di Raffaele Alberto Ventura
Beni culturali e violenza politica
La distruzione scientifica del patrimonio archeologico dell’antica civiltà mesopotamica segnala, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la strategia di guerra totale portata avanti dall’autoproclamato Stato Islamico. Ma a chi sono rivolte queste spaventose immagini che mostrano la distruzione di altre immagini, trasformando in icona lo stesso gesto iconoclasta? Qual è il loro pubblico designato? È sempre azzardato ricondurre la motivazione di quello che accade in territori lontani all’effetto che produce sugli spettatori in Europa o negli Stati Uniti, quando invece più spesso si tratta di motivazioni locali con effetti locali. Eppure quelle immagini sembrano prodotte a tavolino per orrificare le platee occidentali, evidentemente più sensibili alla distruzione di una statua che al massacro di migliaia di musulmani o di cristiani. Che siano o meno rivolte a noi, le immagini del museo di Ninive hanno il potere di rivelare due opposte ideologie: la prima è quella di chi milita per la conservazione del patrimonio per via del suo valore universale, e a questo fine promuove strumenti giuridici ambiziosi ma talvolta impossibili da applicare; la seconda è quella di chi individua nel cosiddetto “bene culturale” un segno legato a una specifica identità politica, e finisce talvolta per assorbire quel bene nel conflitto, mettendone a rischio l’integrità o distruggendolo deliberatamente.
Continua qui.
Continua qui.
Nessun commento:
Posta un commento