Una divisa degli alpini, un carattere leonino e un’uscita a Via del Corso a Roma con la propria ragazza possono cambiare un’esistenza. A maggior ragione se ci troviamo in pieno Biennio Rosso (1919-1920). Giorgio Vaccaro, all’epoca Tenente e non ancora Generale, cammina mano nella mano con la sua fidanzata Iride diretto al Caffè Aragno – luogo definito da Orio Vergani come il “sancta sanctorum della letteratura, dell’arte e del giornalismo” – quando un corteo di socialisti gli sfila davanti. Questi ultimi, avendo riconosciuto la divisa militare, passano in un attimo dall’affronto verbale allo scontro fisico.
Vaccaro, malgrado l’inferiorità numerica, non indietreggia: non può sopportare che qualcuno davanti alla parola “nazionalista” ponga l’aggettivo “sporco”. È un’offesa troppo grande, soprattutto per chi il conflitto mondiale l’ha combattuto e sul petto ha una medaglia d’argento e due croci di guerra. Sulla porta del Caffè Aragno ad osservare la scena c’è Umberto Bottone, conosciuto ai più come Auro D’Alba, poeta futurista molto vicino al fascismo: quest’ultimo, colpito dalla scena, dopo aver soccorso Vaccaro lo invita subito ad iscriversi alle squadre fasciste, le stesse che consentiranno al fascismo di prendere il potere.
Una scelta compiuta e mai rinnegata che segnerà per sempre la sua vita, nel bene ma soprattutto nel male, cestinandolo nel dimenticatoio della storia. «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta» diceva Giampiero Boniperti forse dimenticandosi di Vaccaro, sotto la cui presidenza la FIGC ha portato a casa due coppe del mondo consecutive, nel 1934 e nel 1938, e una medaglia d’oro alle Olimpiadi, nel 1936.
(continua qui)
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