Fossi irlandese: viva la sterlina!
Oscar Giannino
Mi spiace andare controcorrente, ma se io fossi irlandese avrei del tutto condiviso l’atteggiamento tenuto dal governo in queste ultime settimane. Avrei cioè detto fino alla fine che di aiuti non c’era bisogno, perché il debito pubblico era coperto per un anno:così da far “strizzare” le altre capitali dell’euroare. E avrei anche opposto fiera resistenza alla condizione numero uno per gli aiuti posta dai tedeschi e dai francesi. Anzi, avrei anche aggiunto sul tavolo un’altro argomento polemico, che al contrario l’Irlanda non ha ritenuto opportuno usare.
Tutti sanno qual è la realtà. L’Irlanda non è Paese che abbia mentito sui suoi numeri pubblici come la Grecia. Non è Paese che abbia un deficit annuale a doppia cifra sul Pil delle partite correnti, come capita al Portogallo che non riesce a generare esportazioni e dipende dai capitali stranieri. L’Irlanda paga l’esplosione del suo sistema bancario, che adottando in pieno il modello di intermediazione ad alta leva era iperesposto su crediti e impieghi ad alto rischio, divenuti nella crisi insolvibili perché privi di prezzo. Con banche più grandi della sua economia, la garanzia pubblica data al sistema da salvare ha finito per non bastare, perché perdite e rettifiche sono giunte in due anni a coprire più di 40 punti nazionali di Pil.
L’innalzarsi degli spread dei titoli pubblici irlandesi sul Bund ha punito un Paese la cui economia è inefficiente? No, ha punito il fatto che in più di due anni l’euroarea non ha saputo né voluto in alcun modo darsi un meccanismo di salvataggio e garanzia degli intermediari finanziari che non sui riverberasse immediatamente sui conti pubblici anno per anno dei diversi Paesi membri. E’ un meccanismo che vede di volta in volta i Paesi leader tirare la corda fino all’estremo secondo prossimo al default del Paese che si trovi esposto al rischio, per poi imporgli condizioni capestro per salvare le proprie banche che regolarmente hanno titoli di quel paese e sono i veri destinatari del salvataggio, che invece spingerà il Paese destinatario a due conseguenze sbagliate. La prima è una massiccia deflazione,pagata da tutti gli incolpevoli cittadini e dalle imprese. La seconda, nel caso irlandese, è ancor più inaccettabile, e costituisce la richiesta che più ha registrato opposizione a Dublino. E cioè alzare drasticamente quell’aliquota del 12,5% sul reddito d’impresa che ai grandi paesi dell’euroarea ha dato fastidio per anni. Garantendo all’Irlanda una crescita fortissima del’economia reale attirando imprese da tutto il mondo, e nell’equilibrio tra entrate e spese e dunque non in deficit, quel 12,5% di aliquota flat mostrava al mondo intero che la scelta di alte tasse europee era un pietoso scudo abbatticrescita, necessario in realtà solo a reggere l’eccesso di intermediazione pubblica del reddito nazionale.
Per questo, fossi irlandese, col cavolo che accetterei gli aiuti che servono a coprire le esposizioni franco-tedesche su titoli irlandesi, imponendo all’economia irlandese il costo e obbligando l’Irlanda ad uniformarsi alle alte aliquote continentali. Piuttosto, fossi stato un uomo di governo irlandese avrei continuato a far capire ai franco-tedeschi che è la loro Europa alla loro condizioni, che non regge. Tanto che avrei annunciato l’uscita dall’euro per un accordo di cambio collegato alla sterlina, autonoma dall’euro per fortuna dei britannici e lungimiranza di Margaret Thatcher. Su questa base, à la guerre comme à la guerre, avrei scommesso che americani e britannici avrebbero mobilitato tutte le proprie energie, per far accorrere il Fondo Monetario a sostegno dell’Irlanda.
Non è andata così. Purtroppo, franco-tedeschi ne ottengono l’ennesima conferma che l’euroarea può continuare ad andare avanti mettendo nel mirino uno dopo l’altro i Paesi esposti, al servizio dell’europrimato germanico e con la scappatoia offerta ai francesi di non prevedere rientri quantitativi del debito pubblico come tetti dichiarati ex ante in assenza del cui raggiungimento scattino sanzioni automatiche. Come capisco gli irlandesi capisco anche i tedeschi, forti delle scelte che hanno fatto su rigore pubblico e produttività privata. Purché sia chiaro che alla fine l’euro su questi presupposti non reggerà. E che presto verrà il turno dell’Italia, dopo il Portogallo. Perché non abbiamo bolle né banche esplose, ma cresciamo troppo poco e a quel punto il mercato penserà che senza un giogo al collo il debito pubblico non scenderà mai. Ci pensa, la politica italiana? Pronta com’è a dire che a quel punto la colpa è stata solo di chi ha invece frenato la spesa pubblica, non mi pare proprio. Credo anzi che in molti ci sperino, nell’Italia presto al posto dell’Irlanda. Allacciate le cinture.
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