In margine alla riproposizione televisiva del romanzo di Umberto Eco
Recensendo l’evento sul suo blog personale, lo storico Franco Cardini, al quale mi legano rapporti di stima e personale amicizia, ha osservato, in ordine al romanzo, a suo giudizio troppo mal letto e troppo poco compreso: «Là, si snoda il tragico duello tra chi dai propri errori e dalla lezione della storia ha appreso l’umana pietà e chi cerca nell’Eterno la chiave dell’inflessibile Verità, che ignora il sorriso e condanna il perdono».
Comprendo, per parte mia, perfettamente cosa vuol dire lo storico fiorentino, che di Eco fu amico benché distante per quanto riguarda le rispettive posizioni di fede: cattolico praticante il primo; “cattolicissimo professore e polemista ateo innamorato della scolastica”, come lo definisce sempre Cardini con richiamo al giovanile integralismo cattolico-tomista, il secondo.
Cardini intende dire che spesso i cristiani, soprattutto se colti (san Francesco d’Assisi guardava alla cultura come ad una forma di potere che può portare al peccato di superbia), hanno presentato la Verità in modo talmente rigido da oscurare la Carità.
E’ vero, verissimo! La storia ecclesiale è piena di dispute tra scuole teologiche intorno a questioni di approccio filosofico alla Verità spesso condotte certo in insospettata libertà ma senza clemenza per gli avversari. Per non parlare – anche se sarebbe invece bene parlarne di più allo scopo di decostruire le tante leggende eccessivamente nere montate in proposito a discapito della verità storica – della prassi di “convincere” di Essa con metodi inquisitoriali.
L’inquisitore domenicano del romanzo, Bernardo Gui, è personaggio storicamente reale che nel suo trattato inquisitoriale ha lasciato scritto: «Il dolore induce a riflettere». Eppure non fu il mostro che spesso si dipinge, dato che, come da prassi inquisitoriale ecclesiale, il ricorso alla tortura era molto raro. Ci si limitava più spesso – il che era comunque una pressione psicologica – soltanto a mostrare all’imputato gli strumenti di essa. La tortura, del resto, non è stata una invenzione della Chiesa. La tortura è sempre esistita ed è stata praticata presso tutte le culture. Anzi, per l’appunto, la Chiesa fu molto moderata nel suo uso inquisitoriale laddove, al contrario, molto meno scrupoli si facevano le inquisizioni laiche sui malcapitati nemici politici del sovrano di turno.
Se è dunque vero che spesso i cristiani hanno dimenticato la Carità in nome della Verità, è pur altrettanto vero, tuttavia, che oggi accade il contrario e molti cristiani edulcorano o dimenticano la Verità in nome della Carità.
Ora, è per questo che Umberto Eco resta, a mio giudizio, una intelligenza che non ha saputo cogliere l’et-et sempre necessario. Forse per colpa del suo giovanile integralismo cattolico che appunto in nome della Verità dimenticava la Carità ed al quale egli ha, poi, reagito in modo inappropriato ossia rovesciando i termini del dilemma.
Eco, da giovane, in nell’età preconciliare, era considerato, all’interno dell’Azione Cattolica pacelliana, l’enfant prodige e la sicura promessa della cultura cattolica che, in quell’epoca, sovente sfoggiava toni trionfalistici, anche politici, nella convinzione che l’avversario andasse prima sottomesso e poi convertito. Era una cattolicesimo filosofico che non si accorgeva di aver ridotto, contro lo stesso Aquinate, il tomismo a un soffocante razionalismo, facile preda della critica neo-gnostica della Nouvelle Theologie franco-tedesca (Ranher e De Lubac) la quale, proprio in quegli anni, lo stava segretamente minando dalle fondamenta scavandogli sotto enormi gallerie sulle quali sarebbe crollato nella svolta antropologica del post-concilio. Una debacle del tomismo neoscolastico dell’epoca che, a mio giudizio, è stata provvidenziale avendo permesso allo stesso di liberarsi delle incrostazioni e sovrastrutture razionaliste e di ritrovare la sua originarietà grazie, soprattutto, all’opera di padre Cornelio Fabro).
Come cattolico, al di là degli umani errori di noi cristiani che restiamo comunque, alla pari degli altri, uomini fallibili nelle nostre scelte storiche, sento tuttavia necessario ribadire che non è con il nominalismo che si risolve il dramma umano. Perché l’essenza della rosa non è il suo nome come il Nome di Dio non è l’Essenza di Dio ma soltanto il veicolo del suo rivelarsi e manifestarsi.
Insomma abbandonare Tommaso d’Aquino per Guglielmo di Ockham, anche se travestito da Sherlock Holmes (nel romanzo Guglielmo di Baskerville), non è la strada che salva, dato che dietro la disputa sugli “universalia” si nasconde la scelta del cuore umano tra Cielo e terra, Eterno e temporale, Pienezza e nulla. Laddove la terra ed il temporale non hanno più collegamenti vitali – sacramentali – con il Cielo e l’Eterno, l’umanità perde la Pienezza ed il Senso e precipita nel nulla e nel non-senso.
Ed infatti il mondo a partire dal XIV secolo, quello nel quale è ambientato il romanzo di Umberto Eco, è molto progressivamente peggiorato, sotto il profilo spirituale, e se oggi l’Occidente naufraga nel nichilismo forse dovremmo cercarne le cause anche nel nominalismo nel quale era già insito tutto il “nulla”, tutta la leggerezza dell’essere, che giustifica l’animalizzazione dell’umano alla quale siamo ormai, purtroppo, fin troppo avvezzi.
Voglio dire che Umberto Eco, certamente una intelligenza alta e tormentata, non ha affatto migliorato il mondo e, forse, al di là delle sue intenzioni, lo ha profondamente peggiorato.
Una cosa è dire non dimenticate la Carità, altra è dire non esiste la Verità.
Negando esistenza e cittadinanza alla Verità si aprono autostrade larghissime al capitale, alla finanza, alla globalizzazione che oggi, a distanza di qualche decennio dalla pubblicazione del romanzo di Eco, stanno mettendo più che mai in croce il terzo mondo e le classi più deboli dell’Occidente. Potere, Usura e Lussuria – per dirla con Thomas Stearn Eliot – vincono, senza più limitazioni, intralci e condizionamenti, laddove la Verità viene oscurata.
Un bel risultato per chi si diceva di sinistra!
D’altro canto, è vero!, stiamo oggi assistendo ad una reazione “cattivista”, eguale e contraria, che rischia di coinvolgere anche molti cristiani. Ho visto, di recente, in televisione le celebrazioni di una festa nazionale polacca in pompa magna con tanto di governo e sfilata militare. Seguivano con canti, fiaccole e bandiere anche i militanti delle forze sovraniste polacche e di alcune delegazioni straniere come la nostra Forza Nuova. Venivano innalzate effigi di Cristo Re e scanditi slogan sì contro il globalismo ma perché esso porta gli immigrati ed i mussulmani. Nulla contro la finanza apolide. Nulla contro il Capitale transnazionale.
Intanto Giorgia Meloni va in America per incontrare Donald Trump in nome del (neo)conservatorismo. Ma già in precedenza Matteo Salvini si era esibito in performance di sostegno all’“unica democrazia” del Vicino Oriente. Peccato che si tratti di una democrazia nucleare ed alleata dei Sauditi foraggiatori dei salafiti che tagliano le gole dei cristiani orientali.
Questa è la deriva plebea e volgare del sano identitarismo. Una deriva che stravolge anche lo Spirito che è Verità ed insieme Carità, perché, come dice l’apostolo Giovanni, “Dio è Amore”.
Un ultimo appunto. Umberto Eco era ossessionato dal “fascismo eterno” e, come ricorda Cardini nella sua recensione, per Jorge Luis Borges – il poeta argentino, che nel romanzo ha la sua controfigura nel “Santo Satana” benedettino Jorge de Burgos, cieco come il modello reale – provava insieme ammirazione ed avversione. Per Eco Borges, con il suo esoterismo, ha incarnato la quintessenza della cultura reazionaria del XX secolo. Anche qui però i conti non tornano ed Eco li ha evidentemente sbagliati.
Infatti il “fascismo eterno” se lo è inventato lui e non è mai esistito. Per due ovvi motivi, ben noti agli storici e ai filosofi politici. Il primo è che è esistito solo il fascismo storico, il secondo è che esso non è stato affatto reazionario. Perché il fascismo, al di là dei suoi compromessi con le forze di destra, è stato uno dei rami dell’albero socialista. E poi Borges reazionario? Sarà pure, ma Borges era un esoterista, uno gnostico, che coltivava un visionarismo a mezza strada tra una mistica olista e panteista ed un onirismo da psicologia del profondo. La cultura esoterica può anche essere etichettata come reazionaria ma poi bisogna indagare a fondo quanto, ed è tanto!, di essa nutre le radici del laicismo, del razionalismo, dell’illuminismo. Insomma della modernità anticristiana.
Luigi Copertino
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