mercoledì, giugno 25, 2003

Viviamo le nostre vite, sia individualmente sia nelle nostre relazioni reciproche, alla luce di determinate concezioni di un possibile futuro comune, un futuro in cui certe possibilità ci attraggono e altre ci respingono, alcune sembrano già precluse e altre forse inevitabili. Non esiste presente che non sia informato dall’immagine di un qualche futuro, e da un’immagine che compare sempre nella forma di un telos verso cui ci dirigiamo o manchiamo di dirigerci nel presente. Imprevedibilità e teleologia coesistono dunque come parti della nostra vita: come i personaggi di una narrazione letteraria, non sappiamo che cosa accadrà in seguito, ma ciononostante le nostre vite hanno una certa forma che si proietta verso il futuro. Perciò le narrazioni che viviamo hanno un carattere tanto imprevedibile quanto parzialmente teleologico. Se la narrazione della nostra vita individuale e sociale deve continuare in modo intelligibile, sono sempre necessarie due condizioni: da un lato ci devono essere dei vincoli quanto al senso in cui la storia può proseguire, e dall’altro, all’interno di questi vincoli di dev’essere una molteplicità indefinita di sensi in cui essa può proseguire.

Alasdair MacIntyre, Dopo la virtù

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