Timido, mite, ma grande e indomito combattente contro lo storico processo di secolarizzazione che investe l’Occidente, trascinandolo sulla via della crisi. Questo è stato Augusto Del Noce, voce terribilmente “inattuale” e fastidiosa per una parte della cultura italiana, essenzialmente di matrice marxista e materialistica. Del Noce, però, è voce soprattutto invisa a quella parte del mondo cattolico, che, in preda agli “esperimenti teorici” tipici della moda imperante degli anni caldi della storia della nostra Repubblica, propone un’originale sintesi di due visioni antitetiche del mondo, ben presto ribattezzata, dalla critica, “cattolico-comunista”.
Ecco, Del Noce è pensatore particolarmente attento alle dottrine, ai nuclei fondanti delle dottrine e ai percorsi speculativi – senza esitazione giudicati fuorvianti – che, aggregando più sistemi, sono destinati a produrre un doloroso quanto inevitabile fallimento: il fallimento della rivoluzione. E proprio sulle tematiche del fallimento della rivoluzione e del problema dell’ateismo che il filosofo, molto pazientemente, tesse la sua tela. Le riflessioni del filosofo di Pistoia prendono le mosse dalla secolarizzazione dell’Europa e, in generale, di tutto il mondo occidentale; un processo, questo, che, per una parte della critica storica, rappresenta un significativo avanzamento, ma che, per il filosofo, è insanabilmente viziato da un’intrinseca contraddizione: l’idea di un uomo capace di autoredimersi, ossia l’idea del Salvatore-Salvato. Ed è proprio questa l’essenza “viziata” dell’ateismo, che, contrariamente a ciò che si crede non è esclusivo appannaggio del marxismo o delle filosofie materialistiche, bensì elemento fondante della società opulenta, a sua volta devastante e drammatico corollario di un lungo percorso storico e speculativo che affonda le proprie radici nel razionalismo moderno.
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