Il governo Conservatore britannico ha imposto l’aborto nell’Irlanda del Nord, sorpassando sia l’assemblea legislativa sia l’esecutivo locali. Lo ha fatto concedendo il potere al ministro per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis, di imporre alle autorità sanitarie nordirlandesi un regime abortivo estremamente permissivo.
Nel 2016 una chiara maggioranza nell’Assemblea dell’Irlanda del Nord aveva confermato la legge allora esistente, che consentiva l’aborto solo nel caso di pericolo per la salute fisica o mentale della madre. Poi, nel 2019, la Camera dei Comuni del parlamento britannico ha introdotto un nuovo regime che liberalizza l’aborto. Questa imposizione da parte di Londra venne giustificata con il fatto che in Irlanda del Nord in quel periodo non vi era esecutivo in funzione. Infatti uno stallo nelle negoziazioni fra i diversi partiti ha rinviato la formazione del governo locale fino a gennaio 2020.
Il nuovo regime imposto da Londra è entrato in vigore nel marzo 2020, ma senza il supporto del governo locale e dell’Assemblea di Stormont. Ora il governo di Londra, tramite il ministro per l’Irlanda del Nord, costringe di fatto il Servizio sanitario locale a seguire la legislazione imposta da Londra, anche se questa, secondo gli accordi di pace, è materia di competenza locale.
Con il nuovo regime l’aborto è consentito fino alla nascita per ogni genere di disabilità e fino a 24 settimane se la gravidanza comporta più rischi dell’aborto per la salute fisica e mentale della madre. In pratica si tratta di aborto a richiesta fino alla ventiquattresima settimana. L’aborto viene inoltre depenalizzato completamente, a differenza del resto del Regno Unito e della Repubblica d’Irlanda dove rimane un reato se effettuato al di fuori dei limiti di legge.
Alban Maginness, stimato politico locale ed ex sindaco di Belfast, ha commentato: «In questo modo Lewis dà priorità all’aborto rispetto ad altri servizi sanitari, come la cura del cancro, che in questo momento sono rinviati a causa della pandemia. Inoltre si fa beffa degli accordi sul decentramento. […] L’aborto è una questione divisiva, controversa, che richiede l’accordo del nostro esecutivo decentrato. E, come in altri casi, su una questione così delicata l’esecutivo non ha ancora raggiunto il consenso»
Contro la decisione del governo britannico si sono schierate tutte le Chiese. La Chiesa presbiteriana ha espresso «grave preoccupazione», definendo la scelta un indebolimento del processo di devolution e un’interferenza diretta del centro sul governo locale. I presbiteriani hanno persino chiesto che vengano ritirati i nuovi poteri al ministro Lewis.
Per la Chiesa metodista, la scelta usurpa il ruolo dell’esecutivo nordirlandese e il vescovo anglicano di Armagh, John McDowell, ha affermato che la proposta rivela mancanza di democrazia.
Dal canto proprio i vescovi cattolici giudicano la decisione del governo di Londra di sorpassare strutture decentralizzate che sono il frutto di accordi internazionali di pace come un’imposizione invisa alla popolazione, che mina smaccatamente il diritto alla vita dei bambini non ancora nati.
Ma non ci sono solo notizie cattive. L’Assemblea di Stormont ha infatti quasi contemporaneamente votato favorevolmente per la proibizione dell’aborto in caso di disabilità non letali e ora la proposta è passata al vaglio della Commissione competente. Sostenuta da diversi partiti, la proposta di legge ha buone possibilità di essere approvata. Pur dichiarandosi contrario, il Sinn Fein, il maggior partito repubblicano, si è astenuto al momento del voto. Ovvia e giustificata l’esultanza del mondo pro life. Certo, se la legge passasse sarebbe una piccola vittoria nella battaglia più ampia per contrastare l’imposizione del nuovo regime abortista, ma nessuno si sogna di denigrarla.
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