lunedì, dicembre 17, 2018

PENSIERINO PRENATALIZIO

Non posso dire che “in pieno XXI secolo, siamo tornati indietro”, in quanto non ho l’orologio della storia in tasca, non sono esattamente uno storicista (né sono sicuro di esserlo mai stato) e, se apprezzo molto il progresso (nel senso scientifico e tecnologico), non credo affatto che tale concetto sia trasferibile alla società e all’etica nel loro complesso. Quindi non dirò che, in tanti campi e fra l’altro in quello del confronto di civiltà diverse, “siamo tornati indietro”, o che in passato “eravamo più avanti”: sono giudizi oziosi e inutili ancor prima di essere idioti. Ogni fase della nostra civiltà ha la sua cifra e i suoi valori: possiamo anche divertirci a confrontarli, se vogliamo, ma è tempo perso. Se c’è una cosa che l’antropologia culturale ci ha insegnato è che ciascuna cultura dev’essere giudicata non nel confronto con le altre (confronto che storicamente in realtà avviene, con esiti vari: tra i quali talvolta può esserci anche lo “scontro”, che comunque non è mai totale né definitivo né assoluto), bensì iuxta sua propria principia. Il che non è “relativismo”, termine negli ultimi tempi passato dal linguaggio propriamente etico-filosofico  a quello politico-demagogico e con risultati quanto meno ridicoli: è “relatività”.
Ma, a proposito del confronto – poniamo tra secolo XII e secolo XXI –, sentite questa storia, a qual che ne sappiamo vera, accaduta otto secoli fa.
L’imperatore Federico II, in occasione della sua crociata, visitò nel 1229 Gerusalemme, ospite del sultano ayyubide d’Egitto al-Malik al-Kamil nipote del Saladino. In quell’occasione si stabilì un trattato che dovrebb’essere ancor oggi esemplare, se Dio una volta di più non avesse ohimè tolto la ragione a coloro che Egli ha deciso di perdere. Si decise difatti che Gerusalemme dovesse divenire “città aperta”, libera da fortificazioni e da presidi militari, pur restando in una regione che il sultano d’Egitto allora con sicurezza controllava, e che tutti gli adepti delle tre religioni scaturite dal ceppo di Abramo vi avessero libero e sereno accesso come pellegrini, in pace e in mutuo rispetto. Tale regime durò circa quindici anni: poi, nel 1244, l’incursione di un massiccio gruppo di genti che dal Kwarezm era stato costretto (le solite Vőlkerwanderungen, esito del terremoto causato tra Asia centrale ed Europa orientale dalle conquiste di Genghiz Khan e dei suoi eredi) a spostarsi attraverso la Persia e a cercar asilo in terra musulmana, sommerse anche la Città Santa, sottoponendola a un massacro e a un saccheggio forse meno deleterio di altri, comunque pesante: in seguito a ciò, Gerusalemme tornò sotto gli ayyubidi d’Egitto, che del resto di lì a poco avrebbero dovuto affrontare prima la crociata di san Luigi, quindi il colpo di stato dei loro “servi-guerrieri”, i mamelucchi, il sultanato dei quali sarebbe restato in piedi fino al 1517 circa per esser poi sostituito da quello ottomano d’Istanbul.
Ma torniamo al 1229 e a Federico II. Un cronista arabo che gli specialisti giudicano attendibile narra di come, dopo aver passato una notte in città (è presumibile ma non certo che fosse ospitato nella fortezza detta “di Erode” che sovrastava la porta occidentale, la “Porta di Giaffa”), si svegliasse contrariato. Mandò a chiamare il qadi, vale a dire il capo dei giurisperiti cittadini, al quale evidentemente spettava l’onere dell’ordine pubblico, e gli chiese perché, quella notte, non avesse udito la voce del muezzin che chiama i fedeli a interrompere il sonno per la preghiera notturna, una delle cinque canonicamente previste. Il qadi rispose di aver disposto l’interruzione di quella pratica per consentirgli di riposare sereno e perché riteneva che la voce d’una religione a lui estranea lo disturbasse. Federico replicò che uno dei suoi desideri più vivi, venendo a Gerusalemme, sarebbe stato proprio quello di ascoltare il richiamo del muezzin nella notte; e aggiunse che se il qadi avesse voluto venir a rendergli visita a Palermo egli lo avrebbe accolto con gioia, ma non per questo avrebbe disposto mai che le campane tacessero nelle ore canoniche per non disturbare la sua sensibilità.
Ora, non pretendo certo che politici e magari anche docenti italiani del XXI secolo siano più intelligenti e lungimiranti di Federico II e del qadi di Gerusalemme; e accetto volentieri anche il fatto che Matteo Salvini sia interessato ad ascoltare l’appello notturno alla preghiera musulmana più o meno come io sarei interessato ad ascoltare un DVD dei discorsi di Umberto Bossi a Pontida. Siccome siamo sotto Natale e in questo periodo  bisogna essere buoni, non dirò quel che penso a proposito della recente, ennesima, penosa polemica riguardante il presepio (lo dico alla toscana: lo so che sarebbe più corretto dire “presepe”), il rispetto dovuto agli appartenenti a religioni diverse dalla cristiana e/o a confessioni differenti dalla cattolica, le esternazioni dell’attuale ministro degli Interni – in un momento nel quale è vittima di un evidente delirio di onnipotenza, disturbato tuttavia dalle prospettive di un futuro che lo costringerà a metterle da canto – a proposito della “tradizione” e della “Chiesa di estrema sinistra” e il delirio di qualche prete che, nel penoso tentativo di ostacolarne la resistibile ascesa, chiede ai fedeli di non fare il presepio semplicemente perché lui lo ha raccomandato nel momento stesso nel quale dispone nei confronti dei migranti provvedimenti che vanno contro i princìpi della carità cristiana.
Credo che la sempre più sparuta schiera degli italiani di qualunque idea politica ma non ancora privi di un minimo di cultura e di buon senso si renda conto anche da questa pietosa polemica di quanto sia sempre più umiliante il livello al quale sta scendendo la vita politica di oggi, con le relative polemiche. Mi limito a ricordare quel che al riguardo disse una volta papa Giovanni Paolo II (e non mi risulta che papa Francesco lo abbia mai esplicitamente o implicitamente contraddetto): il miglior modo di rispettare e perfino di onorare le tradizioni altrui consiste nel rafforzare i legami con la propria. Ciò vale, quanto meno, per chi a tale tradizione non abbia rinunziato: ma se in qualche modo l’ha dimenticata o rinnegata, è molto difficile che possa strumentalmente resuscitarla per contrapporla a quelle altrui.
Gramsci e Mussolini avevano capito benissimo che se c’è qualcosa che teneva insieme gli italiani e che costituiva la loro autentica e profonda identità, quella era la fede cattolica evidentemente incarnata dall’autorità e dalle tradizioni liturgiche della Chiesa di Roma. Ciò, d’altronde, appartiene alle mémoires d’Outretombe: quello che non erano riusciti a fare né il massonismo risorgimentale, né le varie forme dell’anticlericalismo-anticristianesimo-ateismo politico e filosofico dell’Otto-Novecento, sono riusciti egregiamente a farlo più o meno sette decenni di crescente corsa unilaterale ad denaro e al benessere, di disprezzo strisciante e indiscriminato del passato, di mode esterofile diffuse e incontrollate, di cultura indiscriminata di tutti i diritti possibili (della donna, del bambino, degli animali, dell’ambiente, della natura eccetera) senza riguardo alcuno per i correlativi doveri; di “cultura” (diciamo così) del “vietato-vietare” e del “corpo-è-mio-e-lo-gestisco-io”). E ora che, con l’avvento della società multiculturale o di qualcosa che le somiglia, ci troviamo a confrontarci con dei poveracci che mancano di tutto ma che a loro volta hanno quanto meno (ma, non illudetevi: la stanno perdendo anche loro) una qualche identità culturale, è illusorio sperar di poter recuperare tempo e occasioni perduti inalberando crocifissi e presepi nelle scuole. Il pluralismo di una società, come si usa dire, “laica”, vuole che credenti e non-credenti si confrontino: apertamente, lealmente, e senza sotterfugi. Chi auspica il crocifisso e il presepio nelle scuole e magari in tutti i pubblici uffici (io sono tra questi), cominci con l’assicurarsi che entrambi ci sono in casa sua, quindi passi a persuadere i suoi concittadini che quei due oggetti sono una garanzia di civiltà che è indispensabile mantenere. Il cristiano di oggi – e spero che se ne rendano conto lucidamente anche gli amici di “Nigrizia” e di “Famiglia cristiana” – non deve mai perdere di vista il fatto che, ormai, viviamo in una società “occidentale” in larga parte atea o agnostica, comunque decristianizzata; e che il nostro dovere di cristiano-cattolici è il testimoniare la fede vivendo nel proprio mondo come in territorio di missione, in partibus infidelium. Quanto ai non-cristiani convinti che il cristianesimo, come tutte le altre religioni, vada spazzato via dalla società come il residuo (non importa se glorioso o infame) di un passato ormai definitivamente tale, e che in omaggio alle loro convinzioni lottano contro il crocifisso e/o il presepio nelle scuole e nei luoghi pubblici, facciano la santissima cortesia di chiamare le cose con il loro nome, come fino a non troppi anni fa usavano del resto più o meno fare: oggi, per portar avanti il loro disegno “laicistico” e più propriamente antireligioso, si sono inventati che crocifisso e/o presepio potrebbero turbare le menti dei bambini musulmani che frequentano le nostre scuole e offendere le loro famiglie.
Per chiarire in pochi punti quel che personalmente ritengo e che posso testimoniare dati i miei ormai oltre quindici lustri di esistenza, dei quali circa tredici (fin da quando, ragazzino, mi appassionavo ai racconti salgariani sui “tigrotti di Mompracem” e al cinema andavo matto per le avventure del Ladro di Baghdad) spesi in un modo o nell’altro in compagnia dell’Islam, ecco quanto mi sento di dichiarare molto semplicemente in questi giorni di Avvento:
  1. Come cattolico, auspicherei beninteso un mondo pieno di chiese; ma come cattolico del XXI secolo, ben conscio dell’iter della mia e delle altrui culture anche perché il mio mestiere sta nell’occuparsi dell’una e un po’ anche delle altre, non mi dà alcun fastidio che ci sia chi va a pregare in sinagoga, o in moschea, o in templi buddhisti o induisti o jainisti o sikh o bahai o shintoisti o animisti di sorta; come non mi danno alcun fastidio né quelli che si riuniscono a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell’umanità e dell’umanitarismo nelle logge massoniche, né quelli che non ritengono di aver bisogno di nulla di tutto ciò. Non sarei nemmeno contrario in linea di principio ai luoghi di culto satanisti, se fossi certo che in essi nulla d’illecito e di contrario alla legge viene commesso. Non posso tacere che leggermente sui nervi mi danno le famigliuole che alla domenica, invece che alla messa o a visitare un museo o magari fuoriporta per una sana scampagnata, vanno in ammirata schiera ai Centri Commerciali per adempiere gli unici riti che conoscono, quelli del comprare e del desiderar di comprare generi vari di consumo: ma, dal momento che ciò non è contro le legge – anzi, è molto favorito da leggi fatte da gente che è “comitato d’affari” delle lobbies che da tali riti traggono arricchimento –, subisco tale consuetudine, magari in paziente e segreta attesa di tempi futuri nei quali una provvidenziale e benefica tirannia abbia la forza e la lucidità di vietarla.
  2. Come cattolico che cerca di conoscere sempre meglio l’Islam e che frequenta molti amici e conoscenti musulmani, testimonio senza tema di smentite che non ho mai sentito nemmeno uno di loro che ce l’avesse con il crocifisso o che si sentisse offeso dal presepio; e mi risulta che molti imam si sono chiaramente espressi in questo senso. Certo, può darsi che mi sia imbattuto in ipocriti mentitori: escludo categoricamente che tutti lo siano. So d’altronde bene che esistono centri di propaganda “fondamentalista” nei quali si coltiva una sensibilità diversa, in una gamma che va dalla semplice intolleranza alle pulsioni e magari ai programmi di tipo terroristico: mi limito, per quanto ne so, a ritenere che si tratti di una minoranza sparuta per quanto purtroppo in crescita (come sono in crescita “fondamentalismi” e in genere atteggiamenti criminosi d’ogni genere: il che è nel tristo spirito e nella sciagurata logica dei tempi nei quali viviamo, tempi di continuo dolciastro pacifismo a chiacchiere e di violenza diffusa e sovente narcogenita violenza, tempi di “stati di coscienza alterata” a loro volta effetto di generalizzata illegalità e di altrettanto generalizzate fonti d’illeciti guadagni all’affermarsi dei quali non è stata né è ancora oggi estranea la cultura per permissivismo diffuso e l’altrettanto generalizzata rinunzia, da parte almeno delle due ultime generazioni, a quello che molti ritengono un diritto (e ch’è invece un sacrosanto dovere) di educare le generazioni future, delle quali esse portano la responsabilità
  3. Quanto ai migranti, il dovere umano (e non soltanto cristiano) di ausilio e di ospitalità (ne parlavano già la Bibbia e l’Odissea) è inderogabile: e non ci sono quote d’accoglienza né Italians first che tengano. Il nostro è un tempo di situazioni eccezionali; o meglio, l’eccezionalità del nostro tempo (ogni epoca ha avuto le sue) consiste in questo, ed è semplicemente ridicola prima di essere infame la distinzione tra “profughi” in fuga da “guerre e dittature” e gente che fugge alla fame e alla miseria, tanto più che si tratta di una fame e di una miseria in larga misura determinate dai meccanismi di produzione della ricchezza che tra secolo scorso e secolo presente sono gestiti dai “soliti noti”, i veri padroni del mondo, i lorsignori che periodicamente celebrano i loro riti à la mode nella ridente cittadina di Davos; così come è semplicemente ridicola oltre che impossibile la proposta di “rimandarli a casa loro”, dal momento che la “casa loro” di molti non sappiamo con precisione né possiamo appurare nemmeno quale sia. Quando uno o una arrivano da noi e sono affamati, assetati, nudi, ammalati o feriti, il primo irrinunziabile dovere è accoglierli e curarli: poi si può fare tutto il resto, compreso il rimandarli indietro nella misura in cui ciò è umanamente possibile; e di molti di loro, come tutti sanno, noi abbiamo bisogno; mentre l’esercitare su di loro uno sfruttamento (anche solo il lavoro nero) è un’infamia che va sradicata col ferro e col fuoco. Ciò non toglie, anzi esige che si elaborino mezzi e sistemi comunitari affinché l’emergenza emigranti sia affrontata tenendo presente anche quella della sicurezza e della stabilità di chi le accoglie. L’una esigenza non elide l’altra: anzi, si tratta di esigenze complementari. Chi viene accolto, gode di un principio umanitario irrinunziabile e ineludibile; e deve adeguarsi alle leggi e alle consuetudini di chi lo accoglie. Come l’unica via di rispettare le tradizioni e l’identità altrui sta nell’imporre e nel difendere il rispetto delle proprie, allo stesso modo l’unica possibilità di esercitare il dovere d’accoglienza sta nell’imporre rigorosamente la disciplina di chi viene accolto.
  4. Per quel che riguarda i musulmani, un grande studioso ch’era anche un vero uomo di Dio, il francescano padre Giulio Basetti Sani, ch’era allievo di Louis Massignon e che io annovero tra i miei più cari Maestri, compose una Preghiera per i musulmani, auspicandone ovviamente la conversione al cristianesimo. Ecco in che modo essa inizia: “Gesù, Verbo incarnato e Figlio di Maria, noi Ti preghiamo per i seguaci dell’Islam. Essi Ti riconoscono come ‘Parola di Dio’, come Profeta dell’Altissimo e vero Messia; essi onorano la Madre Tua come Vergine purissima che Ti ha concepito per opera dello Spirito Santo”. Questo è quel che i veri e buoni  musulmani sanno e sentono a proposito di Gesù di Nazareth: che poi vi siano musulmani che ignorano questa verità, data l’ormai dilagante ignoranza che riguarda loro non meno che i laici e in genere la stragrande maggioranza degli abitanti di questo pianeta, nulla da meravigliarsi o da scandalizzarsi. I non-musulmani, credenti o agnostici o laici che siano, dovrebbero tener presento questo rapporto obiettivo tra cristianesimo e Islam.
  5. Ho ascoltato la prima volta l’appello del muezzin molti decenni or sono in un piccolo villaggio della Turchia europea: non quello notturno, bensì quello di mezzogiorno. Non era “a viva voce”, bensì diffuso da un altoparlante. Mi commosse comunque profondamente. Ancora oggi, quando mi càpita di tornare a Gerusalemme, aspetto sveglio la preghiera di mezzanotte: in onore dell’imperatore Federico e della sua gloriosa memoria.
  6. Tra le consuetudini che ho adottato e rispetto, ce n’è un’altra che riguarda l’Islam. Ogni volta che torno a Istanbul dedico un po’ di tempo alla visita della “Moschea Blu”, quella dinanzi alla piazza dell’Ippodromo. E ripeto un rito che mi capitò d’inaugurare nel 1973, la prima volta che vi entrai: mi seggo sui talloni, “alla musulmana” (finora l’artrosi mi ha consentito di farlo) accanto a una colonna, sempre quella, estraggo dalla tasca sinistra dei calzoni il rosario di mia nonna che porto sempre con me e lo recito. Molti, fedeli e turisti, mi hanno visto in tali circostanze; nessuno mi ha mai interrotto o distratto dalla mia preghiera: ed è chiaro che sono un cristiano, perché dal mio rosario pende una piccola croce. Ma una volta, mentre pregavo, mi si avvicinò un anziano signore modestamente vestito. Era magro, curvo, si aiutava con un bastone. Lo depose a terra, si sedette sui talloni come me e mi chiese che cosa facessi: gli risposi che pregavo Dio e la Vergine Maria alla maniera cristiana ed egli mi chiese gentilmente di poter vedere la mia corona. La tenne con rispetto e devozione fra le mani; quindi estrasse dalla tasca sinistra dei suoi calzoni la sua misbah e mi pregò di riprendere la mia preghiera mentre egli, sui grani del suo oggetto rituale, recitava i Novantanove Santi Nomi di Dio. Uscimmo insieme e ci salutammo senza parole, con un abbraccio.
  7. Il mio Maestro, padre Giulio Basetti Sani, oltre che dotto islamologo, era un grande ammiratore dell’Islam: al punto che molti, anche suoi confratelli, gli rimproveravano quello che secondo loro era un sentimento eccessivo. Una volta, a un interlocutore che in atto di sfida gli chiedeva come mai non si fosse decisamente convertito all’Islam, egli rispose umilmente: “Ma io sono già musulmano!”. In arabo muslim significa difatti, semplicemente, “intimamente disposto a conformarsi alla volontà di Dio”. Ho sempre desiderato essere un perfetto musulmano al pari di padre Giulio.
  8. A chi chiede una definizione sintetica del Corano, rispondete di recitare il Prologo del Vangelo di Giovanni. La Parola, che per i cristiani è il Dio-Uomo, il Cristo, per i musulmani è il Libro. E il missus, che per i cristiani è Giovanni il Battista, per i musulmani – che pur venerano Giovanni stesso – è Muhammad, rasul Allah, “Messaggero di Dio”.
  9. A chi chiede di capir bene i rapporti tra cristianesimo e Islam suggerite di leggere la sura X, la sura di Maria.
  10. Non ci sarà mai assassino del Daesh o di qualunque altra organizzazione criminale – e tantomeno alcuno dei suoi mandanti, sauditi o americani che siano – che riuscirà a farmi dimenticare la lezione di quel vecchio turco nella “Moschea Blu”. Questo è l’Islam. Il resto è nulla.
FC
Questo articolo è stato pubblicato in MC da Franco Cardini 

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