Vorrei proporre alcune ragioni per votare sì al referendum del 25 e 26 Giugno.
Il recente pronunciamento della conferenza episcopale italiana fornisce il quadro migliore per un confronto serio. I vescovi hanno richiamato alla responsabilità, alla prudenza ed al coraggio. Alla responsabilità, perché la materia è delicata ed importante. Alla prudenza, perché si eviti di coprire con l'autorità della Chiesa opzioni che per forza di cose non possono essere infallibili. Al coraggio, per riconoscere le opportunità laddove si manifestano.
Il nucleo ideale del dibattito riguarda il rapporto con lo spirito e la lettera della Costituzione. Questa non deve divenire un idolo, ma certo costituisce un'intuizione di gran valore che ha consentito alla comunità nazionale di compiere un importante cammino di sviluppo civile.
Ma proprio questa semplice affermazione dischiude una possibilità che va valutata con attenzione e libertà d'animo. Spesso si verifica che proprio il successo di un'istituzione determini un contesto sociale nuovo, che richiede, proprio a chi difende le ragioni alla radice di quella istituzione, di intraprenderne una riforma anche profonda. Così, potrebbe darsi che oggi, proprio per essere fedeli all'opzione democratica e repubblicana all'origine della Costituzione del 1948, sia necessario riformarne parti anche importanti affinché obiettivi ideali analoghi a quelli definiti allora possano essere ancora perseguiti in contesti sociali però profondamente mutati. Diversamente, le migliori intenzioni non impedirebbero alla pura e semplice difesa dell'esistente di produrre un sostanziale tradimento delle opzioni fondamentali cui pure ci si riferisce.
In questa prospettiva, a me pare che tra le riforme costituzionali che il 25 e 26 giugno siamo chiamati a giudicare ce ne siano alcune di grande utilità.
In particolare mi riferisco all'aumento dei poteri del premier (reso più responsabile di fronte all'elettorato), alle norme anti-ribaltone (che impediscono ai parlamentari di stravolgere le scelte dell'elettorato ed alle piccole fazioni di condizionare l'azione di governo per soli interessi di ceto), alla redistribuzione dei poteri tra amministrazioni centrali ed amministrazioni locali. Si tratta di riforme che incrementano gli spazi di responsabilità e di sussidiarietà (cui i cattolici sono senz'altro sensibili).
Naturalmente non si tratta di una riforma completa ed organica, né priva di elementi contraddittori o disfunzionali (in particolare il cosiddetto senato federale). Ed è per queste ragioni che molti, pur aperti alle riforme, sostengono il no.
Tuttavia, non abbiamo alcuna garanzia che ad una vittoria dei no segua un avvio delle riforme. Anzi, il carattere programmaticamente conservatore di larga parte del fronte del no ed il fatto che l'attuale maggioranza di centrosinistra abbia uno spento programma istituzionale, decisamente meno riformista di quello dell'Ulivo nel 1996, rende più ragionevole aspettarsi che una vittoria dei no infligga un colpo forse mortale alle prospettive di riforma democratica delle istituzioni politiche italiane.
Al contrario, una vittoria dei sì introdurrebbe alcune riforme positive e costringerebbe a tener aperto il cantiere riformatore, per correggere i limiti - ormai comunemente ammessi - della legge costituzionale approvata nella scorsa legislatura e per completare l'opera.
Luca Diotallevi
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