Domenica 13 ottobre a Roma in piazza san Pietro papa Francesco innalzerà agli onori degli altari John Henry Newman, già fatto beato nel 2010 da papa Benedetto. È stato un testimone grandioso della fede cattolica a partire dalla quale ha speso la sua vita difendendo non solo la verità e la Chiesa, ma la ragione stessa dalle riduzioni positivistiche ed empiriste.
La sua vita, nasce nel 1801, è disseminata da momenti “critici” che lo costringono ad andare a fondo alla tradizione consegnatagli dalla famiglia, dal contesto sociale, dalla Chiesa anglicana del suo tempo. Educato, come gli altri suoi cinque fratelli, dai genitori ad una religiosità devozionale e sentimentale, sente urgere dalla sua intelligenza davvero precoce esigenze che non possono essere soddisfatte nell’ambito della sola sfera emotiva e per questo a dodici anni prova incredulità e indifferenza per la religione trasmessa dalla famiglia. Come poi dirà nell’Apologia pro vita sua, scoprirà a sedici, diciassette anni l’evidenza della esistenza di Dio e, da pastore anglicano, inizia la sua predicazione attivando temi e modalità comunicative di cui i Sermoni anglicani sono un esempio suggestivo del suo carattere appassionato e convincente. La chiesa anglicana subisce tuttavia una forte ingerenza da parte dello Stato liberal laicista che provoca una forte insofferenza negli spiriti più religiosamente attenti e desiderosi di una reale libertà religiosa.
Lentamente, a partire dai primi anni Quaranta, si fa strada in Newman l’idea di un avvicinamento alla Chiesa cattolica, avvertita come un compimento dogmatico, morale e sociale di un cammino mai interrotto di ricerca della verità. Il frutto di questa appassionata investigazione è costituito dallo Sviluppo della dottrina cristiana. Nel 1845 divenne ufficiale la conversione cattolica di Newman e dopo due anni fu fatto sacerdote.
L’uomo più pericoloso d’Inghilterra
Dal momento della sua conversione la sua vita fu disseminata di sofferenza, di attacchi violenti da parte degli anglicani e quindi della stampa, da parte degli old catholics che come furie si scagliarono contro di lui perché attraverso l’esperienza dell’Oratorio, titolato a san Filippo Neri, suscitò lo spirito evangelizzatore nei laici. Questa apertura di Newman ai laici nella Chiesa provocò un’alzata di scudi da parte del clero che vedeva insidiata la propria esclusiva competenza clericale. Si pensi che monsignor Talbot, Cameriere pontificio di Pio IX, dichiarò pubblicamente che il Dr. Newman era l’uomo più pericoloso d’Inghilterra!
Non mancò l’ostilita dei cardinali inglesi forse (?) gelosi dei tanti che si convertirono al cattolicesimo e dettero pubblicamente testimonianza della propria fede in un contesto in cui i convincimenti personali dovevano rimanere custoditi privatamente. Le circostanze obbligarono Newman, personalità riservata, schiva, umile, a polemizzare con tutti coloro che attaccavano la verità e la Chiesa cattolica. Non fu mai il suo un atteggiamento “polemico“ e animato da risentimento, ma garbato e nel contempo inflessibilmente razionale tanto che ciò irritò ancor più i suoi avversari.
La fede è un fidarsi
Nella temperie culturale scettica e dubitosa del XIX secolo, sopratutto all’interno del “liberalismo religioso” contro cui Newman ha speso le sue forze intellettuali e pastorali, esce un suo saggio rigoroso e decisivo a sostegno della fede in quanto tale, La Grammatica dell’assenso. Sarebbe lungo, e forse inutile, disquisire sul carattere filosofico o teologico di questa opera che comunque è sia l’una che l’altra. La lettura della Grammatica è certamente impegnativa, ma entusiasmante e vale la pena il tentativo di raccontarla. Fin dall’inizio ci incontriamo con un paradosso: può un uomo semplice, un credente non specializzato in teologia né in altre discipline complesse avere una fede razionalmente robusta? Tutta l’opera ha un carattere apologetico e dimostrativo di questa possibilità. Potremmo tradurre il titolo con un’espressione teologica: la struttura dell’atto di fede. La fede, osserva Newman, non è una cosa strana che riguarda persone bizzarre, poco razionali, ma investe tutta la Vita pratica nel quotidiano “fidarsi” della propria memoria, di ciò che vediamo e tocchiamo.
La coscienza è un testimone
Naturalmente, più cresce la complessità delle cose da credere, più motivato deve essere l’atto di assenso a ciò che crediamo. Osserva Newman che «la coscienza che abbiamo di noi stessi precede ogni questione di fiducia o di assenso». La coscienza, altresì, non produce la verità, ma ne è testimone. La fede non è cosa per creduloni, ma implica sempre una apprensione di ciò che intendiamo credere. Vi sono due tipi di apprensione: apprensione nozionale e apprensione reale. Quella nozionale può essere una apprensione di un proposizione logica formulata da un sillogismo o anche l’apprensione teologica di un dogma. L’apprensione reale si rivolge ad una esperienza, ad una cosa reale. Quanto è più reale la cosa appresa, tanto più provoca in noi un assenso incondizionato. Così opera la mente ai cui processi Newman dedica analisi suggestive nell’intento di normare e supportare razionalmente la umana predisposizione.
«Quando sia realmente appresa, la proposizione “V’è un Dio” riceve un’adesione energica che opera una vera rivoluzione nella mente, mentre accolta appena come nozione essa non richiede che un consenso freddo, inoperante. Tale è il tipo di assenso di migliaia di persone la cui immaginazione non è accesa, i cui cuori non sono infiammati e le cui azioni non sono modificate dalla verità».
Da qui può insinuarsi nella mente il tarlo del dubbio, che è sempre sospensione del giudizio, patologia ricorrente nell’uso della ragione. L’adesione alla certezza, con tutto l’essere ne indica invece il fisiologico equilibrio. La razionalità implicata nell’atto di fede e la razionalità in quanto tale che sta a fondamento della stessa razionalità della scienza e non viceversa. Newman non prende le mosse da una logica astratta (un buon sillogismo non ha mai cambiato nessuno), ma dall’esperienza: quella del credente, dello scienziato, dell’uomo qualunque che in fondo al cuore sente il bisogno di accostarsi e scoprire il Vero perché intuisce che li c’è la sua salvezza.
Quando fu fatto cardinale
Nel 1879 John Henry Newman fu fatto cardinale da papà Leone XIII. Il 12 maggio di quell’anno il Papa lo accoglie con grande affetto e gratitudine per la sua vita spesa per la verità e per la Chiesa cattolica. La cerimonia è carica di commozione e l’anziano sacerdote inglese, malato e smagrito, con i suoi capelli argentei e il nobile profilo del suo volto, pronunzia la sua prolusione di fronte a tutti. Vale la pena riportarne un parte per quanto essa contiene. Dopo aver confidato che nella sua vita ha fatto molti sbagli, aggiunge che non ha mai avuto interessi personali in ciò che ha fatto, ha sempre manifestato ferma obbedienza e mostrato disponibilità ad essere corretto. E continua dicendo
«Godo nel dire che a un gran male mi sono opposto fin dal principio. Per trenta, quaranta, cinquant’anni anni ho resistito, con tutte le mie forze, allo spirito del liberalismo religioso, e mai la Chiesa ebbe come oggi più urgentemente bisogno di oppositori contro di esso, mentre, ahimè, questo errore si stende come una rete su tutta la terra». «Il liberalismo religioso è la dottrina secondo la quale non esiste nessuna verità positiva in campo religioso, ma che qualsiasi credo è buono come qualunque altro; e questa è la dottrina che, di giorno in giorno, acquista consistenza e vigore. Questa posizione è incompatibile con ogni riconoscimento di una religione come vera. Esso insegna che tutte sono da tollerare, in quanto sono tutte materia di opinione. La religione rivelata non è verità, ma sentimento e gusto, non fatto obiettivo (…) Ogni individuo ha diritto a interpretarla a modo suo (…) Si può andare nelle chiese protestanti e in quelle cattoliche; si può ristorare lo spirito in ambedue e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare insieme in pensieri e affari spirituali, senza avere dottrina comune o vederne la necessità. Poiché la religione è un fatto personale e un bene esclusivamente privato, la dobbiamo ignorare nei rapporti reciproci».
(Da: Osservatore Romano, 14 maggio 1879)
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