giovedì, marzo 18, 2004

Un prete nelle Fosse

Prima dell’esecuzione, come per miracolo, riuscì a liberare la destra per benedire i compagni E il suo vicino fu l’unico a salvarsi dall’eccidio

di Roberto Beretta, Avvenire, 18 marzo 2004.

«Pane e Cipolla e Santa Libertà». È probabile che un buongustaio come Aldo Fabrizi non avrebbe sottoscritto facilmente ai primi due termini del trinomio; il prete corpulento che l'attore romano interpretò in Roma città aperta, invece, ne aveva fatto il motto di un'esistenza coraggiosamente libera e cristiana. Il don Pietro «partigiano» di Roberto Rossellini - e dell'aiuto sceneggiatore Federico Fellini - era infatti il calco di un personaggio realmente esistito (pur se la fine del sacerdote cinematografico si ispira piuttosto a un altro prete romano, don Morosini, fucilato a Forte Boccea): don Pietro Pappagallo, l'unico sacerdote ucciso alle Fosse Ardeatine. E forse il solo, fra le 335 vittime dell'allucinante eccidio del 24 marzo 1944, a cui fu offerta la possibilità di salvarsi e la rifiutò. Ora, a sessant'anni dall'episodio, il suo amico e biografo Antonio Lisi si appresta ad ampliare con nuovi documenti la sua raccolta di documenti e testimonianze Don Pietro Pappagallo, un eroe, un santo, uscita per la prima volta nel 1963 e in seconda edizione nel 1995; Lisi, psicologo a Rieti, è originario di Terlizzi, la cittadina del Barese che ha dato i natali a due vittime delle Ardeatine: l'intellettuale comunista Gioacchino Gesmundo e appunto don Pappagallo. Erano molto amici i due, s'incontravano quasi quotidianamente a Roma - dove si erano trasferiti per i rispettivi impegni - e insieme collaborarono attivamente al movimento partigiano; in particolare, il cinquantenne sacerdote (che aveva notevoli doti organizzative, ed era stato segretario di un cardinale nonché incaricato di regolare l'afflusso dei pellegrini per il Giubileo del 1933) si incaricava di produrre e fornire documenti falsi a perseguitati politici, ebrei, giovani renitenti alla leva di Salò, partigiani, che spesso ospitava anche nel suo appartamento. Nel quale il sacerdote fu arrestato il 29 gennaio 1944 in seguito alla «soffiata» di un infiltrato (che poi, scoperto e riconosciuto dalla perpetua di don P ietro, sarà giudicato e condannato dopo la guerra). Di lì Pappagallo viene condotto al famigerato carcere della Gestapo in via Tasso, il regno di Kappler, il teatro delle torture a molti membri della resistenza, e vi resterà tre mesi in cella con altri compagni, che ne hanno poi ricordato il comportamento addirittura ascetico: pregava molto, si mostrava sempre sereno e mai preoccupato di sé, spesso si privava delle razioni di acqua o di cibo a favore degli altri carcerati. I tedeschi lo interrogarono solo una volta, ma fu un italiano a colpirlo con due scudisciate al viso perché non rivelava i nomi dei suoi complici. Poi venne l'attentato in via Rasella e l'ordine - diretto da Hitler - della rappresaglia. Sembrava che avesse avuto un presentimento, quel 24 marzo, don Pappagallo: pregò più a lungo del solito, disse a uno dei compagni di averlo sognato uscire incolume da una fornace (e difatti quella persona sopravvisse), rinunciò a mangiare. Alle 14 vennero a prenderlo, insieme ad altri 4 della sua cella; pare che la scelta di unirlo al gruppo dei condannati sia dovuta al fatto che i tedeschi volevano salvare l'apparenza di aver munito i morituri dei conforti religiosi. Don Pappagallo capì la sua sorte già prima di salire sui furgoni che l'avrebbero portato verso la cava in periferia; i suoi compagni compresero allorché un secondino, qualche ora più tardi, venne a ritirare gli effetti del reverendo e indossò il suo cappello ecclesiastico inscenando una specie di pantomima. Ma prima della morte ci fu tempo per un altro atto straordinario. I prigionieri erano legati a due a due per i polsi e, in fila, attendevano di giungere laddove un colpo alla nuca li avrebbe uccisi; don Pappagallo fu unito a Joseph Reider, un medico austriaco pacifista che aveva disertato dalla Wehrmacht ed era stato arrestato sotto nome italiano. Gli altri predestinati alla morte presero a circondarli, almeno per chiedere una benedizione al prete; al che don Pappagallo, fosse per la sua corporatu ra robusta ovvero - come il credente Reider asserisce - per un evento inspiegabile, riuscì a liberare la destra e ad impartire l'assoluzione a tutti. L'atto è testimoniato in una memoria scritta dallo stesso Reider che, approfittando dello scioglimento dei legacci, riuscì subito dopo a gettarsi in un fossato ed a sfuggire (unico superstite delle Ardeatine) la morte. Avrebbe potuto forse scampare anche don Pietro, se è vero che - proprio in conseguenza del suo gesto sacerdotale - alcuni soldati tedeschi lo misero da parte per salvarlo; ma lui rifiutò, chiedendo di morire come gli altri.


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