domenica, settembre 28, 2014

ELEMENTI MINIMI PER UNA CRITICA A KARL POPPER. di L. Copertino

Su Avvenire, il quotidiano cattolico, Dario Antiseri ha pubblicato, il 16.09.2014, un ricordo di Karl Raimund Popper e del suo pensiero per indicare quale è, per il noto pensatore, amico di Friedrich August von Hayek, la linea di demarcazione tra una “società aperta” ed una “società chiusa” (1). Antiseri è, notoriamente, innanzitutto un liberale che poi si fregia di professare la fede cattolica. Le basi, però, del pensiero di Antiseri sono in Ludwig Wittgenstein che è come dire nel soggettivismo gnoseologico ed etico. Il che dovrebbe porre ad Antiseri qualche serio problema in ordine al suo cattolicesimo.
Ma, tornando a Popper, è interessante constatare quanto egli abbia frainteso Platone, assimilandolo ai pensatori immanentisti che hanno preparato, nella modernità, la via al totalitarismo politico. Noi non possiamo, in quanto cattolici, gettare alle ortiche il grande ateniese sia perché, con le sue intuizioni circa la Trascendenza, è un anticipatore – certo con molte deficienze dal momento che non conosceva ancora la Rivelazione che stava per giungere da Gerusalemme – della filosofia e dell’etica cristiana, sia perché la sua teoria politica non è affatto totalitaria proprio in quanto essa è aperta verso l’Alto, verso l’intuita Trascendenza della Verità, laddove, invece, a ben osservare, è proprio la “società aperta” popperiana, aperta piuttosto verso il basso quindi effettivamente chiusa alla Trascendenza delle basi teo-antropologiche della vita sociale, a rivelarsi, alla prova storica dei fatti, compiutamente totalitaria ossia compiutamente immanentista, nel senso nel quale, ad esempio, Augusto Del Noce riteneva l’Occidente liberale come un perfetto sistema di reificazione, sotto forma di mercificazione, dell’uomo e quindi come la sconfessione, per eterogenesi dei fini, dell’etica kantiana, fondativa dell’Occidente, per la quale l’uomo deve essere sempre trattato come un fine e mai come una mezzo(2).
Se proprio vogliamo usare una terminologia moderna, la teoria politica di Platone, lungi dall’essere totalitaria, perché non immanentista, è, casomai, una filosofia “autoritaria”, meglio sarebbe dire “autorevole”, dello Stato che è certamente posto, quale Comunità Politica, al di sopra della “società civile” ma senza che gli sia lecito – e laddove trasformandosi in senso immanentista, ossia decadendo, tentasse di farlo tradirebbe illegittimamente la sua natura e vocazione – assorbirla o assorbirne i corpi intermedi, i quali in esso, nella sua orbita e circoscrizione spazio-temporale, vivono liberamente ma da esso sono coordinati e tutelati.
Popper non comprende Platone perché per lui al centro di tutto vi è – si badi! – non la persona ma il fantoccio astratto ed inesistente dell’individuo, entità irreale che pretende di darsi solipsisticamente come unità matematica interagente meccanicamente, ossia contrattualisticamente, con le altre unità individuali. Al contrario, la persona, in una concezione squisitamente personalista e comunitaria che non può assolutamente prescindere dal fondamento trascendente, a meno di non equivocare come fa anche Popper sul significato autentico dell’“organicismo”, non è mai data in astratto ma sempre concretamente in relazione organica, e non contrattuale, con le comunità di appartenenza, dalla famiglia fino alla professione, dal comune fino alla nazione, dalla classe sociale fino alla patria.

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1 commento:

S.R. Piccoli ha detto...

Quel che si dice un articolone. L'ho letto in fretta, ma l'ho messo da parte per rileggerlo con calma. Grazie per la condivisione.