Arriva in libreria un saggio britannico annunciato da titoli, in inglese come in italiano, densi di luoghi comuni. Si tratta comunque – denunzie e demonizzazioni a parte – di un onesto trattato di storia italiana di facile e gradevole lettura.
Catherine Fletcher, Il libro nero del Rinascimento, Milano, Garzanti, 2022, pp. 466, euri 28,00.
Ti arriva sul tavolo un volume come questo ed ecco che t’invade la malinconia. Questo libro è stato salutato nientemeno che dal Sunday Times con
le severe parole indirizzate ai lettori: “Se pensavate che il
Rinascimento fosse solo bei quadri e riscoperta dei classici, vi
sbagliavate di grosso”. E non dico l’illustre studioso, ma perfino il
modesto travet della cultura media – l’insegnante, il recensore
librario sui quotidiani – si chiede: ma come, siamo ancora a questo
punto? Credevamo fosse chiaro che da circa due secoli i Gregorovius, i
Michelet, i Burckhardt, sia pure svolgendo egregiamente il loro compito
di scopritori e di divulgatori, avevano diffuso a proposito di quel
lungo periodo della storia della civiltà e delle arti d’Europa, durato
grosso modo dalla seconda metà del Tre a quella del Cinquecento, una
massa immensa e inestricabile di pregiudizi e di luoghi comuni.
Li abbiamo contrastati per lunghi decenni: abbiamo studiato i due
lunghi periodi di crisi climatica, demografica, socioeconomica da
concentrazione della ricchezza e da una spaventosa sperequazione,
abbiamo rivelato i retroscena politici e le messinscene mediatiche
sottostanti alla meravigliosa avventura del “mecenatismo”, non abbiamo
certo taciuto le guerre, i colpi di stato, le congiure. E abbiamo anche
corretto molti, troppi “luoghi comuni”.
Machiavelli non fu mai un
apologeta del crimine voluto e prezzolato da un tiranno; e la virtuosa
Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara non fu affatto un’avvelenatrice.
Macché.
Niente da fare. “Invidïosi veri”, direbbe il Padre Dante, come al
solito predicando al vento. Gli occhiuti e sovente assoldati custodi del
conformismo bignamesco non demordono. E hanno dalla loro due potenti
alleati: anzitutto la pigrizia di molti insegnanti e di molti “addetti
ai lavori” o sedice
nti tali ai quali l’aggiornamento pesa; quindi il dogmatismo ottuso di
troppi “operatori mediatici” pronti a smascherare qualunque forma di
“revisionismo”, come dicono loro. Guai a sostenere che il “luminoso”
Rinascimento non fu né sempre né dappertutto tale e che il “buio”
medioevo non è mai esistito: non ci sono né fonti né studi, né argomenti
che tengano. Vero è tuttavia che qua e là certe cose si rimettono in
discussione: magari, anche lì, a costo di ulteriori malintesi.
Prendete
il grosso libro di Catherine Fletcher, brava studiosa della Manchester
Metropolitan University e collaboratrice della Bbc, la quale –
esplicitamente rivolta ai suoi studenti, ai quali esso è dedicato – ha
scritto un saggio dal titolo The beauty and the terror: an alternative history of the Italian Renaissance. Ebbene: alternative history
in che senso, e a che cosa? Con ogni evidenza, a una tradizione
troppo “aurea”, o “rosata”, del Rinascimento italiano sereno scrigno di
bellezza, almeno secondo una certa visione soprattutto angloamericana
che fa scuola dai tempi di Burckhardt e che continua a riversare sulle
nostre città e i nostri lidi – il che, tuttavia, è lontano dal farci
dispiacere – legioni di turisti che annualmente invadono le strade e le
piazze di Venezia o di Firenze, per quanto ameremmo fossero un po’ più
educati e un po’ meno parsimoniosi. Ma l’editore italiano ha trovato il
titolo inglese, tutto sommato, molto poco impressionante nella nostra
lingua e dalle nostre parti. Noi, alla bellezza mischiata al terrore ci
siamo tutto sommato piuttosto abituati. Semmai, una parvenza di
“provocazione” in più poteva pervenire – si è pensato – dall’espressione
“Libro Nero”, c
he richiama alcuni, numerosi pamphlets politici specie
antifascisti, anticomunisti e antiamericani. Anche il nostro caro,
vecchio Umberto Eco (che ci manca molto) aveva collezionato esempi
rinascimentali con i quali puntellare la tesi da lui esposta in un
saggio, Il fascismo eterno (edizioni La Nave di Teseo), che onestamente non è tra le sue cose più brillanti.
E
di storie rinascimentali “nere”, a onor del vero, ce ne sono molte: il
che nulla toglie, va da sé, all’eccezionalità artistica e intellettuale
di quel periodo. Ciò detto, bisogna notare che il contenuto del libro
forse non rende intera giustizia al titolo italiano, mentre quello
inglese a modo suo resta più adatto a descrivere la ricchezza dell’arte
rinascimentale in rapporto al cinismo e sovente alla spietatezza con la
quale alcuni potenti si facevano committenti d’arte per appoggiare il
loro regime per mezzo
di una sapiente rete di terrore, di complicità e di consenso. Questi
potrebbero essere i tre key-word che dominano un libro ben
costruito, denso di eventi accuratamente, anche se sinteticamente,
narrati, che si apre su un quadro dell’Europa del Quattrocento per poi
parlare delle corti, delle guerre, del Nuovo Mondo, della Riforma e
Controriforma, delle guerre di religione, del pericolo turco. Un onesto
tracciato storico di storia italiana che riesce di facile e gradevole
lettura.
Franco Cardini
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