sabato, marzo 09, 2019

Dialogo

«“Dialogo”, la parola che (…) dovrebbe essere la chiave di volta di ogni cristianesimo presente e futuro, non è ebraica ma greca, ed è del tutto sconosciuta alla Scrittura, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Quest’ultimo usa invece per dieci volte il verbo apologheomai e otto volte la parola apologhia, nel senso di “difendersi” e di “difesa” a viso aperto nei confronti degli avversari del kerygma, l’annuncio che “Gesù è il Signore”. Nessuna rilettura aggiornata del Nuovo Testamento può togliergli un aspetto che è evidente in ogni sua parte: il cristianesimo, cioè, vi appare come “scontro” almeno quanto “incontro”. A cominciare da Cristo stesso, che mette in guardia da letture paciose del suo messaggio: esso sarà causa di divisione persino all’interno delle famiglie; egli, Gesù, non è venuto a portare la pace, ma la guerra. Dall’inizio alla fine il Vangelo risuona di grida: “razza di vipere!”, “sepolcri imbiancati!”, “guai a voi!” sono soltanto alcune delle espressioni che il Cristo riserva ai suoi antagonisti. I quali sono praticamente tutti i gruppi dell’ebraismo a lui contemporaneo, aggiungendovi anche il potere romano, per una sentenza del quale sarà alla fine condannato a morte. Da Betlemme al Golgota, Gesù è sempre circondato di avversari, che affronta e chiama con il loro nome».
(Vittorio Messori, La sfida della fede, 1993, p. 127)

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