Teorie false e crimini veri
Parigi, la « gauche » e il terrorista da estradare
di PIERO OSTELLINO
[dal Corriere della Sera]
Che gli intellettuali, i politici e i giornali francesi di sinistra, che si battono contro l'estradizione in Italia di Cesare Battisti, condannato da un nostro tribunale a due ergastoli per quattro omicidi, si battano per il diritto d'asilo, secondo tradizione e prassi della République terre d'asile, è comprensibile.
Anche se discutibile sotto il profilo della ragionevolezza politica e contraddittorio e devastante da quello dello « spazio giuridico europeo » che si vorrebbe costruire e che dovrebbe uniformare gli ordinamenti giudiziari dei Paesi dell'Ue. Che ce lo vogliano spacciare per l'improbabile combattente di una « guerra civile » è, invece, moralmente, oltre che storicamente e politicamente, inaccettabile.
La posizione degli intellettuali, dei politici e dei giornali francesi, così come quella di chi, Oltralpe e da noi, è favorevole a un’amnistia generale per i reati di terrorismo, si fonda su una tesi insostenibile sia dal punto di vista storico e politico sia da quello teorico, in punto di filosofia del diritto. Secondo questa tesi, anche lo Stato dovrebbe, infatti, riconoscere che gli anni di piombo — come sostengono i terroristi — sono stati una rivoluzione che ha avuto due protagonisti ugualmente legittimi, sia pure da concezioni filosofiche opposte: la Repubblica italiana e coloro i quali la combattevano armi in pugno. Ma la tesi non è storicamente, politicamente e moralmente sostenibile per una ragione molto semplice: perché l'Italia non era una dittatura, ma una democrazia. Con un Parlamento eletto dal popolo attraverso libere elezioni, un governo che rispondeva al Parlamento, un sistema giudiziario che ha processato i terroristi con tutte le garanzie legali previste dalla Costituzione. Cesare Battisti e gli altri affiliati a organizzazioni terroristiche fuggiti in Francia per sottrarsi alla giustizia dell'Italia democratica non sono equiparabili agli antifascisti che vi erano riparati per sfuggire alla repressione fascista.
Né la tesi è sostenibile dal punto di vista teorico, in punto di filosofia del diritto, per ragioni più complesse, ma non meno importanti.
Che attengono alla natura dello Stato come solo titolare del monopolio della violenza ( legale), e che anche gli intellettuali, i politici e i giornali francesi di sinistra, eredi della Grande Révolution, dovrebbero ben conoscere. Se l’Italia riconoscesse che i terroristi erano dei rivoluzionari e gli anni di piombo sono stati una rivoluzione dovrebbe, infatti, riconoscere anche ciò che nessuno Stato può contemplare: che la rivoluzione sia un atto giuridicamente prevedibile e legittimo.
Ma la rivoluzione non è un « fatto giuridico » , cioè un diritto previsto e legittimato dallo stesso ordinamento che essa vuole sovvertire, bensì è un « fatto normativo » , cioè un tentativo di sovvertire con la violenza l'ordinamento giuridico esistente per sostituirlo con un altro.
Detto in parole povere: la rivoluzione è legittima per chi la fa; non lo è, non può esserlo per la contraddizione che non lo consente, per chi la subisce. In punto di filosofia del diritto, essa è, per lo Stato che la subisce — quale ne sia la sua natura, democratica o tirannica — un crimine. E, a maggior ragione, criminali sono quelli che la fanno contro uno Stato democratico.
Che direbbero gli amici francesi se l'Italia rifiutasse di estradare un terrorista corso che, in nome dell'indipendenza della sua terra, si fosse macchiato degli stessi delitti comuni commessi dal Battisti? Siamo seri.
Il ne faut pas exagérer, quand même.
Comunque.
postellino@ corriere. it
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