Era
il boom del bike sharing. Una manciata di aziende cinesi guidate da
imprenditori giovani e audaci sembrava aver trovato il business
perfetto: riempire di biciclette le città prima della Cina e poi del
mondo, usare un sistema smart e semplice per consentire agli utenti di
noleggiare le biciclette suddette pagando una cifra ridottissima, usare
l'entusiasmo generato dall'iniziativa per raccogliere enormi quantità di
capitale da reinvestire per riempire altre città di altre biciclette,
in un meccanismo perfetto di economia di scala. Negli scorsi anni, il
bike sharing è stato un grandioso generatore di unicorni. Tutti volevano
entrare nel mercato, gli utenti adoravano l'iniziativa, gli investitori
erano estasiati. Il bike sharing sembrava il simbolo della maturità
della tecnologia cinese. Poi la bolla è scoppiata.
Se
avete letto con attenzione la descrizione grossolana che ho fatto del
business del bike sharing l'avete già capito: il modello delle startup
biciclettare era quello di fare economia di scala, e senz'altro ci hanno
provato: Mobike, Obike (che è di Singapore) e Ofo, che sono le tre
aziende più importanti e più internazionali (ma ai bei tempi erano
infinite di più), si sono diffuse in centinaia di città in tutti i
continenti. Ma con il bike sharing non si può fare economia di scala,
perché entro un certo punto i costi fissi non si possono ridurre.
Banalmente: se vuoi riempire una città di biciclette, le biciclette le
devi comprare, e se vuoi mantenere la flotta in buono stato devi
assumere sempre più persone.
Così,
dopo aver bruciato i miliardi concessi dai fondi di venture capital, le
compagnie di bike sharing si sono trovate con una flotta enorme di
biciclette da mantenere e rinnovare, una infrastruttura mondiale da
sostenere e gli utenti che si erano abituati a pagare quasi niente per
il servizio. Negli ultimi mesi, Obike è fallita, lasciando biciclette abbandonate in giro per mezza Europa, Roma compresa. Ofo sta lentamente riducendo il suo impegno internazionale
(in Italia ha ridimensionato le sue operazioni) e, si dice, è in
pessime acque. Mobike ha avuto una sorte un pochino diversa, ma non
migliore.
È
stata acquisita alla fine dell'anno scorso da Meituan, uno dei giganti
digitali cinesi, e per un periodo sembrava avrebbe avuto più tempo per
pensare a come recuperare soldi. Ma Meituan si è stancato in fretta, e
pochi giorni fa è arrivato l'annuncio della chiusura delle sedi di Mobike in buona parte dell'Asia. Non si sa come andrà in Europa (l'azienda sta "valutando"), ma la situazione non è rosea, diciamo.
Ora,
il punto non è tanto la parabola di queste aziende. Il punto è: come
hanno fatto a cascarci tutti? Il modello di business era insostenibile
fin dall'inizio, eppure venture capitalist di altissimo profilo hanno
investito centinaia di milioni nel bike sharing. C'entrano meccanismi di
aspettativa e di dissonanza cognitiva, ma c'entra il fatto che il
mercato tech è decisamente drogato.
Come
con il caso celebre di Theranos, per migliorare la tecnologia forse
conviene cominciare a studiare i fiaschi piuttosto che i successi.
Eugenio Canu
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