Di Antonio Gurrado
Non è vero che ci siamo disfatti di Dio, stiamo soltanto vivendo in tempi gnostici un po’ troppo creativi. Questa almeno è la conclusione cui sono giunto leggendo “Dopo Dio”, il nuovo libro di Peter Sloterdijk (per Raffaello Cortina) in cui il filosofo tedesco riordina recenti scritti sparsi sulla religione, favorito dalla propria propensione allo spirito di sistema ampiamente dimostrata dalla mastodontica trilogia “Sfere”. Di là da un favore per l’eugenetica troppo ingenuo per rendergli onore, Sloterdijk ha la capacità di affrontare ogni aspetto del mondo col piglio e l’ambizione di un filosofo classico e ciò – in questo caso specifico – gli consente di analizzare le venature della religione senza risentire dell’adesione a una certa tradizionale corrente del razionalismo scettico, che qua e là riecheggia i toni puerili di d’Holbach. Non gli interessa tuttavia la polemica ostile quanto la spiegazione ponderata e ciò, sorprendentemente forse anche per se stesso, può condurlo a conclusioni non distanti dal buon senso di una parte del pensiero cristiano.
La distinzione fondamentale che traccia ha per discriminante l’apocalisse, “il momento dello sguardo onnicomprensivo rivolto all’indietro” ovvero il momento rivelatore del senso di tutto ciò che è accaduto. Nella società premoderna il retto modo di interpretare il mondo era l’ispirazione apocalittica che giungeva da Dio, unico detentore dell’onniscienza. Il moderno consiste invece nell’accettazione di varie fonti d’ispirazione e nel rifiuto dello “svuotamento del futuro” in favore della sua “inesauribilità”, che non sarà mai racchiusa da un punto di vista apocalittico, posteriore a tutto. L’islam, per dire, è incardinato sull’onnipotenza e onniscienza di Allah, “figura impossibile sullo sfondo del mondo moderno” la quale si fa carico tramite i propri accoliti della distruzione delle creature abiette: “gli attentati”, scrive Sloterdijk, “sono prove malriuscite dell’esistenza di un Dio che non capisce più il mondo”. Il protestantesimo, invece, è una teologia moderna poiché si apre al futuro per mezzo dell’intervento creativo umano, con la libera interpretazione delle Scritture, così paradossalmente limitando l’onnipotenza di Dio.
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