venerdì, settembre 27, 2019

L’errore di una legge sul suicidio assistito

L’ipocrisia di credere che un diritto valga solo per i malati.
Meglio la zona grigia

Tutti i mezzi di informazione hanno dato grande rilievo alle parole di Marco Cappato che ha affermato che avrebbe agito per aiutare il suicidio solo per malati incurabili. Molti hanno interpretato queste parole come una delimitazione precisa della pratica dell’eutanasia, che si potrebbe applicare solo in casi estremi. Probabilmente questa è l’opinione sincera dell’esponente radicale, ma nasconde in realtà un’insidia assai pericolosa. Chi è ammalato? Chi è incurabile? Sembrano domande oziose ma non lo sono. Partire da casi estremi per poi trasformare un bisogno particolare e delimitato in un “diritto” generalizzato e incontrollabile è una tendenza tipica della società moderna. La malattia può essere anche una condizione di insoddisfazione profonda, di depressione o di sconforto, che se non viene certificata in modo serio da esperti può essere generalizzata. Anche la vecchiaia, la solitudine, la convinzione di inutilità a sé e agli altri sono, in un certo senso “incurabili”. Chi si trova in queste situazioni può facilmente convincersi di essere la causa delle tribolazioni dei suoi famigliari, sentirsi in colpa per la fatica provata da chi lo assiste, essere quindi spinto a cercare la via d’uscita più estrema. E’ un piano inclinato, nel quale, una volta messo tra parentesi il principio (il più laico dei princìpi) dell’intangibilità della vita, si può scivolare rapidamente in direzione di una pratica sociale di eutanasia come soluzione dei problemi della vecchiaia, della solitudine, dell’infelicità. Ai malati incurabili bisogna guardare come a un problema da affrontare con la solidarietà, l’aiuto, l’assistenza, la tutela sociale e l’impiego di tutti gli strumenti, dalle cure palliative alla vicinanza umana, che possono attenuare le loro sofferenze, prima che diventino casi estremi. E’ troppo comodo liberarsi la coscienza, cancellare il problema dell’esistenza dell’infelicità e della disperazione, spingendo chi vive queste condizioni a togliersi di mezzo. Questo dovrebbe saperlo anche chi sente una profonda solidarietà umana come Marco Cappato.

Il Foglio

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