La filosofia uccisa dai festival
(e dagli eventi di “Repubblica”)
Cos’è la filosofia nelle società ad alta pressione spettacolare? Semplice, è l’oroscopo dei diplomati, destinato ai pochi che hanno letto anche soltanto un libro nella vita, fosse pure Siddharta di Hermann Hesse.
Scorgo proprio adesso su la Repubblica un articolo a firma Roberto Esposito testualmente dedicato a una “disciplina che vive una stagione di successo popolare”. Tra festival, dibattiti, inviti speciali, al termine dei quali, aggiunge lo scettico, la terra non s’è mossa neppure di un millimetro, anzi, su tutto, come in un gradito ritorno all’inquietante sistema tolemaico, sorge infine, come ennesimo sole nero, il volto di Massimo Cacciari, filosofo appunto, incoronato da una barba da pensatore, fra Nietzsche e Schnauzer gigante con pedigree rilasciato al “San Raffaele” di Milano; sempre iconograficamente parlando, va da sé. L’articolo apparso sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, a sua volta filosofo di se stesso, prova a indagare il tema ispido del pensiero in funzione, il pensiero come spinterogeno dialettico, muovendo da un interrogativo che, in definitiva, si incarna nelle delibere quotidiane degli assessorati alla cultura o nell’occhio magico degli sponsor disposti a investire “in cultura”. Trent’anni fa c’erano le mostre della Transavanguardia (con Chia, Paladino e gli altri), dei Nuovi Selvaggi tedeschi (con A. R. Penck, Baselitz, ecc.), dei graffitisti Usa (con Haring, Basquiat, Rammellzee…) adesso invece s’innalza la brochure dell’Opera Nazionale Dopolavoro Filosofico.
Ma sono davvero utili questi convegni, di più, questi festival della filosofia? Dove il pubblico prende posto in anticipo nella convinzione che verrà inaugurato il bingo della Verità, dove c’è modo, in assenza dei pezzi grossi trapassati, gli Heidegger, i Foucault, i Castoriadis o magari perfino dei viventi Habermas o Balibar, di imbattersi, oltre nel già citato Cacciari, negli altrettanto validi nostrani Emanuele Severino, Remo Bodei, Giulio Giorello, Giacomo Marramao e magari, che so, perfino in Franco Battiato, venuto lì a spiegare finalmente cosa cazzo è mai l’era del cinghiale bianco; perché ci stanno sempre bene gli artisti in questo genere di cose, magari anche Vinicio Capossela; avanti, un po’ di banale profondità d’autore, per “alleggerire”, dare un pendant “secolarizzato” all’evento, non guasta, assicura il promotore.
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