LETTERATURA: I MAESTRI: Jacques Maritain. Il contadino della Garonna
da “La fiera letteraria”, numero 20, giovedì 18 maggio 1967
Forse il modo più efficace per non intendere il significato e l’intento della recente opera di Jacques Maritain — Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Parigi 1966, pagg. 406 — leggerla attraverso le lenti deformanti delle polemiche che ne hanno accompagnato e seguito la comparsa. La cultura cattolica, scossa dalla incisività e dalla efficacia della diagnosi maritainiana, ha largamente reagito con apoteosi e anatemi (anche se più con anatemi che con apoteosi). Da un lato si è voluto vedere nel Contadino della Garonna colui che ha smascherato l’anticristianesimo post-conciliare — e forse anche, in parte, conciliare — richiamando la coscienza cristiana alla riproposizione delle categorie tradizionali contro ogni eversiva cessione al mondo moderno ; dall’altro vi si è scorto il difensore di superate, retrive e dogmatiche posizioni costantiniane, il reazionario che cerca invano di frenare quel clima di libertà e di impegno che la chiesa giovannea avrebbe introdotto.
Sono, questi, due atteggiamenti sterili e negativi, non consentono di cogliere in tutto il suo significato il discorso maritainiano, il quale viene politicamente classificato, con i toni della esaltazione o della condanna, come discorso-di-destra, senza tenere presente che Maritain si propone appunto di rifiutare come inadeguata proprio questa classificazione. Un attento esame degli atteggiamenti politici assunti dal Maritain mostra infatti chiaramente l’impossibilità di una attribuzione tout court di queste denominazioni politiche a un uomo che le ha sempre rifiutate e che ha assunto, di volta in volta, atteggiamenti che solo su-perficialmente potevano essere classificati di « destra » o «sinistra». (L’autore di Antimoderno non esitò a schierarsi contro il nazionalismo de l‘Action française; e tuttavia il difensore della democrazia personalista, comunitaria, teista e plurista non ha mai rinnegato la condanna del mondo moderno e ha chiaramente rifiutato il comunitarismo del Mounier.
I PIONIERI BALBUZIENTI
Maritain lo afferma decisamente: il cristiano non è di destra né di sinistra (un tema, questo, svolto con coerenza e decisione sin dalla Lettera sull’indipendenza del 1935). Destra e sinistra sono due categorie politiche: in quanto tali non riguardano l’impegno del cristiano; ma sono anche categorie psicologiche: esse indicano due temperamenti innati, che privilegiano l’essere o il dover-essere (e che, al limite, degenerano nel cinismo e nell’utopismo). Maritain ammette di essere, per temperamento, di sinistra; ma rifiuta la coincidenza tra sinistra psicologica e sinistra politica. Purtroppo coloro che tendono a inserire la problematica maritainiana in una denominazione meramente politica sono proprio quelli che sono incapaci di porsi al di sopra di queste classificazioni: i montoni e i ruminanti. I « montoni di Panurgo », tipi dell’estremismo di sinistra, sono mossi dalla cupidigia del nuovo e dell’accordo col mondo; i « ruminanti della Santa Alleanza », prototipi dell’estremismo di destra, agiscono invece sotto la spinta della prudenza e della sicurezza. Sono due pericoli costanti della coscienza cristiana, ciascuno dei quali prevale sull’altro a seconda delle diverse circostanze storiche: nella nostra epoca post-conciliare i montoni prevalgono sui ruminanti — soprattutto nelle facoltà teologiche.
La « cultura » cattolica, infatti, attraversa un periodo difficile e tormentato: i ruminanti sono quasi tutti divenuti montoni (anche i montoni, del resto, sono ruminanti!). Se, prima, le vecchie misture teologiche venivano continuamente e acriticamente riproposte senza una originalità o profondità, ora, invece, le novità più impensate e irriflesse vengono avanzate come scoperte e conquiste. In realtà, osserva Maritain, questi « pionieri » sono ritardatari e balbuzienti, in quanto solo la precedente chiusura nei confronti del mondo moderno li induce ora a una acritica apertura a miti, che il mondo moderno stesso ha ormai superati. La dialettica antinomica di sadismo e masochismo, sulla quale così opportunamente la sociologia psicoanalitica di Eric Fromm s’è soffermata, è uno schema interpretativo di prim’ordine per intendere la metamorfosi del ruminante in montone.
Il servizio reso dal Maritain alla verità cristiana in oltre cinquant’anni di attività veemente e contrastata consiste appunto in questo tentativo di mostrare che il kerygma evangelico è molto al di sopra del cibo dei ruminanti e dei montoni. Era naturale che lo sforzo del Maritain, volto dapprima prevalentemente contro i ruminanti — numerosi e potenti nel periodo preconciliare — si dirigesse ora contro i loro diversi e pur simili eredi: contro i montoni, potenti e numerosi nel periodo post-conciliare. Con sottile e incalzante ricerca Maritain discopre tutti i miti cari al neomodernismo di oggi (quel neomodernismo rispetto al quale il modernismo condannato, giusto sessant’anni fa, da Pio X era un semplice raffreddore).
In primo luogo la cronolatria: che è l’adorazione dell’effimero e del meramente temporale. Il trionfo progressivo dello storicismo nella cultura moderna e nella stessa coscienza comune induce il neomodernista a una genuflessione davanti al mondo, assunto nelle sue strutture naturali e temporali. Ciò a cui, consapevolmente o inconsapevolmente, conduce questo atteggiamento è la completa temporalizzazione del cristianesimo. Per questo il mito cronolatrico è accompagnato dal mito perfettistico, cioè dalla fede nel progresso storico e temporale dell’umanità: il carattere escatologico del messaggio cristiano viene secolarizzato e laicizzato ; il fine ultimo della storia viene posto in continuità con lo svolgimento della storia stessa e l’azione dell’uomo in essa viene considerata come cooperatrice dell’azione divina (semititanismo): « la sola cosa Che conta è la vocazione temporale del genere umano, il suo cammino contrastato ma vittorioso verso la giustizia, la pace, il benessere. Invece di comprendere che bisogna dedicarsi ai compiti temporali con una volontà tanto più ferma e ardente quanto più si sa che il genere umano non giungerà mai a liberarsi completamente del male sulla terra — a causa delle ferite di Adamo, e perché il suo fine ultimo è soprannaturale — si fa di questi fini terreni il vero fine supremo dell’umanità » (p. 88).
Alla base di questa confusione v’è la pretesa dell’autonomia del temporale. Per tutta la vita Maritain si è battuto, contro i ruminanti, per proclamare la distinzione tra temporale e spirituale: l’era sacrale o barocca è irrimediabilmente (e salutarmente!) finita e il temporale non può essere più considerato come la tutela dello spirituale. Ma distinzione non significa separazione o autonomia. E’ vero che il mondo temporale rifiuta ogni richiamo al regime sacrale, ma non è meno vero che essi debbono collaborare armonicamente e gerarchicamente (tesi espressa dal Maritain già nel 1927 col Primato dello spirituale). E’ così che, con singolare contraddizione, l’autonomia del temporale diviene, nel neomodernismo, divinizzazione di un mondo riconosciuto sconsacrato sino all’ateismo: « la distinzione tra il temporale e lo spirituale, tra le cose di Cesare e le cose di Dio, si oscura inevitabilmente nei cristiani di cui parlo. E i più decisi la negano già rigorosamente. E’ naturale: se il regno di Dio non ha realtà al di fuori del mondo, non è che un fermento nella pasta del mondo » (p. 89).
Certo Maritain comprende le intenzioni di questo processo. Esse si possono riassumere in un altro mito del nostro tempo: la demitizzazione, cioè il disperato tentativo di mantenere la fede in Cristo in un’epoca storica che ha elaborato categorie mentali sostanzialmente incompatibili con essa. Ciò che mostra la pretesa demitizzante è la buona fede dei montoni neomodernisti. Essi secolarizzano il cristianesimo per salvare il cristianesimo: « Ecco un’altra bizzarria della natura umana: con una fede tormentata, e anche il meno chiara possibile, ma con una fede sincera in Gesù Cristo, tradiscono il Vangelo a forza di volerlo servire » (p. 23).
Un altro mito, verso il quale il Maritain dirige le sue armi, è quello sociomorfico. Se v’è un carattere costante della politica del cristiano, è il riconoscimento del primato della persona sulla società. Ora il mondo moderno privilegia invece la società: l’idolo del neomodernismo è, a questo proposito, il Mounier, Con la sua celebre definizione « personalista e comunitario ». Maritain ha buon gioco non solo nel rivendicare la paternità di questa espressione, ma anche nel rivelarne la sostanziale ambiguità: « Io stesso non sono senza qualche responsabilità… Questa espressione è giusta, ma una considerazione sull’uso che ora se ne fa non mi consente di esserne fiero. Infatti, dopo aver pagato un lip service al “personalista”, è chiaro che è il ‘’comunitario” che viene prediletto » (p. 82). Tutto ciò risulta chiaro anche dalla banalizzazione neomodernista della liturgia, che confonde comune e unitario, giungendo all’errata conclusione di un contrasto tra liturgia e contemplazione (le quali, invece, reciprocamente si richiamano). Il neomodernismo, infatti, odia la contemplazione, in accordo col mito operativo del mondo moderno: si ritiene che l’impegno del cristiano debba essere riversato nelle imprese mondane e sociali; e si maschera questa parzialità inventando il mito della contemplazione come astratto intellettualismo privo di carità (mentre essa è « intelletto d’amore »).
DISGUSTO PER LA RAGIONE
Né il neomodernismo odia solo la contemplazione mistica: la sua urgenza pragmatica lo induce pure a un rifiuto della contemplazione razionale. Logofobia: ecco un altro mito neomodernistico. Il montone ha un connaturale e insuperabile disgusto per la ragione filosofica (come il ruminante, del resto): « Noi siamo convinti che non v’è che un solo tipo di sapere possibile — quello che è puro di ogni metafìsica — e, nell’ordine di questo sapere, un solo e unico tipo di conoscenza incrollabile e autenticamente capace di prova: la Scienza » (p. 167).
Alla base di queste false monete intellettuali, sulle quali è stata impiantata una redditizia industria editoriale fatta di luoghi comuni e di facili convenzioni, è l’incapacità di risolvere adeguatamente il rapporto tra verità, libertà ed efficacia. Nella civiltà moderna, infatti, i termini « libertà » ed « efficacia » hanno nettamente prevalso sul termine « verità ». Il rapporto autentico, espresso nella nota affermazione di Giovanni 8, 32 (« Et veritas liberavit vos »), è stato capovolto, con la pretesa di raggiungere una efficacia, che in realtà si rivela inefficace: « Il fatto è che ciò che non vuole che l’efficacia, e un’efficacia senza limiti, è quanto v’è di meno realmente efficace (perché la natura e la vita sono un ordine nascosto, non un puro scatenarsi di forze), mentre ciò che ha l’aria meno efficace (se è di un ordine superiore a quello delle attività legate alla materia) è ciò che possiede la maggiore reale efficacia» (p. 139).
Un’opera come Le paysan de la Garonne risulta illuminante circa i reali intendimenti, fedelmente e coerentemente perseguiti in una intera vita di ricerca, del Maritain. La lettura di quest’ultimo scritto getta luce fortissima anche sugli scritti precedenti e dissipa pericolosi equivoci. Tutto lo svolgimento che il pensiero neomodernista francese ha ritenuto di compiere partendo dalle premesse maritainiane, viene da lui indicato come frutto di un fraintendimento. Maritain Sa bene di avere indicato una strada, in tempi in cui le sue parole risultavano eversive e inaccettabili come risultano, per diversi motivi, i discorsi del contadino della Garonna, che forse non mette i piedi sul piatto, come il contadino del Danubio, ma certo « chiama le cose col loro nome » ; ma sa anche che questa strada, impervia e tortuosa, è percorribile solo da chi sia pervenuto a una accorta ed equilibrata definizione dei compiti del cristiano nel mondo. In questo senso non solo Maritain ha precorso e preparato il Concilio, ma lo ha anche continuato contro le degenerazioni anticonciliari.
Il Concilio ha indicato come imprescindibile la missione temporale del cristiano ; ma ha anche mostrato che tale missione unicamente trae senso e realismo dalla coscienza che il cristiano agisce nel mondo ma non è del mondo, dalla consapevolezza che il mondo non va solo migliorato, ma soprattutto santificato. Se il manicheismo, pel quale il mondo è, in sé e per sé, male, contrasta con la coscienza cristiana, non meno le si oppone il pelagianesimo, pel quale la sfera del mondano è autonoma e quasi divina. A questi due estremi Maritain contrappone la difficile situazione del cristiano, che agisce nel mondo pur conoscendone la provvisorietà e la finitezza, che non accetta tutto e non rifiuta tutto, che si impegna, con la salda consapevolezza della distonia qualitativa tra mondo e Regno, non a risolvere i problemi del mondo, ma ad aiutare il mondo a risolvere i suoi problemi.
Contro le semplificazioni neomoderniste Maritain rivendica la difficile, straniera e incompresa situazione del cristiano — di quello di ieri come di quello di oggi e di sempre — : « come laico è del mondo, è del secolo, e opera per questo fine che non è il fine ultimo, cioè per il buon andamento del mondo, per il bene, la bellezza e il progresso del mondo. Come membro della Chiesa opera per il fine ultimo, che è il regno di Dio pienamente compiuto e non è di questo mondo; è nel mondo senza essere del mondo » (p. 299).
E’ per questo che Maritain può affermare, senza alcun dubbio, la sua fedeltà alla Chiesa e al Concilio: le toccanti pagine iniziali dedicate a una rievocazione della grande assise della cristianità non sono né convenzionali né opportuniste. (E le due citazioni del Maritain nella recente enciclica di Paolo VI Populorum progressio confermano, dopo tante polemiche e incomprensioni, la validità di questa pretesa). Una vita totalmente spesa al servizio della verità cristiana non poteva concludersi più degnamente, in perfetta continuità con tutte le precedenti battaglie. Forse la fedeltà alla filosofia di San Tommaso — pur chiaramente distinta dalla scolastica tomista di bassa lega — non può essere accettata da tutti ; forse l’eccessiva insistenza su fatti personali ingenera talvolta qualche stanchezza ; forse la lunghezza di talune autocitazioni poteva essere evitata, con vantaggio per la snellezza del volume. E tuttavia Le paysan de la Garonne risulta illuminante e sollecitante: contro la scolastica del conformismo, che a parole esalta il dialogo e in realtà non accetta la critica (alcune astiose reazioni con cui certi rotocalchi cattolico-progressisti hanno accolto la comparsa del volume ne sono una chiara riprova) Maritain propone la criticità di un discorso integrale e realista. Tale discorso non è né mellifluo né accomodante ; anzi, è un discorso provocante e deciso, come Maritain stesso espressamente ammette: « Bisogna avere lo spirito duro e il cuore dolce » (p. 122). Maritain insiste opportunamente e inopportunamente ; il suo intento non è né la condanna, né il rifiuto, è la polemica (solo per questo egli non ha voluto avanzare alcuna critica a personam e ha quindi taciuto, con la sola eccezione di P. Schoonenberg, i nomi degli autori neomodernisti; e al Teilhard de Chardin vengono dedicate pagine serene e penetranti).
Maritain vuole, anzi, mostrare la validità e la necessità di quell’aggiornamento, che il Concilio ha proposto come imprescindibile e che coincide con la storia stessa della Chiesa ; di quell’apertura ai non-cristiani, che lo Schema Tredici ha indicato come opportuna e salutare; di quell’impegno nel mondo cui il cristiano non può sottrarsi senza cadere in un comodo ed egoistico narcisismo teologico. Ma queste valide istanze assumono un senso solo entro la tradizione della Chiesa, che il Concilio continua, non distrugge; entro quella tradizione che afferma, contro i miti storicistici e sociomorfici, il primato della contemplazione.
L’ultima parte del volume, in cui le notazioni critiche si placano e il discorso diviene preghiera, ne costituisce insieme la conclusione e il criterio: « La contemplazione è qualcosa di alato e di soprannaturale, libero della libertà dello Spirito di Dio, più bruciante del sole d’Africa e più fresco dell’acqua del torrente, più leggero della peluria dell’uccello, inafferrabile; sfugge a ogni misura umana e ogni umani nozione sconcerta, è felice di abbassare i potenti e di esaltare i piccoli, è capace di ogni travestimento, audacia, timidità ; è casta, ardita, luminosa e notturna, più dolce del miele e più arida della roccia ; crocifigge e beatifica (ma soprattutto crocifigge) ; talvolta essa è tanto più alta quanto meno si mostra » (p. 332).
Ha ragione Charles Journet: «Bisogna tacere e ringraziare ».
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