Il 29 novembre 2010 l’Irlanda, glorificata nei libri di economia di mezzo mondo come mirabile esempio di economia dinamica in espansione e assediata dalle richieste delle multinazionali di poter aprire la sede legale sul suo territorio, vista la tassazione degli utili d’impresa all’aliquota bassissima del 12,5%, entrò nel girone dannato dei Piigs, affiancando la Grecia nella sua richiesta di aiuto alla Troika composta da BCE, Commissione Europea e FMI. Proprio pochi giorni fa, l’incubo è finito: Dublino è uscita dalla procedura di salvataggio, rimborsando gli ultimi prestiti internazionali.
Molti osservatori hanno colto la palla al balzo per esaltare le virtù delle politiche di austerità. Per una volta, l’austerità sembra non aver creato un Frankenstein, ma un bel principe pronto a nuove avventure, tanto che l’Irlanda si dice già pronta a tornare sul mercato dei capitali. Tuttavia, sbandierare il successo della rinata Tigre Celtica potrebbe rivelarsi pericoloso: non solo perché è stato dimostrato che l’austerità nei piccoli Stati tende a fare danni minori, ma anche perché la ripresa irlandese è dovuta, in massima parte, all’indebitamento statale, come reso chiaro dal seguente grafico.
Fonte: www.cso.ie
Ebbene, rispetto al periodo ante-crisi, identificabile grosso modo con il secondo trimestre 2007, il debito pubblico è aumentato, in rapporto al PIL, di quasi sei volte, un aumento davvero esponenziale. Questo fatto, a dir la verità non così pubblicizzato dai media che hanno parlato repentinamente di “miracolosa” uscita dalla crisi, permette di dedurre due lezioni:
• Senza un salvataggio pubblico, l’Irlanda non ce l’avrebbe mai fatta. Certo, gli investimenti esteri sono importanti, ma bisogna ricordare di non fare troppo affidamento su di loro, come insegna bene la crisi asiatica del 1997-98. I capitali esteri tendono a scappare ai primi scricchiolii, anche se, come ha fatto e continua a fare il Paese del Trifoglio, si mantiene un regime fiscale di favore per le grandi imprese.
• Il “propellente” del debito non è necessario nella fase del crollo, ma è strategico anche per ottenere una ripartenza dell’economia reale. La soglia del rapporto debito pubblico/PIL del 60% prevista dal Trattato di Maastricht non è la Bibbia.
L’Irlanda nel 2010 era come un corpo che perdeva copiosamente sangue: il debito ha permesso di ristrutturare il sistema finanziario, ridotto in ginocchio dalle sregolatezze del boom immobiliare, e di dare ossigeno ad un’economia reale che, in ogni caso, negli ultimi anni ha continuato ad essere molto flebile, visto che Dublino è cresciuta di appena lo 0,3% nel 2012. In altre parole: il debito non ha risolto tutti i problemi, ma ha certamente evitato un tracollo. Se l’Irlanda si fosse attenuta strettamente al parametro del 60% (che peraltro non è rispettato da quasi nessun Paese dell’Unione Europea, il che fa molto riflettere circa la credibilità di queste soglie), la sua crescita sarebbe stata ancor più anemica.
La risalita di Dublino è stata inoltre corroborata da un forte calo del costo del lavoro unitario, similmente a quanto sta accadendo in Grecia e Spagna. Dal 2008 al 2015 il costo del lavoro unitario calerà quasi del 15%, aumentando l’appeal della manodopera locale. La svalutazione interna resta l’unica via percorribile in un’area valutaria unica in assenza di aggiustamenti dei cambi. Tuttavia, considerato che la disoccupazione nel Paese rimane al di sopra della preoccupante soglia del 13% e che molti giovani stanno emigrando, sussistono molti dubbi circa gli effetti che un calo del costo del lavoro, unito ad una simmetrica stagnazione delle retribuzioni, possano arrecare ad un’economia in convalescenza. Il grafico sottostante pare eloquente.
www.economy.com
L’Irlanda si sta avvicinando in maniera inquietante alle soglie della deflazione, causata da uno stallo della domanda interna: uno spettro che ormai aleggia sull’intera Europa, ma di cui i tetragoni difensori del rigore – che il premier italiano Enrico Letta ha creativamente definito “ayatollah” – sembrano non curarsi. La stazza della ripresa irlandese dipenderà molto dalle scelte, o dalle non-scelte, che si faranno a Francoforte nei prossimi mesi.
By GPG Imperatrice
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da Scenari Economici
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