lunedì, giugno 17, 2019

Francesco e le nuove povertà


Pare ci sia al giorno d’oggi un sacco di gente che vorrebbe imitare E seguire Francesco d’Assisi.  A dire il vero, e giudicando gusti e way of life della gente e specie dei giovani, a parte la barba o l’uso di jeans qua e là strappucchiati (e mi dicono che spesso si tratta di strappi “griffati”), una gran sequela Francisci, una qualche possibile imitatio Francisci a giro per il mondo non la vedo. Mi sembra soprattutto che i grandi ostacoli odierni alla comprensione di una vera vocazione francescana (dico solo “comprensione”: non assunzione di modello o scelta di vita) siano due: l’amore eccessivo quando non addirittura esclusivo di se stessi, qualcosa di più e magari di differente del buon vecchio sordido egoismo, qualcosa che si potrebbe qualificare forse come un individualismo assoluto; e l’attaccamento alla dimensione dell’”avere” contrapposto all’”essere”, che si manifesta non solo come desiderio di danaro e di cose, ma anche come “bisogno” di visibilità, magari di rapporto con gli altri che sia comunque sempre un comandare e un prendere piuttosto che una disposizione non dico a obbedire e a dare, ma anche soltanto ad ascoltare e a comprendere.
Il quadro che da ciò emerge parrà quello di una banale perdita, magari progressiva, di valori cristiani: è il “processo di secolarizzazione”, si dirà; magari è la progressiva scristianizzazione della società, ormai galoppante nella sostanza al di là di forme e di consuetudini, di ipocrisie e di conformismi.
C’è di più. E’ lo stadio fino ad oggi ultimo (ma non è detto sia estremo né finale) raggiunto dal processo di globalizzazione, ch’è il motore della Modernità. I due connotati di essa sono appunto l’individualismo e la “volontà di potenza” riassumibile nell’impulso ad “avere” sempre di più, quindi a guadagnare, a produrre, a  consumare, a distruggere, a costruire, il tutto sneza un fine che sia la riproduzione di questa ruota di dannati. Come fa dire Goethe a Mefistofele: “Sono lo Spirito che nega eternamente”: la negazione – non la sintesi – come centro di un processo dialettico demonicamente teso al Nulla.
Oliver Rey, nel suo magistrale Dismisura, contrappone i due modelli dello heros  traditionalis Ercole che giunto al luogo nel quale le acque del Mediterraneo e quelle dell’Atlantico s’incontrano vi erige due ammonitrici colonne recanti il motto Non plus ultra, e dello heros modernus Carlo V che ad esso sostituirà quello Plus Ultra cancellando dal mondo occidentale la “cultura del limite”.
Ecco, Questa è la Modernità, per quanto Carlo V non ne sia per molti versi un autentico rappresentante: ci vorrà lo stato assoluto, con la sua omologazione dei sudditi, a fare il passo successivo e definitivo per giungervi. E figli più sfortunati dell’individualismo e della “volontà di potenza” che hanno conosciuto dai loro ex “padroni” colonialisti sono per la stragrande maggioranza gli africani che ormai da anni si riversano sulle nostre coste e che spesso non sono i più poveri della loro società, in quanto gli ancor più poveri di loro quei viaggi della speranza non hanno neppure di che pagarseli. Ma il “popolo dei gommoni” conosce il Paese di Cuccagna occidentale attraverso TV e smartphone: e valica il mare inseguendo il sogno della ricchezza e del benessere.
Anche queste sono le “nuove povertà “ del nostro tempo: tali non tanto perché i loro rappresentanti mancano quasi di tutto (sempre meno comunque di quelli che si sono lasciati alle spalle, nel loro continente), bensì perché hanno accettato di barattare il “diritto di primogenitura” della coerente accettazione della sfida che la prevaricazione occidentale ha loro lanciato  impoverendoli, assoggettandoli e strappando loro perfino l’immaginario con il “piatto di lenticchie” della corsa all’appropriarsi delle briciole che cadono dalla mensa dei ricchi o di quelli che loro appaiono tali. Passando da un “centro di raccolta” all’altro e da un “lavoro nero” all’altro, non riusciranno Forse mai nemmeno a cogliere la verità più intima, profonda e disperante della Modernità: il suo non esser mai riuscita a conseguire con successo quella felicità la ricerca della quale è  il punto immanente di arrivo delle nostre carte costituzionali.
Avrebbero bisogno davvero di Francesco. E della sua “vera letizia”.
Franco Cardini

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