Ricorre oggi l'anniversario della morte del cardinale Newman, che sarà presto beato.
Per l'occasione vi ripropongo un articolo di Ian Ker recentemente apparso sull'Osservatore Romano
Il venerabile John Henry Newman sarà il primo inglese, dai tempi della Riforma, elevato agli onori degli altari senza essere stato martirizzato. E tuttavia ha dovuto sopportare molte sofferenze nel corso della sua vita. Fu denigrato come anglicano quando, attraverso il Movimento di Oxford, tentò di recuperare l'eredità cattolica della Chiesa d'Inghilterra. In seguito, da cattolico, il suo lavoro per la Chiesa fu minato dagli estremisti ultramontani che lo sospettavano di liberalismo mentre i cattolici liberali lo attaccavano per la sua obbedienza all'autorità. Sebbene non sia stato martirizzato come san Tommaso Moro - autore di Utopia e amico di Erasmo - anche Newman fu un grande umanista.
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L'originalità e la penetrazione della sua filosofia della religione è stata pienamente apprezzata soltanto negli ultimi anni. Quando Newman divenne cattolico, nel 1845, era il più importante convertito alla Chiesa dalla Riforma. La sua teologia scritturale e patristica era estranea a una Chiesa allora dominata da un pensiero scolastico alieno a successivi recuperi scritturali, patristici e tomistici. Fu il concilio Vaticano II - di cui Newman è spesso definito "il padre" - a riscattare finalmente la sua teologia. Il compianto cardinale Avery Dull lo definì il teologo cattolico più fecondo del diciannovesimo secolo. Il suo classico Essay on the development of Christian Doctrine (1845) - che fu oggetto di sospetto da parte dei due più importanti teologi romani del tempo - può essere considerato come il punto di partenza della moderna teologia cattolica dello sviluppo. La sua opera On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine (1859) - denunciata a Roma da un membro della gerarchia inglese e gallese - precorse di più di cento anni il decreto conciliare sull'apostolato dei laici e la sezione sul laicato della Lumen gentium. L'ultimo capitolo di questa costituzione dogmatica, dedicato alla Beata Vergine Maria è il risultato della decisione del concilio di non redigere un documento separato su Nostra Signora; la teologia scritturale e patristica di Newman è in sintonia con la sua mariologia in A letter to Pusey (1866). La sua interpretazione della definizione data dal concilio Vaticano I dell'infallibilità del Papa - così come articolata in Letter to the Duke of Norfolk (1875) - fu sgradita agli estremisti ultramontani ma, in quel tempo, fu scagionata dal vescovo Fessler - già segretario generale del concilio - in Die wahre und die falsche Unfehlbarkeit der Päpste, un libro che ricevette l'approvazione ufficiale di Papa Pio IX.
Il famoso "brindisi" di Newman alla coscienza nella stessa opera si riferisce alla possibilità di rifiutarsi, appunto secondo coscienza, di obbedire agli ordini papali, ma non alla possibilità del cosiddetto dissenso, in coscienza, agli insegnamenti del Pontefice, come spesso erroneamente si è supposto. Ma se Newman è considerato il "padre del concilio Vaticano II", in caso di canonizzazione egli sarà certamente dichiarato Dottore della Chiesa. E in questo caso sarà visto - ne sono convinto - come il Dottore della Chiesa postconciliare. Poiché la sua teologia, che al tempo appariva tanto radicale da essere pericolosa, fu sempre profondamente storica, sensibile alla tradizione e rispettosa dell'autorità magisteriale della Chiesa. Una volta, com'è noto, scrisse: "Per essere profondamente nella storia bisogna smettere di essere protestanti". L'idea che il Vaticano II abbia rappresentato una frattura totale nella storia della Chiesa, una nuova alba analoga alla Riforma secondo il punto di vista dei protestanti, gli sarebbe apparsa non solo come indice di incredibile ignoranza della storia e di indifferenza alla tradizione, ma anche come una forma di disprezzo per il magistero permanente della Chiesa. Come Benedetto XVI anche Newman credeva nell'"ermeneutica della continuità". Al tempo del concilio Vaticano I scriveva: "Non ci muoviamo alla velocità di un treno nelle materie teologiche, nemmeno nel diciannovesimo secolo". La miniteologia dei concili che Newman tratteggiò nelle lettere private al tempo del concilio Vaticano I offre un'ermeneutica di valore inestimabile sia per il Vaticano II sia per gli sviluppi ulteriori e le alterazioni degli insegnamenti conciliari. Newman avrebbe considerato il caos e il dissenso successivi come inevitabili conseguenze per qualsiasi concilio e soprattutto per uno dall'agenda a così lungo termine. Il concilio Vaticano I terminò da una parte con il trionfalismo degli estremisti ultramontani e dall'altra con la scomunica di Döllinger e dello scisma dei vecchi cattolici. Anche il Vaticano II vide l'emergere di due reazioni estreme e opposte, ma fortemente concordi sulla sua natura rivoluzionaria. Profondamente nella storia, Newman comprese molto chiaramente che i concili procedono "con dichiarazioni contrarie (...) che si perfezionano, si completano e si integrano reciprocamente". Così la definizione del Vaticano i sull'infallibilità del Papa andava completata e modificata da un insegnamento più ampio sulla Chiesa e Newman predisse con esattezza che un altro concilio avrebbe fatto esattamente questo. Ma allo stesso modo il Vaticano II ha bisogno di completamento e modifiche. Newman apprezzava profondamente il fatto che i concili avessero conseguenze inattese in virtù sia di quanto detto sia di quanto taciuto. Il dire tende all'esagerazione, come è accaduto nella scia del concilio Vaticano II, quando sembrava che la Chiesa non avesse altro di cui occuparsi se non di giustizia e pace, di ecumenismo, dialogo interreligioso e così via. Tuttavia, anche ciò di cui i concili non si occupano, e quindi trascurano, ha un grande significato: quindi il concilio Vaticano II fu silenzioso in modo assordante su quella che sarebbe poi divenuta la preoccupazione principale del pontificato di Giovanni Paolo II: l'evangelizzazione.
Nei decenni che precedettero l'ultima assise ecumenica Newman fu fonte d'incoraggiamento e d'ispirazione per quanti auspicavano il rinnovamento della Chiesa. Il ritorno alle fonti patristiche che caratterizzò il Movimento di Oxford - di cui Newman fu capo e teologo guida - anticipò il grande ressourcement francese del ventesimo secolo di Jean Daniélou, Henri de Lubac e Yves Congar, senza il quale il rinnovamento del concilio Vaticano II sarebbe stato quasi impossibile. Nel periodo postconciliare in cui viviamo credo che John Henry Newman sia una guida inestimabile per una comprensione autentica del concilio, libera da travisamenti ed esagerazioni, una comprensione informata da un senso della storia, dallo sviluppo della dottrina e da un apprezzamento dei limiti dei concili e del loro rapporto reciproco.
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