sabato, dicembre 13, 2003

Non pregare per avere vita facile, prega per essere forte. Non pregare perché il tuo compito sia pari alle tue forze, prega perché le tue forze siano pari al tuo compito. Allora l'opera tua non sarà un miracolo ma tu stesso sarai un miracolo. E ogni giorno ti meraviglierai di te stesso e della grande energia che è entrata in te.
«Prego spesso, ma le mie preghiere non sono mai sistematiche, nel senso che non le recito come un'abitudine fissa, in momenti prestabiliti… Per esempio, interrompo il lavoro per recitare una preghiera, anche quelle scritte sulle immagini dei santi. Qualcuna aiuta e fortifica, come questa di sant'Emilio». Così Giancarla Mursia, la nota responsabile dell'omonima casa editrice milanese, parlava della sua preghiera in un'intervista del volume Perché credo (ed. San Paolo). Non so chi sia questo sant'Emilio, ma le parole della sua orazione che ho trascritto sopra mi sembrano da riproporre.
Troppo spesso, infatti, la nostra invocazione a Dio ha una finalità che potremmo definire come "sostitutiva". Si chiede a Dio di fare lui quello che crediamo di non essere in grado di compiere. Il teologo Dietrich Bonhoeffer parlava, a questo riguardo, del "Dio tappabuchi", una sorta di pronto intervento al nostro servizio. E, invece, la vera richiesta che dovremmo rivolgergli è quella di renderci capaci di affrontare con coraggio la vita, di avere sapienza nel decidere, intelligenza nel giudicare, forza nel combattere. Non dovremmo dare le dimissioni per investire il Signore dei nostri problemi e delle nostre difficoltà, ma chiedere a lui luce e consiglio, fortezza e tenacia nel risolverli. Più che domandare grazie dovremmo chiedere la grazia, ossia il dono della sua presenza in noi e accanto a noi per essere capaci di camminare coi nostri piedi sulla strada della vita.


Gianfranco Ravasi

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