«Uno sciopero generale arrecherebbe grave danno alla cittadinanza e in modo particolare ai lavoratori romani, senza aiutare in modo effettivo i contadini in agitazione».
Questo il motivo che determinò il voto contrario allo sciopero generale della
corrente cristiana in seno alla Camera del Lavoro.
Perché ciò che dà la misura dell’aberrazione cui sono giunti gli agitatori di
piazza... e di campagna, è quel tale spavento di non apparire abbastanza
estremisti, provocando così estremismi deleteri agli stessi interessi delle
masse agitate; le quali stanno molto più a cuore ai responsabili della corrente
cristiana che non ai detti agitatori, anche se il loro atteggiamento possa
sembrare reazionario (ma è risaputo che la parola è logora per troppo uso).
Che
le terre incolte (ma incolte sul serio, non pronte per la semina come qua e là
è avvenuto) debbano con le dovute garanzie essere utilizzate ai fini della
produzione, è pacifico; e infatti la corrente cristiana, disposta a giungere
fino allo sciopero di categoria, quando lo giudichi necessario, è su questa
strada: e lo ha dimostrato con la sua partecipazione alle discussioni
sull’argomento; ma quando l’occupazione indiscriminata delle terre altrui
costituisce una sfacciata violazione del diritto di proprietà, quando
l’occupazione da simbolica diventa effettiva e si arriva fino all’aberrante
divieto d’ingresso al proprietario nel proprio fondo, allora la corrente
cristiana grida il suo «non licet» perché la violazione è contro la volontà di
Dio e contro la legge degli uomini, i quali quella volontà debbono ricalcare se
non si vuole provocare il caos così caro agli estremisti.
Bene
ha fatto dunque la corrente cristiana a rifiutarsi di sanzionare la patente
ingiustizia, oltre che il danno.
È ovvio che, mentre l’agitazione perpetua anemizza la nazione e incide
soprattutto sulle classi meno abbienti, iniquo sarebbe cedere al paradosso
marxista che considera furto la proprietà: la quale è anzitutto un dovere, ma è
anche un provvidenziale diritto.
Il difficile è saperla conquistare con l’intelligenza e col lavoro.
Insomma, quando la proprietà è sudata, cioè onestamente conseguita, diventa
furto solo per i criminali.
Contro questo genere di... proprietà combatte la corrente cristiana, che è
morale prima d’essere corrente, tanto più che il crimine sembrò (o sembra?)
aggravarsi col già preordinato rallentamento della produzione, tendente a
sostituire qua e là l’arma dello sciopero, mentre ognuno vede che solo
nell’intensificazione della produzione si può sperare in una generale ripresa.
Si
racconta che Virgilio, proprietario di un modesto podere ereditato alla morte
del padre, non potesse lungamente goderne il possesso perché, nelle vicende
delle guerre civili, e propriamente nella distribuzione delle terre fatta da
Ottaviano ai suoi veterani (a proposito: quanti degli odierni occupanti sono
contadini autentici e... veterani?) anche la vicina Mantova fu messa a ruba ed
il podere del Poeta toccò ai pretoriani:
«Mantua, vae, miserae nimium vicina Cremonae!».
Del sofferto danno fu sollevato dalla generosità dello stesso Ottaviano, che,
mediante i buoni uffici di Mecenate, gli fece recuperare i suoi beni.
Ma di lì a poco, per i torbidi della guerra di Perugia, dovette abbandonarli
all’intimazione del primipilo Milieno: «Haec mea sunt, veteres migrate coloni»,
il quale gli scagliò addosso un tal Clodio, ferocissimo veterano che lo
malmenò. Tornato a Roma, accorato, il Poeta, con la mediazione di Mecenate,
riebbe il perduto suo campo. Prova che la giustizia, prima o poi, si fa strada
nel cuore degli uomini e trionfa sulla violenza.
È
contro cotesta mentalità mentecatta e sovvertitrice che si leva la religione di
Cristo, in difesa della stessa umanità insidiata nelle sue libertà eterne: di
lavoro, di fede, di conquista, di amore.
Poiché fu proprio la violenza caina e maledetta a creare nel mondo quella
catena di addii e di sangue che si spezzerà soltanto con l’Amore.
BENIGNO
12
ottobre 1947
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