Nel 1983, quando gran parte d’Europa erano state adottate leggi
che liberalizzavano l’aborto, gli irlandesi introdussero nella costituzione,
tramite referendum, un articolo che prevede l’eguale diritto alla vita per la
madre e per il figlio, che viene definito “unborn”, ossia non nato.
Quello che è ormai conosciuto come l’ottavo emendamento in
realtà non menziona esplicitamente l’aborto e tutela il non nato in tutti gli
ambiti a rischio ma, di fatto, vieta l’interruzione della gravidanza a parte
nel caso di pericolo per la vita della madre.
Con il tempo, le interpretazioni della Corte Suprema hanno
in qualche misura limitato la portata dell’emendamento. Ad esempio, la Corte ha
dichiarato che la protezione costituzionale non riguarda gli embrioni prima
dell’impianto e pertanto quelli creati in laboratorio tramite fecondazione
artificiale non rientrano nella definizione di “unborn”, non nato.
Nel 2015 è stata introdotta una legge che permette l’aborto
non solo quando c’è un sostanziale pericolo per la vita della madre ma anche in
caso ci sia rischio di suicidio.
Nonostante questo, i numeri di aborti è molto basso, circa
25 l’anno. Le irlandesi che desiderano
abortire vanno nella vicina Inghilterra, o più raramente in altri paesi. Il
numero di casi tende a scendere ogni anno e al momento è di circa 3,500 donne
con indirizzo irlandese. A queste di devono aggiungere quelle che hanno accesso
alle pillole abortive tramite internet, che pare sia in crescita. Anche volendo
ammettere molto generosamente che queste siano circa 2.000, basandosi su dati
forniti dalle organizzazioni che spediscono pillole via posta, il tasso di
abortività irlandese sarebbe intorno al 5,7 su mille donne d’età 19-44. Tra i
più bassi d’Europa e circa un terzo di quello inglese che è di 16 per mille.
L’inghilterra, essendo culturalmente la nazione più vicina, è spesso
considerata come termine di paragone.
Questo tasso prova che l’ottavo emendamento ha funzionato:
ha evitato di fatto che si diffondesse una cultura abortista. Pur non potendo
vietare l’aborto all’estero, la legge esprime uno stigma sociale e la mancanza
di cliniche locali in qualche modo rende più difficoltoso, e quindi
disincentiva, il ricorso all’aborto.
Le pressioni per un cambiamento della costituzione sono cresciute
nel corso degli anni, e sono arrivate non solo dagli attivisti locali ma anche
da organizzazioni internazionali, incluse alcuni comitati dell’ONU.
Lo scorso anno si è scoperto che la Soros Foundations aveva sovvenzionato
illegalmente tre organizzazioni irlandesi. I finanziamenti esteri per campagne
politiche non sono ammesse e l’agenzia di controllo (SIPO) ha preteso la
restituzione delle somme. Due organizzazioni hanno adempiuto alle richieste
della SIPO mentre Amnesty International ha aperto un contenzioso legale che non
si è ancora concluso, sostenendo che i 137.000 euro erano stati utilizzati per
campagne informative e non politiche. Questo è solo il più evidente esempio di
pressione internazionale illecita.
Una lunga e ben orchestrata campagna ha convinto questo
governo a convocare una assemblea di 100 cittadini, scelti con metodi ambigui,
per valutare possibili proposte di cambiamento della Costituzione. La Citizens’
Assembly, per nulla statisticamente rappresentativa, ha raccomandato un
referendum abrogativo e una serie di proposte così liberali da sorprendere lo
stesso governo. A questa assemblea è succeduta una commissione parlamentare,
anch’essa molto criticata per mancanza di equilibrio, che ha supportato la
richiesta di referendum e leggermente ridimensionato le proposte precedenti.
Le semplice abrogazione dell’ottavo emendamento non sarebbe
sufficiente a regolamentare l’aborto e pertanto il governo ha presentato una
proposta di legge, da approvare eventualmente dopo il referendum, che prevede
aborto su richiesta fino alla dodicesima settimana. Dopo la dodicesima
settimana l’interuzione di gravidanza sarebbe ammessa per la salvaguardia delle
salute fisica o mentale della madre, senza limiti gestazionali, ossia fino alla
nascita. Si tratterebbe di una legge persino più permissiva di quella della
vicina Inghilterra, dove una gravidanza su cinque finisce abortita.
In realtà, un esito favorevole del referendum non precluderebbe
possibili variazioni in Parlamento alla proposta di legge. In qualche modo la
differenza finale tra i due schieramenti e, in particolare una vittoria molto
ristretta del Sì, potrebbe comportare una legge un po’ meno permissiva.
I partiti di sinistra, ossia dell’opposizione, sono tutti favorevoli
alla rimozione dell’emendamento costituzionale e sostanzialmente contenti della
proposta di legge. È un po’ più variegata, invece, la posizione del
centro-destra.
Il governo attuale è formato da una coalizione di
indipendenti e dal partito centrista Fine Gael. Non avendo una maggioranza,
sono sostenuti esternamente dal partito di centro-destra Fianna Fail. Il
governo è unito a difesa del referendum ma presenta divisioni riguardo la successiva
legge. Il vice-primo ministro Simon Coveney, è il più autorevole esponente del
governo che ha espresso riserve sul limite delle dodici settimane. Altri membri
sembrano condividere le stesse perplessità. I partiti di centro destra hanno
concesso libertà ai propri parlamentari e un buon numero di questi, in
particolare nel Fianna Fail ha preferito non esprimersi oppure sostengono
apertamente l’ottavo emendamento.
Nel 2015, quando un referendum introdusse il matrimonio tra
persone dello stesso sesso, i parlamentari che si opposero si contano sulle
dita di una mano. Questa volta invece almeno un terzo si oppone alla revoca
dell’ottavo emendamento e ciò dà qualche speranza in più al mondo prolife.
L’esito del referendum non è scontato e se dovesse vincere
l’opzione pro-life sarebbe un segno incoraggiante per il resto del mondo.
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