Il secondo concetto fondamentale in Newman è che il sapere va condotto ad unità.
Newman definisce l’università come il luogo dell’insegnamento del sapere universale.
Io dico che una Università … ha questo scopo e questa missione: non la ricerca né la formazione morale né la produzione meccanica, non afferma di esercitare la mente né nell’arte né nel dovere; la sua funzione è nella cultura dell’intelletto … Essa educa l’intelletto a ragionare bene in tutti i campi, a slanciarsi verso la verità e ad afferrarla. (VI, 1)
Newman ritiene che il suo scopo primario non sia la ricerca, che egli affiderebbe piuttosto alle accademie, ma l’insegnamento perciò al centro dell’idea di università c’è lo studente e la vita che egli conduce a contatto con i suoi compagni ed insegnanti. Questo è un principio anche oggi fortemente significativo per il nostro contesto educativo.
Bisogna ricordare che nel diciannovesimo secolo ci fu un vasto dibattito sull’organizzazione degli studi universitari e sul ruolo dell’università all’interno della società e Wilhelm von Humboldt, la figura che più ha influenzato il modello che si è poi imposto nel mondo tedesco e non solo, rinveniva proprio nella ricerca, fatta in solitudine e libertà, il fine dell’università.
La scelta di privilegiare la ricerca o piuttosto l’insegnamento aveva significative ripercussioni sulla struttura accademica, sul rapporto docente-studente e università-società ma dietro queste alternative ci sono posizioni teoriche che nascono da diverse opzioni filosofiche. Il progetto di Newman infatti è fortemente condizionato dalla concezione che egli ha della realtà e del rapporto tra le diverse scienze; tutte le sue riflessioni sono guidate da un ideale che prima di essere educativo è gnoseologico. Newman professa una concezione olistica del sapere: la conoscenza è un tutto che si tiene, dove ogni disciplina ha una sua dignità ed un suo ruolo. E’ compito precipuo dell’uomo, tramite l’esercizio intellettuale, distinguere gli oggetti del sapere, di qui la pluralità delle discipline, per poi sintetizzare e ricondurre tutto all’unità. Nell’architettura del sapere ogni disciplina ha un suo posto; la filosofia, intesa nel senso più ampio del termine, è l’esercizio di quella facoltà sintetica che riconduce le diversità ad unità. L’unità del sapere, che preserva dagli errori e dalle deviazioni, viene garantita dal suo esercizio.
La comprensione dei rapporti di una scienza con l’altra e l’uso di ognuna, e la collocazione, e la limitazione e l’adattamento, e il dovuto apprezzamento di tutte, dell’una nei confronti dell’altra, tutto questo appartiene, secondo me, a un genere di scienza distinta dalle altre e, in qualche senso, ad una scienza delle scienze che è la mia concezione di ciò che si intende per Filosofia, nel senso vero della parola (III, 4)
La filosofia è qui intesa non tanto come una disciplina ma come la capacità di far propri tutti i saperi per poi elaborare una visione d’insieme della realtà umana. Ciò non significa che l’uomo colto debba possedere ogni genere di sapere ma che egli deve essere in grado di collocare qualsiasi disciplina in una trama di rapporti con tutte le altre, in modo tale da accordarle il valore che merita.
Alla luce di questo ideale gnoseologico l’errore consiste proprio nell’innalzare il particolare ad universale.
La conoscenza cessa di essere se stessa nella misura in cui tende ad essere sempre più particolare.(VI, 5)
E ancora:
Nessuna scienza, per quanto comprensiva sia, può far a meno di cadere in grandi errori se venisse considerata come unica interprete di tutte le cose che ci sono in cielo e sulla terra e questo per il semplice fatto che sconfina in un terreno che non è il suo e si occupa di problemi senza avere strumenti per risolverli. (IV, 2)
Tutte le nostre conoscenze hanno bisogno di inserirsi in una trama di rapporti e relazioni nei quali acquistano senso.
(continua)
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