"Capisco Cofferati, che come sindacato deve rappresentare i lavoratori.
Noi pero', come partito, dobbiamo rappresentare anche i datori di
lavoro; percio' Cofferati non puo' pretendere che gli andiamo dietro
senza cercare di pararci il culo". Ecco: in estrema sintesi, e' il
contenuto della famosa intervista con cui Fassino ha preso le distanze
da Cofferati, con gran gioia dei giornali di Berlusconi e grande
perplessita' dei compagni "di base". In realta' e' un ragionamento
onesto, e lo sarebbe anche di piu' se venisse fatto in termini chiari e
aperti e non con lunghi giri di parole. Da questo punto di vista,
meglio Rutelli il quale, senza pretendere di essere di sinistra, dice
tranquillamente: "Cofferati fa cazzate". "Ma come? - dicono i compagni
- Proprio ora che stiamo ricominciando a risalire, questi si debbono
mettere a litigare?".
Ma la colpa di questa lite, per una volta, non e' ne' di Fassino ne' di
Rutelli, e nemmeno di Cofferati; e' proprio la situazione che e'
"strana".
Un tempo, meta' degli italiani apparteneva, diciamo cosi', al ceto
medio: impiegati, bidelli, piccoli commercianti, professori.
Dipendevano dallo Stato e votavano per la Dc, che era quella che
distribuiva i soldi dello Stato. L'altra meta' faceva "lavoro
dipendente", che consisteva nello spostare carichi o nell'azionare
leve, erano alle dipendenze di un padrone privato ed erano
istituzionalmente "nemici" di questo padrone: loro volevano piu' soldi
in busta paga, e lui voleva dargliene di meno. Poi tutto questo si
colorava in "politica", ma insomma il meccanismo di base era quello.
Allora il compito della sinistra era di appoggiare si' la meta'
"dipendente" ma soprattutto di tenersi buona la meta' "statale": che,
politica a parte, era interessata a lasciare le cose com'erano e quindi
a votare Dc.
Sono passati gli anni: il figlio dell'impiegato o del piccolo
commerciante di allora non e' un altro piccolo commerciante o un
impiegato. E' un giovanotto o una ragazza sui trent'anni, con tanto di
telefonino e di automobile a rate, ma senza un lavoro fisso. Non solo:
mentre suo padre lavorava o per se stesso o per lo Stato, lui adesso
lavora - in un modo o nell'altro - per un padrone privato.
I "lavoratori dipendenti", insomma, non sono affatto diminuiti: sono
aumentati. E tutta la propaganda di questo mondo non puo' cambiare
questo fatto. Solo che una volta si riconoscevano facilmente perche'
facevano mestieri "communisti" come l'operaio, mentre adesso fanno
mestieri strani e fighetti che apparentemente li fanno sembrare dei
piccoli Vip in crescita e non degli sporchi "proletari". Una velina, ad
esempio (ce n'erano seimila all'ultima selezione) non muove una chiave
a stella ma semplicemente il proprio culo: ma l'effetto economico e' lo
stesso perche' oggi le fabbriche principali producono varieta' e
divertimento e non bulloni. Cosi' lei, alla fine, funziona esattamente
come la mondina dei film sulle mondine: non puo' prendere soldi se non
li leva al padrone.
Ecco, secondo me Cofferati, con le spalle al muro, ha capito tutto
questo, e ci si sta giocando le sue carte. I vecchi politici no, sono
ancora convinti che gli unici "proletari" siano quei quattro vecchi
operai con la scritta "operaio" stampata in fronte, e che tutti gli
altri siano parastatali e bottegai da non spaventare. (Poi ci sono i
politici nuovi, tanto nuovi da girare con le scarpe da un milione,
quando non sono in yacht. Ma questi, naturalmente, sono un altro
discorso).
Riccardo Orioles
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