sabato, agosto 21, 2004

Uomo e donna li creò

Uomo e donna li creò
Note sulla “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo” inviata dal cardinale Joseph Ratzinger e resa pubblica il 31 luglio 2004

di Pietro De Marco


Commentando la “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo” inviata dalla congregazione per la dottrina della fede, a firma del prefetto, Joseph Ratzinger e del segretario, Angelo Amato, Claudio Risé ha proposto, con quel tanto di esasperazione per le tendenze di una contagiosa vulgata, un "basta, col considerare la maschilità del Figlio di Dio come un optional, un caso, qualcosa che poteva benissimo essere anche il suo contrario, una femminilità. Non si può trasformare la storia di un Uomo che disse di essere venuto per realizzare la volontà del Padre, in quella di un androgino figlio di Madre. Quella sarebbe un'altra storia. E anche la nostra sarebbe, quindi, diversa" (“Il Giornale”, domenica 1 agosto).

Certo, altro sarebbero l'Occidente e il mondo se il perno della rivelazione cristiana fosse stato un mito della Dea Madre. Per l'antropologia razionale di matrice ebraico-cristiana, l'unica dell'Occidente, il "masculum et foeminam creavit eos", la "uni-dualità" (Giovanni Paolo II) della relazione, è condizione necessaria di pensabilità dell'umano e dei suoi istituti.

Ma l'identità rispettiva e la distinzione del maschile e del femminile sono condizioni irrinunciabili anche per l'intellectus fidei e la fede vissuta. Richard Crashaw, il grande poeta inglese operoso a Roma dopo la sua conversione al cattolicesimo, e morto a Loreto nel 1649, celebrava la circoncisione (come ci ricorda Leo Steinberg nel suo celebre “La sessualità di Cristo”) indicando nel sangue versato dal Bambino l'ottavo giorno di vita l’anticipazione del sangue della Passione e della vita del cosmo rinnovato: "These Cradle-torments have their towarness. / These purple bunds of blooming death may be, / Erst the full stature of a fatal tree/. (…) This knife may be the speares praeludium” (Questi tormenti della culla hanno una loro finalità. / Queste purpuree gemme [le gocce di sangue della circoncisione] di fiorente morte potranno essere / prestissimo tutta l'altezza di un albero fatale [la croce] / Questo coltello può essere il praeludium della lancia).

Un secolo e mezzo prima, i colti predicatori della corte di Sisto IV ricordavano al pontefice, il 1 gennaio: "Quest'oggi viene aperto a pro dell'umanità il libro della circoncisione, il primo volume della crudelissima Passione. Qui sgorga il primo sangue della nostra redenzione". Annota finemente Steinberg che, per una fede (responsabile, non svagata) senza la prova del sangue prepuziale la carne del Figlio avrebbe potuto essere mera simulazione, fantasia, apparenza. L'ostentatio genitalium del Bambino Gesù nell'iconografia tardo medievale e moderna, fino al maturo Cinquecento, integra e rafforza la manifestazione, l'epifania, del Nato per la nostra salvezza, nella sua determinatezza umana e maschile. Nell'iconografia, più rara, della genitalità palese e potente del Cristus adulto e patiens, studiata da Steinberg, si sanziona poi che passione e morte sono generatrici della stirpe, della natio, dell'umanità redenta.

Nella sorprendente teologia figurale del Thronum Gratiae (il Padre e il Figlio assieme come manifesta accettazione del sacrificio del secondo da parte del primo) l'arte fiammminga, van der Veyden in particolare, fa sottolineare al Padre con la mano poggiata sul perizoma di Cristo all'altezza dell'inguine la decisiva potenza fecondante della morte del Salvatore. La paternità è dunque trasmessa ed esibita nel Figlio morto dalla mano del Padre unico, "ex quo omnis paternitas in caelis et in terra nominatur" (Ef 3, 15). Dov'è morte la tua vittoria?

Una società delle buone maniere ha poi prevalso mettendo la sordina, almeno nell'immagine sacra pubblica, su questo tema. Ma la maschilità del Cristo, architettonicamente necessaria alla fides quae creditur, non è svilita, almeno non fino alla stagione a noi contemporanea dell'androginia decadente e della pressione per la distruzione dei differenziali simbolici. Senza la densità dell’autentica maschilità del Cristo anche la enorme ricchezza teologico-simbolica di Maria si disgrega (d’altronde le due strategie di attacco alla tradizione teologica e mistica cattolica di Dio Padre e della Vergine Madre convergono). Senza uni-dualità quale relazione con l’Altro-da-sé? Se la “capacità dell’Altro”, che la “Lettera” ratzingeriana attribuisce al femminile come tratto distintivo, è variabile artificio culturale, cosa ne resterà dopo le pratiche manipolatorie dell’Alterità delle ideologie radicali ?

La perdita del differenziale simbolico è perdita di capacità di identificazione, perdita eminentemente culturale. La coppia umana bisessuale è radicalmente distinta dalla coppia di eguali (quella dell’amicizia, della sodalitas), funzionalmente e cosmologicamente. Nell'ordine del simbolico la coppia di eguali è non infeconda (lo è solo per l'aspetto procreativo), ma ordinata alla elaborazione del doppio, della iterazione o replicazione. La dimensione “feconda” della coppia di sessualmente eguali è l'amicizia. Che questo possa includere la relazione (omo)sessuale è noto; ma l'alterità rispetto alla coppia bisessuale-coniugale è nitidissima. Insistere sulla storicità delle differenze di genere non sposta tale evidenza, la rende anzi più cogente.

La “Lettera” ricorda che, "distinti fin dall’inizio della creazione e restando tali nel cuore stesso dell’eternità, l’uomo e la donna, inseriti nel mistero pasquale di Cristo [ovvero nell'intelligenza del compimento redentivo] non avvertono più la loro differenza come motivo di discordia da superare con la negazione o il livellamento", ma vivono la reciprocità significativa della distinzione. Uomo e donna sono figura della Trinità, Imago Dei, come ha insistentemente ricordato uno dei massimi teologi cristiani del Novecento, lo svizzero Hans Urs von Balthasar. Ed è la Donna, Maria, che ci rivela nell’ostensione del Figlio l’infinita umiltà di Dio.

Non possiamo ammettere che uomini e donne sull’orlo di una crisi di nervi si ingegnino ciecamente a rompere (posto che sia possibile) questo stupendo equilibrio e sapere, come fosse un giocattolo su cui di volta in volta sfogare nevrosi o esercitare curiositas. Solo il folle sega il ramo su cui è seduto.

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