Per "distributismo" intendo la visione secondo cui la proprietà privata dovrebbe essere largamente distribuita nella società invece di essere distribuita in poche mani per fare in modo che più persone, o addirittura la maggior parte, possano prendersi la responsabilità delle proprie famiglie per mezzo di un lavoro produttivo e dignitoso. Questo può essere visto come una espressione pratica o implicazione delle dottrine sociali cattoliche della sussidiarietà nella solidarietà, del bene comune e della famiglia come migliore fondazione di una sana società civile.
Il distributismo non è il socialismo. Non prevede che la proprietà venga rubata al ricco e data al povero, o espropriata dallo Stato, o da un partito che rappresenta il popolo, ma piuttosto che la legge renda facile per il possidente, proprietario terriero, commerciante o negoziante il sopravvivere, e difficile per il magnate accumulare così tanta ricchezza e potere che il predetto [il proprietario/commerciante/negoziante n.d.T.] sia costretto a diventare nulla più che un suo dipendente o, nei fatti, uno schiavo salariato. [1]
Si suppone che gli umani non siano più felici grazie all'accumulo di grandi ricchezze ma attraverso il possesso della libertà, nel senso di autoresponsabilità e autodeterminazione e specialmente libertà di creare e sostenere una famiglia. Ad un uomo dovrebbe essere permesso di stare in piedi da solo e non di penzolare dalla cintura di un altro.
Se questa è una comprensione corretta della natura umana, allora costruire una società dove libertà, responsabilità e proprietà siano ampiamente distribuite non è imporci un'altra ideologia quanto piuttosto liberarci dalle ideologie – liberarci per vivere secondo i migliori istinti umani.
Di fatto il distributismo non è tanto una politica economica quanto una filosofia e un modo di vivere. G.K. Chesterton e i suoi amici, che in origine lo proposero all'inizio del XX secolo, avevano perso fede nei politici e nei partiti e miravano invece ad ispirare un movimento popolare – un movimento spirituale di rinnovamento – a sostegno della famiglia allargata e del "buon lavoro" (per usare un'espressione di E. F. Schumacher).
Qualcosa di simile potrebbe essere affermato nel campo dell'educazione, che nella grande tradizione occidentale è o dovrebbe essere un'educazione a favore della libertà – una educazione "liberale". Nel mio studio in due parti delle sette Arti Liberali che ho completato di recente (Beauty for Truth's Sake e Beauty in the Word), mostro come queste arti si siano evolute come una preparazione della più alta libertà umana che culmina nella contemplazione religiosa e nella santità – il conseguimento di Verità, Bellezza e Bontà. Lo studio di queste sette arti era preparatorio a quello di filosofia e teologia, in cui l'anima poteva ottenere la sua libertà più alta.
Le tre arti del linguaggio consistevano nella reminiscenza dell'essere attraverso la Grammatica, lo svelamento della libertà attraverso la Dialettica, e la comunicazione della comprensione attraverso la Retorica. Le quattro arti matematiche erano dedicate allo studio della forma nel numero, nella figura, nella musica, all'astronomia, e così la scoperta delle armonie di spazio e tempo – "il cosmo" scoperto, forse, da Pitagora.
Il "ri-incanto" dell'educazione non è la semplice reiterazione di quelle antiche categorie, né un tentativo di costringere l'universo a conformarsi a una cosmologia primitiva, ma un rinnovamento della ricerca di armonia e del Logos dentro il complesso mondo rivelato dalla scienza moderna, e la reintegrazione di scienza con arte e le discipline umanistiche attraverso l'apprezzamento dei poteri umani poetici e immaginativi che sono operanti egualmente in entrambi.
Il nostro sistema educativo riflette sempre un particolare sguardo sulla natura umana. Gran parte dell'educazione moderna riflette uno sguardo frammentario, e l'appello che ho cercato di fare attraverso i miei libri è per una visione più olistica. Infatti credo che la natura umana nella sua integrità sia a noi rivelata nella figura di Cristo, sebbene una persona non debba condividere quella fede per riconoscere la comprensione che ne deriva.
Com'è questo "distributista"? Come il distributismo, è basato sulla nozione che potremmo diventare tutti più liberi e quindi più felici (nel senso di "beati") crescendo nella vera libertà, non la semplice libertà di scelta ma libertà di essere capaci di scegliere il bene. Quella libertà è ottenuta dalla distribuzione più ampia della saggezza. Di fatto direi che il distributismo nel senso economico e sociale fallirà sempre se non sarà sostenuto dall'acquisizione più ampia di saggezza, cioè di libertà intellettuale nella verità, dal momento che in ultima analisi è la verità a farci liberi. Così, il successo del distributismo dipenderà molto probabilmente dal riuscito ri-incanto dell'educazione.
Si dà il caso che le scuole stesse costituiscano un target ideale per la riforma distributista. Dal momento che i genitori sono i primi educatori dei loro figli, è appropriato che esercitino la loro responsabilità istruendoli a casa o giocando un ruolo attivo nella scuola locale. Certamente, in molte scuole i genitori potrebbero formare una parte del consiglio di amministrazione, ma una soluzione più distributista sarebbe, per i genitori, possedere la scuola come "corpo" gestendola come organizzazione benefica o cooperativa per il beneficio dei figli, liberi dal controllo governativo.
Nel Medioevo le università ebbero origine come corporazioni possedute e gestite da gruppi di insegnanti o studenti. Oggi molte scuole elementari, medie e secondarie vengono fondate da genitori e insegnanti (la Chesterton Academy ne è un esempio evidente) o vengono liberate dal controllo statale. Questi esperimenti meritano la nostra attenzione e il nostro incoraggiamento. In molti modi il futuro del distributismo e forse, in un certo modo, della civiltà stessa, dipende dal loro successo.
Note
Note
[1] Il distributismo è meno irrealizzabile di quanto spesso non si ritenga – benché dipenda, come dico più avanti, nella presenza di un certo spirito di cooperazione. In paesi meno sviluppati è eminentemente pratico, e anche nell'Occidente sviluppato potrebbe suggerire alternative praticabili a un sistema economico senza dubbio sull'orlo del collasso. Alcuni di questi approcci alternativi al mondo bancario e degli affari sono riportati nell'enciclica Caritas in Veritate di Papa Benedetto XVI.
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