Nel mattino del mondo
Bruno Forte
È il silenzio il custode dell'inizio: sta oltre ogni parola ciò di cui si potrebbe parlare solo prescindendo dalle condizioni già poste del dire. Pensare puramente l'inizio equivarrebbe a pensare quanto precede le strutture stesse del pensiero, per affacciarsi a ciò che è "fuori" dello spazio e "prima" del tempo: il vagheggiato «primo mattino del mondo» sfugge alla ricerca del soggetto, che, per quanto si sforzi, non è in grado di uscire da queste categorie dello spazio e del tempo. L'ultimo approdo dell'indagine volta a scrutare l'inizio è dunque il senso del mistero che tutto avvolge, la percezione dell'incompiutezza di ogni sforzo teso dal basso a voler offrire una spiegazione totale. La posta in gioco è alta, perché abbraccia il senso del vivere e del morire umano: perciò essa ci riguarda tutti, come mostrano i possibili esiti della risposta alla domanda sulle origini di tutto ciò che esiste.
Così, la resa al silenzio dell'ultima sponda può assumere la forma della rinuncia nichilista: si può rinunciare alla domanda, che muove la ricerca, sopprimendo la stessa nostalgia che è alla base dell'interrogare; si può accettare come unica evidenza attingibile la dignità di vivere eroicamente il frammento del presente, come se esso fosse capace di ospitare tutta la consistenza o la leggerezza dell'essere. La resa nichilista, però, è solo apparente: assegnare al nulla il ruolo di orizzonte originario e finale significa restare nel trionfo del già posseduto. Il nulla – se esteso ad avvolgere tutte le cose – resta una forma rovesciata del trionfo dell'io: ciò che manca al nichilista è la coscienza dell'altro, l'uscita dalla solitudine del soggetto e dalla rinuncia a comunicare. L'itinerario che muove dalla domanda sull'inizio conduce, però, a un altro possibile approdo: dove è riconosciuto lo spazio silenzioso di ciò che è al di là dello spazio e il tempo senza tempo di ciò che è al di là del tempo, una voce può offrirsi. Non una voce dell'al di qua, semplice prolungamento dei ragionamenti mondani imprigionati negli schemi dell'identità, ma la voce dell'Altro, che sia puramente tale. L'alterità irrompe nel regno della logica prigioniera di sé; la differenza si fa strada nel dominio dell'identità. L'evento di questo puro inizio, che supera le secche delle proiezioni dei desideri e dei fallimenti mondani, perché non diviene nella coscienza dell'uomo, ma viene a lui, indeducibile e improgrammabile, è il miracolo della rivelazione. E la rivelazione parla dell'inizio parlando della creazione .
La creazione "preistoria" dell'alleanza. «La Bibbia parla della creazione in guisa di racconto (Dio ha creato il mondo, gli uomini) e di corrispondente risposta espressa nella lode del Creatore. Ma stranamente nella Bibbia ciò non costituisce una formula di fede...» . Nei racconti delle origini Israele riflette un patrimonio comune all'umanità arcaica, connesso al bisogno originario dell'essere umano di garantire in qualche modo la consistenza del mondo, dando sicurezza alla conturbante fragilità della vita. Ciò che è nuovo e peculiare nel discorso biblico è il legame che esso stabilisce fra il racconto dell'inizio e la storia della salvezza d'Israele. Si potrebbe dire che la testimonianza della Genesi sulla creazione è una «profezia retrospettiva»: partendo dall'esperienza che il popolo eletto ha fatto del Dio della storia, lo sguardo della fede biblica si estende ad abbracciare la realtà delle origini, colta come una sorta di «preistoria dell'alleanza» (Vorgeschichte des Bundes: Karl Barth). Fra le due componenti non c'è semplice sovrapposizione, ma integrazione, senza peraltro escludere una non perfetta fusione (testimoniata ad esempio dalle ripetizioni di Gen 1,6 e 7; 11 e 12; 14s. e 16ss.; 24 e 25; dalla sfasatura fra il numero delle opere e il numero dei giorni; e dal contrasto fra l'atto creatore significato in Gen 1,1 e l'idea di un caos primordiale, preesistente all'azione creatrice-ordinatrice).
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