Sul conto del cardinale Henry Edward Manning (1808-1892), il grande arcivescovo di Westminster che difese l’infallibilità pontificia durante il Concilio Vaticano I e che fu tra gli ispiratori della moderna dottrina sociale cattolica, continuano a circolare parecchie inesattezze. Complice la rivalità con Newman – decretato vincitore dalla storia –, Manning, quando non ignorato, è derubricato a stereotipo del porporato “politico”, un uomo che fu poco incline alle questioni spirituali, ma più che altro interessato alla carriera e ad accumulare potere. Si tratta, ovviamente, di una deformazione grottesca della realtà, all’origine della quale vi è l’operato di un biografo malizioso.
Dopo il funerale di Manning, il compito di produrre una sua biografia ufficiale venne rivendicato da un giornalista, Edmund Sheridan Purcell (1823-1899), che sosteneva di aver ricevuto l’incarico dallo stesso cardinale. Definire questa cosa una bugia sarebbe forse troppo, ma certamente si trattava di una mezza verità.
Purcell era stato direttore di un periodico cattolico, la «Westminster Gazzette», che Manning aveva fondato nel 1866. All’epoca, almeno per un breve periodo, il nome del giornalista figurava tra quelli dei sostenitori del prelato, specialmente per quanto riguardava la questione del potere temporale del Papa (tanto che la «Westminster Gazzette» si attestò su posizioni intransigenti, nettamente distinte da quelle moderate di Newman e sodali). Col tempo, però, Purcell prese le distanze da Manning. Non a caso, nel 1878, quando terminò il suo incarico di direttore a causa della chiusura del periodico, fu costretto a trovare impiego presso editori non cattolici.
Tuttavia, nel 1886, si ritrovò coinvolto nei progetti – poi naufragati – per ricostituire una nuova testata “papista”. Manning, come consolazione, decise allora di offrire a Purcell la possibilità di scrivere un primo volume sulla propria vita. Il cardinale, comunque, non concesse interviste e vietò al giornalista qualsiasi intromissione nella sua corrispondenza privata. Desiderava infatti che suo biografo ufficiale fosse l’amico J. E. C. Bodley (1853-1925), segretario privato di Sir Charles Dilke (tra l’altro aveva già iniziato ad assisterlo nel gravoso compito). Dal momento che Bodley era protestante, gli venne affiancato un sacerdote, padre Butler, per aiutarlo nella trattazione delle questioni inerenti al cattolicesimo.
Manning fece l’errore di permettere a Purcell di consultare il suo diario del 1848 – attentamente purgato – che conteneva un resoconto del suo soggiorno a Roma; concesse all’inopportuno giornalista di leggere anche porzioni di altri documenti e di farne una copia. Purcell interpretò la cosa come un’ulteriore sigillo dell’ufficialità del suo incarico, ritenendosi autorizzato a ficcare il naso ovunque. Il cardinale, ovviamente, non aveva alcuna intenzione di accordargli una tale libertà, e quando venne a sapere che il giornalista aveva con sé uno dei suoi diari privati, gli mandò messaggi su messaggi per recuperare il prezioso quaderno. Come mai, giunti a questo punto, Manning non ponesse un freno definitivo alle aspirazioni di Purcell, rimane un mistero: molto probabilmente credeva di essere sufficientemente al sicuro dopo l’accordo con Bodley.
Purcell, dal canto suo, sapeva di avere per le mani una gallina dalle uova d’oro e non aveva alcuna intenzione di cedere. Dopo la morte di Manning fu così abile che convinse tutti di essere il suo biografo ufficiale (anche se non vi era alcuna menzione di lui nel testamento). Solo quando una buona metà delle carte del cardinale era stata sottratta, ci si accorse del clamoroso errore.
La biografia in due volumi firmata da Purcell, intitolata Life of Cardinal Manning, venne finalmente pubblicata nel 1895 e fu subito un best seller. Per quanto il libro fosse raffazzonato e saturo di inesattezze, l’immediatezza della prosa lo rendeva una lettura sicuramente affascinante. Il problema era che l’immagine del cardinale che se ne ricavava era quella di un uomo ambizioso, privo di scrupoli, desideroso di imporre in ogni modo le proprie idee. Purcell, tra errori e malignità, fece a Manning un pessimo servizio.
Se l’entusiasmo con cui i protestanti accolsero la biografia era prevedibile, non così la timida reazione della maggior parte degli intellettuali cattolici (col senno di poi è possibile spiegare l’accaduto alla luce del fatto che molti di essi erano discepoli di Newman e perciò non avevano una grande considerazione delle opinioni e dell’operato di Manning). Solo Herbert Vaughan, il nuovo arcivescovo di Westminster, osò alzare la voce e definì il lavoro di Purcell al limite del criminoso.
La reputazione dello scomparso cardinale venne definitivamente infangata da Lytton Strachey con la pubblicazione, nel 1918, del suo celeberrimo Eminenti vittoriani (Eminent Victorians). Il primo e il più lungo dei quattro saggi biografici che componevano il volume, dedicato proprio a Manning, era stato infatti compilato cucendo insieme vari brani della biografia di Purcell, il tutto condito con l’ironia velenosa tipica del Bloomsbury Group.
A poco o nulla valsero le tardive reazioni degli apologeti cattolici. A partire dal 1921, data della pubblicazione di Cardinal Manning: His Life and Labours di Shane Leslie, videro la luce diversi testi biografici, accomunati dal desiderio di ristabilire la verità a proposito della vita e delle opere del cardinale. Tali sforzi, però, non furono sufficienti; ancora oggi la figura di Manning seguita purtroppo ad essere avvolta in una cappa di pregiudizi e maldicenze.
Luca Fumagalli
Da Radio Spada.
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