Viaggio a San Benedetto del Tronto, dove un piccolo popolo ha messo in piedi una minuscola, gigantesca sfida al potere costituito nel nome della libertà di educare. Alla bellezza
Tutto cominciò con una volonterosa guida scout che notò la foto in bianco e nero di un giovane elegante il cui volto comunicava un’inspiegabile sintesi di serietà e allegria, appesa al muro di una casa famiglia dove andava a fare caritativa con orfani e bambini di famiglie in difficoltà. «Chi è quello?», chiese al santo prete che di quel rifugio era l’anima e l’artefice, e che pure negli anni ebbe a soffrire di invidie e provvedimenti disciplinari sproporzionati. «È un bravo ragazzo», rispose quello senza aggiungere altro. Lo scout non si diede per vinto. Cercò di saperne di più e si imbatté nel libro scritto da un sacerdote torinese, don Primo Soldi: Verso l’assoluto. Pier Giorgio Frassati. Nei 24 anni della sua breve vita quel rampollo dell’alta borghesia liberale torinese, figlio dell’allora proprietario e direttore della Stampa e poi ambasciatore a Berlino, lasciò un tale segno che il 20 maggio 1990 Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato. La spiritualità di Frassati è integrale: preghiera e vita sacramentale intense, dedizione personale senza limiti al bisogno dei più poveri, impegno politico per la giustizia e in difesa della libertà. Il tutto proposto agli amici e alle amiche come contenuto di una stringente amicizia cristiana. E quella frase formidabile scritta in una lettera a un amico: «Vivere senza fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere una lotta per la Verità non è vivere ma vivacchiare…». «Uno così, come si fa a non voler essere come lui?», si chiese il giovane Marco Sermarini da San Benedetto del Tronto. E iniziò la sua “imitatio”. Cominciando dal clan di cui era la guida: poche settimane, e i ragazzi da cinque erano diventati una quarantina. Nello stupore invidioso di alcuni capi.
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