima forza l’assenza di distinzioni "di coscienza" rispetto alla linea ufficiale (contraria alla legge) che si registra nei Ds, partito che per sua stessa natura – è nato dall’innesto sul tronco della Quercia di diverse correnti politico-ideali della sinistra – dovrebbe essere tutt’altro che monolitico. Un fatto reso ancor più clamoroso dalle asfissianti pressioni di dirigenti e portavoce diessini sugli alleati della Margherita, altro partito nato dall’incontro fra tradizioni diverse, che invece a fronte di una linea ufficiale (favorevole alla legge) assicura libertà di coscienza ai propri parlamentari.
Quello della Quercia è un atteggiamento che ha indotto convinti compagni di strada dei Ds a parlare di «unanimismo ideologicamente connotato». Contro il quale, però, si levano anche voci della sinistra intellettuale. Come quella del filosofo del diritto Pietro Barcellona che ricorda a tutti che qualunque «progetto di libertà non può mai significare assoluta assenza di vincoli e norme». E laicamente avverte: «Nessuno può reclamare, argomentando filosoficamente dall’assenza di leggi eterne e dall’assenza di significati e senso trascendenti, la disponibilità individuale/singolare dei processi che coinvolgono l’esistenza di tutti, (...) specie del processo di procreazione di altri esseri umani che di per sé coinvolge i rapporti fra le generazioni e lo stesso modo in cui ciascuno si rappresenta come figlio di altri uomini». Le coscienze si fanno sentire, con lucida serenità. Ovunque e comunque.


Marco Tarquinio, Avvenire 9/12/2003


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