giovedì, febbraio 13, 2003

Oggi, 13 febbraio, è l'anniversario della morte di mio nonno, ucciso in guerra a 28 anni.
A lui dedico queste riflessioni di don Luigi Ciotti.


Perchè diciamo no alla guerra.

Sono molte le ragioni che permettono a cittadini appartenenti a identita'
diverse (dal punto di vista culturale, sociale, religioso e professionale)
di esprimere un'uguale condanna alla possibilita' di una guerra (presunta
"preventiva") contro l'Iraq. Ancora una volta le diversita' convergono in
un'unica opzione in grado di formare unita' tra protesta e proposta.
"Non c'e' pace senza giustizia", non si stanca di ripetere Giovanni Paolo II
e, con lui, le tante comunita' civili e cristiane che sono sparse in tutto
il mondo e che sono convinte dell'inutilita' della violenza per affrontare e
risolvere conflitti.
Le riflessioni che seguono provano a formulare - a voce alta - alcune
considerazioni per dare ulteriore chiarezza e motivazione ad un "no" alla
guerra che vuole proporsi anche come "si'" alla giustizia, alla pace e alla
speranza.
*
1. La prima vittima delle guerra e' sempre la verita'. Il primo vincitore un
certo profitto che calpesta dignita', speranza e pace. L'espressione "un
certo profitto" indica non solo la volonta' di controllare le ricchezze
naturali ad ogni costo, ma anche il fatto che i veri motivi di quasi tutti i
conflitti internazionali sono e restano interessi economici cosi' prepotenti
da inquinare la stessa vita politica chiamata a decidere su questioni
inerenti conflitti armati ed entrata in guerra di interi popoli.
*
2. Il fermo e deciso "no" alla guerra non esprime il solo desiderio
dell'Italia di restare estranea al conflitto. Il primo "no" e' alla guerra
in quanto tale. Non vogliamo solo restare fuori dalla guerra (con una logica
eccessivamente ripiegata sul nostro Paese). Non vogliamo la guerra in quanto
tale. Ed anche per questo non vogliamo che il nostro Paese si spenda - con
responsabilita' politiche, militari e strategiche - per costruire un sistema
di guerra che inevitabilmente realizzera' morte e disperazione.
*
3. Siamo profondamente convinti che il domani e' scritto nell'oggi e che il
futuro sara' ad immagine e somiglianza del metodo e delle pratiche seguite
per costruirlo. Alcune dure lezioni sull'inutilita' (e sui drammatici costi)
della guerra le abbiamo gia' ricevute dalla storia. Senza dimenticare che
conflitti, odio e diseguaglianze escono rafforzati e radicalizzati dai
conflitti armati, creando ulteriori e future insicurezze e instabilita'.
L'abbandono della strada politica non e' mai, di conseguenza, soluzione ai
conflitti, ma tragica condanna a spirali di violenza che inevitabilmente
alimentano il bisogno di ostilita' insanabili.
*
4. Nessuno vuole fare o proporre sconti a dittatori e terroristi o alla
violenza, da qualunque parte questa arrivi. Cio' di cui siamo convinti e'
che non sono indifferenti la natura e la modalita' della risposta alla
violenza. Anche di fronte all'orrore e alla follia della violenza occorre il
coraggio del ragionare, del capire, dell'intervenire con lungimiranza e
dell'evitare la tentazione delle scorciatoie.
*
5. Alcune delle ultime guerre internazionali non solo hanno violato le
regole fondamentali del diritto (i limiti di legittima difesa fissati dal
consiglio di sicurezza dell'Onu nel dicembre 1975), ma hanno anche spazzato
via l'idea di un diritto internazionale e la competenza esclusiva dell'Onu a
deliberare e a realizzare operazioni di polizia internazionale.
*
6. La guerra, che dopo l'ultimo conflitto mondiale e' stata formalmente
vietata dalla Carta delle Nazioni Unite e "ripudiata" da molte costituzioni
nazionali (compresa quella italiana), ha - in questo periodo - riassunto un
ruolo di protagonismo. Non solo: non mancano quanti tentano - con linguaggi
e motivazioni spesso infondate, ma tese a dilatare confusione - di
giustificare la necessita' di un intervento militare con espressioni tipo
"guerra giusta", "umanitaria", per "legittima difesa", "preventiva". Nessuna
acrobazia linguistica puo' trasformare uno strumento al servizio della morte
in un'operazione di pace e di vita. Solo nella politica esistono i reali
strumenti perche' la gestione di un conflitto non debba essere affidata alla
violenza e alla logica del piu' forte, indipendente dalle ragioni e dalle
legislazioni presenti sul piano internazionale.
*
7. Il terrorismo non e' figlio della poverta' e dell'ingiustizia, ma si
alimenta della disperazione da esse prodotta. Intervenire politicamente su
tali situazioni, vuol dire che "non c'e' pace senza giustizia"; significa
che intervenire politicamente sulle condizioni di sfruttamento non
contribuisce solo a realizzare maggior equita' e giustizia, ma si rivela
anche strumento efficace per vincere qualsiasi forma di terrorismo. Una pace
stabile esige un approccio politico realistico, dialogico e capace di
aggredire le cause sociali di sfruttamento, miseria e disuguaglianze
internazionali per fare della giustizia la premessa di ogni convivere
disteso e sereno.
8. Due vincolanti passi ci sembrano necessari.
- Spostare il baricentro del diritto internazionale dagli Stati alle
persone. Significa creare le condizioni perche' non si realizzi tanto e solo
una tutela dell'equilibrio tra i governi, ma una vera tutela dei diritti
fondamentali di ogni cittadino del mondo.
- Dare agli strumenti internazionali di verifica e di controllo quali il
Tribunale penale internazionale le reali possibilita' di sanzionare ogni
tipo di abuso e di prevaricazione del diritto senza sconti per nessuno e
senza eccessive timidezze verso quei potenti che piu' di altri sono in grado
di condizionare organismi internazionali in virtu' del loro potere
economico.
*
Riflessioni sparse per trasformare un grido in parola attenta, documentata e
precisa; per fare del "no alla guerra" una proposta perche' giustizia e
politica si sostituiscano alle armi e agli eserciti.
Non ha senso dividerci su queste questioni. E' urgente, doveroso e
necessario restare uniti, intrecciare gli sforzi e opporsi alla logica delle
divisioni con uno sforzo teso all'unita' e alla concretezza del risultato di
pace.
Associazioni, gruppi, cooperative, chiese, sindacati, libere aggregazioni,
lavoratori, mondo dello sport, del tempo libero, scuole, operatori
dell'informazione, amministratori politici e donne e uomini di buona
volonta' dobbiamo fare tutto il possibile perche' dall'intreccio delle
nostre diverse iniziative possa nascere quel mondo possibile caratterizzato
dalla pace e dalla capacita' di "fermare il male con il bene".


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