domenica, maggio 11, 2025

VOGLIO ANIME: COSÌ FRANCESCO A PAPA ONORIO

Durante una delle sue frequenti veglie Francesco fu visitato dal Signore che gli ordinò di recarsi dal Papa onde impetrarne una cospicua indulgenza per la restaurata chiesa della Porziuncola. Partì ch’era la prealba, accompagnato da frate Masseo. Gli uccelli con i quali egli soleva conversare cominciavano a destarsi. Di lì a poco presero a cantare che era una fresca gioia sentirli. Uno gorgheggiava così alto che Francesco si fermò e tese l’orecchio, come se invece di trilli ascoltasse parole. La sosta durò a lungo e frate Masseo che attendeva, sorpreso e contrito, udì il Poverello che, quasi rispondesse al gorgheggio, diceva: «Sta bene». Dopo di che, tutto ilare, riprese il cammino verso Perugia. Quel gorgheggio li accompagnò per un buon tratto di strada e frate Masseo mai più vide così allegro il suo compagno.

A Perugia si svolse questo incalzante colloquio. 
— Santo Padre, poco fa vi ho restaurato una chiesa eretta in onore della Vergine Madre di Cristo. Ora io prego Vostra Santità che le conceda un’indulgenza senza obbligo di offerte.
— Codesto non può farsi, frate, perché chi chiede una indulgenza deve anche meritarla col soccorso di buone opere. Ma dimmi, di quanti anni la vuoi?  
— Deh! piaccia a Vostra Santità di darmi delle anime e non degli anni.             
— Come vuoi tu delle anime??        
— Sì, desidero che col beneplacito di Vostra Santità, tutti che entreranno in quella chiesa, se contriti confessati ed assolti, come si conviene, siano liberati da colpa ed a pena.    
— È una gran cosa quella che tu chiedi, frate Francesco; e non è uso della romana curia concedere di cosiffatte indulgenze.

Qui la cronaca non dice se Francesco ricordò a Onorio il divino potere conferitogli da Cristo di sciogliere e legare in terra per il Cielo. Si limita a riportare il colloquio, che a questo punto divenne drammatico.      
— Padre Santo — incalza Francesco — non sono io a chiedervelo, ma è Cristo stesso che mi mandò.
Al che il Papa senza indugio:             
— Così ci piace: abbiti quello che hai domandato.

E Francesco, piegato il capo, s’allontanò. Ma Onorio lo richiamò:
— O uomo semplice, dove vai? Qual testimonianza hai tu dell’indulgenza concessa?
— Padre Santo, penserà Dio a manifestarlo. Gesù Cristo sarà il notaio, la Vergine sarà la carta e gli Angeli saranno i testimoni.

Sulla via del ritorno, Francesco si fermò a riposare in un lebbrosario, sotto il colle, e svegliatosi pregò. Poi chiamò Masseo.        
— L’indulgenza concessa dal Papa — disse — è ratificata da Dio in Cielo.

Ora avvenne che una notte, mentre il demonio lo tentava come non mai, Francesco si gettò fra le spine di un roseto, fino a far sanguinare il corpo ribelle. Allora una luce di cielo circonfuse la sua persona e il roveto si tramutò in cespi di profumatissime rose. Al canto degli Angeli il Santo fu invitato ad andare in chiesa dove Gesù e Maria lo attendevano. Francesco colse dodici rose bianche e dodici rose rosse ed entrò. Ma non aveva passato la soglia che l’abito liso e bigio divenne color di neve. Si prostrò Francesco e pregò Gesù che si degnasse indicargli il giorno del perdono, che il Signore fissò al due agosto, consigliando anche questa volta di ottenere la ratifica dal Papa: «Affinché egli più facilmente creda, prendi, a testimonianza tre rose rosse e tre rose bianche e conduci teco i frati che han veduto e udito».

Son trascorsi oltre sette secoli. Nessuno sa la sorte toccata alle rose portate al Pontefice, ma i fedeli in quel giorno sentono un profumo intenso di rose e l’eco lontana di un canto di usignolo.
È il profumo di pietà che emana dal perdono di Assisi.

Benigno

 

3 agosto 1947

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