La forza del cristianesimo
di Vittorio Messori
I cristiani della mia generazione hanno passato gran parte della vita a confrontarsi con quelli che non credevano in Dio: i comunisti. E adesso, devono confrontarsi con quelli che, in un Dio, ci credono «troppo»: i musulmani. Se questo è il menu, non resta che accettare, purché sempre sorretti dal realismo evangelico. Quello, ad esempio, che renda consapevoli che la lettura distorta delle parole di Benedetto XVI a Ratisbona non è che un pretesto come un altro: un detonatore purchessia, di cui si andava alla ricerca.
Il Papa è incappato in quella che sembra essere una generosa imprudenza. Per un paio d'ore ha voluto tornare il professor Joseph Ratzinger che si rivolge ai colleghi dell'università dove ha insegnato. Una sorta di pausa per lui, che sente sino in fondo il peso della guida di un miliardo di cattolici cui deve rivolgersi con encicliche, documenti magisteriali, omelie. Certezze, comunque, che confermino nella fede, non ipotesi e ricerche accademiche. Smessa, per un momento, la bianca talare papale, ha creduto di poter reindossare la toga nera professorale. In quel candore evangelico che lo rende amabile, alieno da ogni furbizia, ciò che non ha messo in conto è che il media-system non gli avrebbe concesso di tornare professore tra i professori e che lo avrebbe valutato come Papa; che, in gran parte, quel «sistema» non avrebbe capito una lezione così complessa; che si sarebbe fatto ricorso a sintesi brutali; che si sarebbe focalizzata l'attenzione non sulla universalità della cultura ma sull'attualità del giorno.
Non sempre per cattiva volontà, ma per inevitabile deriva, il giornalismo conferma spesso Joseph Fouché, il luciferino ministro di polizia di Napoleone: «Datemi lo scritto di chiunque e vi assicuro che, isolando una frase dal contesto, sarò in grado di inviarlo sul patibolo ». In effetti se qualcuno che conosce i meccanismi di informazione (e disinformazione) avesse visto in anticipo il testo della lectio magistralis del professor Ratzinger, lo avrebbe avvertito di cercare citazioni diverse da quella del settimo colloquio con un dotto persiano dell'imperatore Manuele II Paleologo: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come il suo ordine di diffondere la fede attraverso la spada». Non conta che sia una citazione di un autore antico che lo stesso professor Ratzinger precisa e chiarisce, non conta che sia data con precauzioni come: «un modo sorprendentemente brusco», «un linguaggio pesante».
E, purtroppo, non conta neppure che, pur con le distinzioni che Ratzinger non manca di fare, descriva una verità oggettiva. Conta il fatto che la frase sarebbe stata certamente avulsa dal contesto e, eliminate le virgolette, sarebbe stata attribuita non al remoto Paleologo ma a Benedetto XVI. La cosa era talmente prevedibile che non è mancato chi ha subito previsto una fatwa di morte per Benedetto XVI. Sono stati ottimisti: ne sono giunte non una ma molte, senza che il testo fosse letto, prima che fosse tradotto in arabo e che si andasse al di là delle estrapolazioni abusive delle agenzie. In ogni modo, lo osservavo all'inizio, la lezione universitaria manipolata non è stata che un pretesto come un altro. Prima o poi doveva avvenire. Mentre il marxismo è un giudeo-cristianesimo secolarizzato, l'Islam è, oggettivamente, un giudeo-cristianesimo semplificato.
Il concetto di amico-nemico—in una brutalità, appunto, semplificatoria — gli è indispensabile, almeno nella lettura che porta al fanatismo che conosciamo. Vi è comunque, negli eccessi musulmani che constatiamo e che riempiranno anche il nostro futuro, una ricaduta in qualchemodo«positiva» per il cristianesimo. Questo fu insidiato dal fascino suadente di quella sorta di vangelo di libertà e di giustizia—qui e ora, non in un illusorio Aldilà — proposto da quel nipote e pronipote di rabbini che fu Karl Marx. Forte poi, e questa non in crisi, l'attrazione esercitata dal buddismo che è, in sostanza, un ateismo, ma che una folla crescente di occidentali accoglie — magari in versioni immaginarie — come una religione alternativa al cristianesimo. E vedrete che, prima o poi, tra le esportazioni con cui la Cina ci inonda, ci sarà la sua sapienza, più antica di mezzo millennio di quella evangelica, quel Confucianesimo che farà breccia tra tanti americani ed europei.
Non avverrà, non potrà avvenire con l'islamismo. Il volto che presenta è in rotta di collisione con quel «politicamente corretto» che è—nel bene e nel male — il nostro pensiero egemone. Non dimentichiamo che esistettero, ed esistono, culture e società musulmane ben diverse. Ma ciò che oggi giunge alla gente è la versione repellente: folle imbestialite che agitano armi, sangue a fiumi, guerra santa, insensibilità sociale, burka e privazione di diritti per le donne, poligamia, esecuzioni pubbliche, rapimenti, frustate, minacce, ricatti, interdetti alimentari, persecuzione degli omosessuali, intolleranza, dogmatismi, tribalismi, letteralismi scritturali, indifferenza all'ambiente, persino proibizione di tenere con sé «impuri» cani e gatti... L'opposto, insomma, della sensibilità corrente oggi nelle società democratiche.
Che Dio non voglia: lo scontro — che il cristiano tenta in ogni modo di evitare, ma che è cercato da molti della controparte—lo scontro, se ci sarà, sarà lungo e duro ma, almeno questa volta, la quinta colonna tra noi sarà esigua. Le conversioni di occidentali ad Allah sono marginali e riguardano in buona parte questioni matrimoniali o frange di estrema destra e di estrema sinistra. Al contrario: anche fenomeni discussi come quello dell’«ateismo devoto » mostrano che—messo con le spalle al muro, al bivio tra Gesù e Muhammad — l'uomo dell'Occidente riscopre che, malgrado tutto, «cristiano è meglio ». Parlando sempre, s'intende, da credenti: forse ancora una volta la Provvidenza potrebbe star scrivendo dritto su righe storte.
18 settembre 2006
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