venerdì, giugno 27, 2003

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Le cronache ne parlarono a lungo. Intere famiglie andavano a vedere quel quadro maledetto, esposto in un "salon" parigino. Gli uomini impallidivano, i bambini facevano domande moleste o scoppiavano in singhiozzi, e molte signore svenivano. Le onde di un mare in tempesta e il gruppo di uomini laceri o del tutto nudi che si affollavano su una zattera squassata dal vento sembravano uscire dalla tela o, al contrario, trascinare nella loro tragedia gli spettatori.

Era il 1816 e "La zattera della Medusa", di Thèodore Gericault, raccontava con straordinaria intensità la terribile avventura di un gruppo di naufraghi, che, affondato da una tempesta il veliero francese sul quale viaggiavano, s'erano accalcati su un relitto ed erano rimasti senza soccorsi per un'eternità di settimane. Morti la più parte, soltanto una quindicina di uomini erano stati tratti in salvo da una nave di passaggio. I corpi bruciati dal sole e dalla salsedine, i capelli arruffati, le lunghe barbe, le piaghe non svelavano tutte le sofferenze sopportate. Al momento del salvataggio, invece di esprimere gioia, erano sembrati curvi sotto il peso di qualche infamia. Più tardi s'era saputo che su quella povera imbarcazione era avvenuto "di tutto", anche episodi di cannibalismo.

Meno emotivi di quei francesi di duecento anni fa, noi uomini non impallidiamo e le nostre donne non svengono (forse qualche bambino piange e certamente molti porgono domande moleste) mentre, durante i nostri pasti, i telegiornali ci mostrano le immagini dei clandestini che muoiono, ormai più di mille, in un mare su cui navigano placidamente le nostre "ammiraglie" da crociera, in vista delle nostre coste gremite di sereni bagnanti.

Forse per commuoverci ci manca il particolare del cannibalismo.

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Temo di non sbagliarmi se dico che il senso di minaccia prevale nella maggior parte degli italiani sul sentimento della compassione (una volta si sarebbe detto: sullo spirito di fraternità umana) e sulla necessità razionale di affrontare i problemi della nostra era. Bombardati da notizie che insufflano nell'opinione pubblica la convinzione di essere invasi, e da commenti che mai esaminano seriamente la complessa realtà delle migrazioni, è la nostra tranquilla agiatezza che sentiamo aggredita. "Far posto", "dare" andava bene, secondo noi, per gli africani e gli asiatici che hanno dovuto accettare il colonialismo (ma la reciprocità non vale); "far posto", "dare" va bene, secondo i più, per gli arabi che hanno dovuto cedere terre, campi e case agli ebrei in nome di uno sterminio che non loro ma noi europei abbiamo provocato; "far posto", "dare" va bene per gli iracheni e per gli afgani che in nome della democrazia petroliera sono passati da orrende dittature a un' occupazione militare che moltiplica le uccisioni di nativi. Noi, no: noi siamo esenti da ogni dovere di condivisione. Non lavoriamo forse duramente? Non paghiamo le tasse? Si guardi com'è nobile e pronta la nostra generosità ai margini delle partite di calcio "del cuore". Persino molti di quelli che giudicano ignobile l'imperialismo americano e i delitti della Casa Bianca contro l'umanità (le guerre preventive, lo stupro del diritto internazionale, la retrocessione infame dai patti per la salvaguardia del creato) persino molti di questi, se ne accorgano o no, ne condividono la feroce ideologia: guai a chi tocca non solo l'american ma la our way of life, il nostro stile, il nostro livello di vita.

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Per conservarlo siamo disposti a tutto. C'è un dato che riguarda ciascuno di noi come cittadino della repubblica italiana ed elettore o non-avversario attivo del suo governo. Su 110 mila domande di asilo presentate da persone che si definivano profughi politici, l'anno scorso ne sono state accettate 10 mila. Chi non sa cosa sia un profugo politico fatica a rendersi conto dell'atrocità del dato. Un profugo del genere arriva fra noi dopo terribili traversie, senza documenti, senza sapere la nostra lingua, talvolta, dall'atrocità delle esperienze subìte, ridotto all'impossibilità di parlare. Ciò che l'Italia "istituzionale" gli offre è un interrogatorio frettoloso, spesso senza interpreti adeguati, da cui è esente ogni reale interesse per la sua storia, il suo stato di choc, i segni delle terribili sevizie subìte etc. Su ogni altro particolare prevale quello di una possibile pericolosità. Bisogna leggere le relazioni dei Medici di Amnesty International per rendersi conto della croce su cui questi miseri fra i miseri rimangono, per responsabilità italiana, inchiodati. Avere respinto 100 mila domande su 110 mila significa, con ogni certezza, avere eliminato migliaia di bugiardi e qualche possibile terrorista ma anche avere riconsegnato decine di migliaia di persone ai loro torturatori - o peggio.



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All'inizio i clandestini venivano dalle sponde del Mediterraneo, dall'Africa del Nord, dall'Albania, dall'Egitto, dalla Turchia. Poi comparvero quelli delle guerre cosiddette locali: kurdi, palestinesi, iracheni. Adesso cominciano ad arrivare dal cuore dell'Africa Nera. Per arrivare sulle coste del mare "nostro" affrontano odissee che fanno impallidire le storie omeriche. Sono incalzati dalla loro fame, dalla fame e dalla sete dei loro figli, dalla ferocia dei signori tribali della guerra, foraggiati dai mercanti d'armi (ormai, per quel che riguarda l'Italia, senza più controlli). Sono i figli della disperazione e si aggrappano a quell'esile divinità che è la speranza di chi non vuole morire giovane. Noi li consideriamo non solo persone da ricacciare, ma dei furbi, clandestini per vocazione delinquenziale. Come mostrano i risultati di un recente referendum, non ci interessa preservare i nostri bambini dallo "smog" dell'alta tensione, i pericoli per loro e per noi, sono altri, sono le possibili modifiche al panorama umano che ci sta intorno. Noi onoriamo, giustamente, chi cerca la libertà, ma ci piacciono quelli che si possono permettere il lusso di desiderare le libertà con la L maiuscola. Quelli che invocano la libertà di non morire a trent'anni, li consideriamo gente da cui guardarci. E comunque sono troppi.

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Davvero? Persino quel sensibile terzomondista che è il nostro Sorridente del Consiglio è costretto ad ammetterlo: abbiamo ancora grande bisogno di terzomondiali per le nostre industrie. le nostre campagne, la cura dei nostri vecchi abbandonati dallo Stato. Ma lui si è portato dietro, al governo, pur di salvarsi dalla galera, il peggior gruppo di razzisti e di pirla senza cultura che abbia mai infestato l'Italia dal 1945 in poi. Quindi non può insistere, deve barcamerarsi.

Già: in barca anche lui.



Ettore Masina

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