L'altro come assente La banalizzazione della vita
di Eugenia Roccella
Nella legge italiana, e nella gran parte dei documenti internazionali sui cosiddetti diritti riproduttivi, si specifica che l’aborto "non può essere utilizzato come mezzo di controllo delle nascite". In realtà l’interruzione volontaria di gravidanza sta diventando il mezzo più comune per regolare la natalità, non solo nei paesi terzi, ma anche nell’area occidentale.
Negli anni della rivoluzione sessuale e delle lotte femministe, ci si aspettava che l’informazione e la diffusione dei metodi contraccettivi avrebbero fatto scendere drasticamente le percentuali del ricorso all’aborto. E’ avvenuto esattamente il contrario: per un paradosso che a rigor di logica appare inspiegabile, accade che paesi come la Svezia, in cui gli anticoncezionali sono d’uso comune, abbiano un numero di aborti tra i più alti in Europa, e che complessivamente il livello degli aborti stenti a diminuire, o addirittura aumenti. I comportamenti umani, più che rispondere a una ferrea razionalità, seguono i processi di adattamento culturale; la banalizzazione dell’aborto, che viene proposto come un "diritto", lo rende sempre meno una scelta consapevole, e sempre più un’opzione automatica, svuotata di risvolti etici. Gli elementi di conflitto, come la realtà dell’eliminazione dell’embrione o del feto, le sue sofferenze, la sua stessa presenza, tendono ad essere oscurati, ridotti ad argomenti indicibili o marginali. Nella scelta di abortire, sempre più "l’altro" è assente, è un fantasma a cui non si deve alludere, per non aumentare il disagio e il dolore della donna.
Non credo che questa sorta di eufemismo delle coscienze porti a una vera riduzione del danno per le donne che abortiscono, al massimo a una rimozione, a una clandestinità del conflitto emotivo. Il processo culturale di banalizzazione ha però conseguenze di altro tipo: per esempio permette che i nuovi metodi anticoncezionali si avvicinino sempre più alle pratiche abortive, fino ad annullare ogni distinzione. La stampa salutava ieri l’int roduzione in Italia, ancora in via sperimentale all’Ospedale Sant’Anna di Torino, della RU 486 (la pillola abortiva) come una conquista femminile, un nuovo "abortirai senza dolore". Più che altro si tratta di un aborto meno costoso per le strutture sanitarie pubbliche, perché praticabile in day hospital, ma molto pesante per le donne. La RU 486 viene somministrata insieme ad antidolorifici, sotto stretto controllo medico, perché non è certo priva di controindicazioni. Ma non è questo il solo problema. Si continuano ad infliggere ferite all’idea di maternità, insistendo su metodi contraccettivi che ne bistrattano e svalorizzano il senso. Aborto e contraccezione si confondono fino all’indistinzione: pillola abortiva, pillola del giorno dopo, pillola contraccettiva… Difficile operare vere distinzioni tra ormoni che impediscono l’impianto, che provocano l’espulsione dell’embrione, o che impediscono l’ovulazione. Un nuovo metodo, in fase di sperimentazione clinica, dovrebbe impedire l’impianto grazie alla risposta immunitaria a una proteina prodotta dall’embrione: si chiama vaccino anti-hCG, o immunocontraccezione: dal rischio di maternità, come da quello del vaiolo, ci si potrà vaccinare. La contraccezione abortiva non solo mira ad utilizzare forme di aborto "leggero" come mezzo di controllo delle nascite, ma, mascherandone il significato di morte, rende l’aborto, non solo di fatto, ma anche sul piano simbolico ed etico, un anticoncezionale come gli altri.
1 commento:
Come puoi immaginare da donna mi addolora tantissimo leggere di questa notizia....
l'aborto indolore? Come si può definirlo tale?
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