Tornare a Dublino dopo 11 anni è traumatico: la lasci sporca, affascinante e angusta come un cuore piegato dalle troppe delusioni, e la ritrovi, dopo il boom economico, rivestita da una patina di lusso che non riconosci. Chi scrive, undici anni fa per l’esattezza scrisse con amore delle case popolari del Nord malfamato, che cominciava appena alle spalle di O’Connell Street, con i bambini che giocavano nello spiazzale di terra battuta. E allora, romanticherie dell’età, pensava: saranno future glorie poetiche, musicali della nazione riottosa? Terroristi, quello mai. Neanche l’Irlanda povera di allora lasciava pensare al terrorismo: perché Dublino era una città a testa bassa, dove neanche i sogni bastavano più e dove, come accadeva a Jimmy Rabbitte nei Committments, al massimo Wilson Pickett poteva sfrecciarti accanto in limousine. Smessi i panni della sorella povera di Londra, la rassegnazione e l’incubo secolare di essere periferici ha abbandonato Dublino, che ormai - così ti accoglie all’aeroporto - celebra anche le sue glorie scientifiche. Non più solo Wilde, Shaw e Beckett. Grafton Street è ormai diventata una via alla moda, e neanche il Bailey’s è più il pub austero di una volta: è diventato un locale in stile pseudo parigino. E non è l’unico. Il vecchio Bewley’s, su Grafton street dal 1840, chiuderà. Il tempo giusto di prendere un tè per dirgli addio. E anche dentro, tra quei mobili di legno scuro e tra quelle vetrate colorate, si respira l’aria di un benessere che non si ricordava. Temple Bar e George Street sono ormai il passaggio spazio temporale per Londra, Soho, per la precisione.
(Continua su Ideazione)
Nessun commento:
Posta un commento