mercoledì, ottobre 23, 2002

Riprendo questo articolo da Avvenire di mercoledi' 23 ottobre.
Mia madre, ortonese, ricorda bene questi avvenimenti.


Il fronte di Ortona
di Gianni Santamaria


Non c'era la steppa, ma il mare Adriatico. A difendersi casa per casa stavolta non erano i soldati con la stella rossa sul colbacco, ma i tedeschi. Eppure in quel dicembre del 1943 il «generale inverno» unito a una certa approssimazione degli Alleati - che credevano di trovare in Abruzzo un clima «mediterraneo» - e la ferrea volontà dei tedeschi di lasciare avanzare i nemici solo "al centimetro" con perdite gravose, fecero sì che la battaglia di Ortona si trasformasse in un misto di fango e sangue: in una Stalingrado d'Italia. Così si intitola il volume di Marco Patricelli (Utet, pagine 228, euro 15,50) che riporta l'attenzione sull'unica "battaglia urbana" della campagna d'Italia. «E non ci sarà niente di simile sul fronte occidentale», scrive l'autore, che ha già dedicato un volume a vicende "abruzzesi" della Seconda Guerra Mondiale, quello sulla liberazione del Duce al Gran Sasso (Mondadori). Ortona è un episodi o dimenticato, ma nel quale ci furono migliaia di morti per una cittadina che era "strategica" quasi solo per la propaganda, come mostra Patricelli. Il quale utilizza anche le testimonianze diaristiche e in viva voce dei protagonisti. Sia ortonesi - trovano spazio le testimonianze dei civili presi in trappola e le vicende del paese distrutto, come ad esempio quella della chiesa di San Tommaso apostolo, ridotta a uno scheletro - che reduci tedeschi e canadesi. Il Natale di sangue iniziò quando le avanguardie della compagnia D del reggimento Edmonton raggiunsero la periferia di Ortona il 20 dicembre. Dopo una lotta casa per casa - con i tedeschi asserragliati in punti strategici dopo aver minato molti punti - arrivarono in città. Negli stretti cunicoli che un tempo erano strade i carri armati passavano a fatica. E risultò subito chiaro agli occhi dei canadesi ciò che uno storico militare, Roch Legault, ha teori zzato della battaglia urbana: «Un combattimento destinato a degenerare e al di fuori di ogni controllo [...] costosissimo in termini di vite umane». «Tutto ciò che è successo prima di Ortona era una favola per bambini», scriverà il generale alleato Chris Vokes. Infatti, l'avanzata delle truppe di Montgomery, l'eroe di El Alamein, con la sua VIII Armata era stata indolore fino in Abruzzo, dove i tedeschi di Kesselring avevano iniziato una strenua resistenza, mettendo in campo le loro unità migliori, i paracadutisti: la Zentimeterkrieg, la guerra per difendere ogni centimetro. Gli Alleati, poi, avevano compiuto errori strategici (Montgomery era prudente al contrario del sanguigno Patton): non avevano sferrato il colpo quando i tedeschi erano vulnerabili. Petricelli ricostruisce tutte le tappe di avvicinamento: dalla battaglia sul fiume Moro, alla presa di Casa Berardi, un casino di caccia che fungeva da punto di controllo (i canadesi pagaro no un alto prezzo per conquistarlo), fino alla battaglia urbana vera e propria. Che si concluse con la ritirata dei tedeschi il 28 dicembre. L'obiettivo vero, Roma, sarebbe però stato raggiunto sfondando a Occidente dopo un altro tragico capitolo della Campagna d'Italia: Montecassino. Nelle sue memorie intitolate Da El Alamein alla battaglia del Sangro Montgomery sembra dimenticarsi di Ortona. Perché? Sia che si consideri Ortona come esito finale della battaglia del Sangro (inframmezzata da quella del Moro) sia come episodio a sé, il generale inglese non ne andò fiero, perché per lui «non rappresentava una battaglia vera». E, conclude Patricelli, neanche necessaria. Solo una "utile" prova di forza. Da una parte gli Alleati sbandieravano una facile presa di Roma (il vero obiettivo) tutt'altro che scontata; dall'altra i tedeschi volevano mostrare di poter resistere sulla linea Gustav. E si infi larono così in un vicolo cieco per un braccio di ferro costato troppe vite.

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