Nei giorni scorsi, di fronte alle ordinanze ministeriali e prefettizie che vietavano manifestazioni pubbliche di vario tipo, comprese quelle definite “religiose”, i vescovi di quasi tutte le diocesi del Nord non hanno avuto dubbi: sospensione immediata e a tempo indeterminato delle Sante Messe, oltre che chiusure di oratori, annullamento di attività catechistiche, culturali, formative, ludiche. Una Chiesa in piena ritirata, dunque. Prima di giungere alla serrata, alcuni pastori avevano già preso diverse decisioni di carattere igienico-sanitario: chi aveva disposto di non usare le acquasantiere, altri di prendere la comunione esclusivamente sulla mano. Alla fine, la sospensione delle Messe, un fatto che non si era mai verificato, nemmeno durante le due guerre mondiali, nemmeno nelle ore più terribili della storia di questo Paese, in occasione di disastri, inondazioni, terremoti. La Chiesa è sempre stata vicina alla gente, a chi soffriva, a chi aveva bisogno di un conforto. Magari non c’era la retorica della “Chiesa in uscita”, ma la Chiesa era sempre lì, china sulle ferite delle persone. Adesso invece l’“ospedale da campo”, come qualcuno ha voluto ridefinire la Chiesa, è deserto. Chiuso per profilassi igienico-sanitaria. Eppure, la Sposa di Cristo non ha mai avuto paura di virus e batteri: molti grandi santi del passato si prodigarono nell’assistere i malati, compresi quelli con malattie infettive molto più terribili dell’attuale virus polmonare.
Per la prossima domenica, che segna l’inizio della quaresima, l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini ha avuto un’idea: tutti a casa, al sicuro, lontani da quei luoghi di aggregazione che sono le chiese, desertificate per sicurezza mentre i supermercati e i centri commerciali traboccano di folla, e tutti davanti al televisore. L’arcivescovo successore di san Carlo Borromeo (che non aveva fatto mai mancare la sua presenza tra gli appestati) celebrerà da solo una Messa alle ore 11 che verrà trasmessa da Raitre. Tutti i fedeli della diocesi ambrosiana sono invitati a porsi alla visione del programma, espletando in tal modo l’obbligo liturgico domenicale.
Per certi versi, questa Messa unica per i cinque milioni di fedeli della grande arcidiocesi sembra aprire – magari involontariamente – prospettive e suggestioni che ci richiamano agli scenari distopici di un futuro prossimo venturo. In fondo, una Messa di questo tipo sarebbe una soluzione radicale al problema della carenza di sacerdoti, un vuoto che la parte più progressista della Chiesa pensava di poter colmare con la fine del celibato sacerdotale, con l’ordinazione di viri probati e con qualche altra trovata creativa che avrebbe dovuto essere introdotta dopo il sinodo amazzonico. Come sappiamo, anche grazie al provvidenziale libro scritto dal cardinale Sarah e da Benedetto XVI, il colpo di mano non è riuscito, e quindi per adesso l’idea di rimpolpare con questa modalità le magre fila del clero è stata messa da parte in attesa di tempi migliori (dal punto di vista progressista). E allora perché non percorrere altre vie? Le vie di una Chiesa virtuale, smaterializzata, da seguire in televisione oppure su tablet e smartphone. Un sacerdote solo, magari un vescovo, potrebbe essere sufficiente per migliaia di fedeli. Fantascienza? Forse. Però in questi giorni mi è tornato in mente un libro che ho letto anni fa. Il titolo è Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete. Autore: padre Antonio Spadaro S.J. Un libro intrigante, scritto da colui che un anno dopo sarebbe diventato uno dei più influenti consiglieri del nuovo pontefice e che in questa opera parla di motori di ricerca, smartphone, applicazioni, social network, insomma tutte le più recenti tecnologie digitali entrate prepotentemente nella nostra vita quotidiana. Il gesuita siciliano mette in evidenza che tutto ciò non deve essere visto solo come un insieme di strumenti esterni, da usare per semplificare la comunicazione e il rapporto con il mondo, ma anche come uno spazio antropologico nuovo in grado di cambiare il nostro modo di pensare, di conoscere la realtà e di intrattenere le relazioni umane. Ora, si chiede padre Spadaro, la rivoluzione digitale tocca in qualche modo la fede? Non si deve forse cominciare a riflettere su come il cristianesimo deve pensarsi e dirsi in questo nuovo paesaggio umano? Forse, risponde, è giunto il momento di considerare la possibilità di una “cyberteologia”, intesa come comprensione della fede al tempo della rete.
Per ora, con la Messa televisiva dell’arcivescovo Delpini, non siamo ancora entrati negli scenari futuribili prospettati da padre Spadaro. Siamo ancora a uno strumento ormai un po’ antiquato come la televisione generalista, dove la trasmissione della Messa domenicale è presente nei palinsesti da molti anni ed è pensata soprattutto per i malati, per coloro che non possono fisicamente presenziare alla liturgia. Uno strumento nazionalpopolare, lo stesso che per tanti anni ha portato nelle case la voce dei pontefici, i loro Angelus, le loro benedizioni natalizie e pasquali. Insomma, uno strumento benemerito, di supporto. Ora invece si intravede – e scusate se sembriamo pessimisti – l’ombra di un surrogato, di una sostituzione. Che potrebbe preludere alle cybernovità anticipate da Spadaro. Una Chiesa che al momento sembra essere passata dallo stato solido a quello liquido, e che in futuro potrebbe fare l’ulteriore evoluzione a quello aereo, gassoso. Dove non c’è più comunità, con i fedeli atomizzati, chiusi nelle loro case o chini sui loro strumenti tecnologici, con adorazioni eucaristiche fatte grazie a YouTube e magari pure confessioni via WhatsApp, visto che in questi giorni si è saputo pure di confessionali chiusi, senza possibilità per i peccatori di confessarsi, nemmeno con mascherina e inondati di amuchina. Una Chiesa tutta messaggio e niente Presenza Reale. Una Chiesa senza sacramenti, che è un incubo peggiore di quello di qualunque virus.
Paolo Gulisano
Nessun commento:
Posta un commento