domenica, maggio 25, 2025

P. Placido T. Lugano: martire della sua carità

Non è la prima volta, e non sarà certo l’ultima, che la bontà e l’amore vengano ripagati con l’odio e il delitto. Non è la prima volta che la stessa mano caritatevole apra ignara la porta all’assassino, che par voglia vendicarsi di sentirsi lupo di fronte al gesto dell’agnello. Certo, quando l’artiglio di Satana s’è impadronito di un cuore, c’è da tremarne più della bestia stessa, ché questa cede al solo istinto, mentre nell’uomo l’intelligenza è messa a servizio degli istinti più bassi.

Padre Lugano è caduto come cadono i soldati di Cristo: inermi. Non credeva al male, non s’era mai fermato a considerarlo. Da circa mezzo secolo trascorreva la sua esistenza feconda fra studio e preghiera, interrotte solo da un richiamo impellente. C’era un’anima, una creatura di Dio da consolare, da consigliare, da guidare. C’era un superstite da riconciliare con la vita, un pellegrino da ricoverare, un peccatore da ammonire. Il comandamento del Patriarca «Ora et labora» passava allora in seconda linea. Lo spirito dei grandi santi si perpetuava in lui perché ben sapeva che la più alta dottrina è arida ove non sia accompagnata dallo spirito di carità. «La perfezione della legge è l’amore» (Rom. XIII, 10) «L’amore è l’insostituibile e solo distintivo dei seguaci di Cristo.
Al nostro fratello, come a Cristo, noi dobbiamo amore, tanto più se povero, ammalato, carcerato, pellegrino, affamato, ignudo, peccatore, perché in esso soffre Cristo».

Ogni giorno il monastero piombava in quel silenzio cupo che accompagna le prime ombre della sera sui ruderi delle morte età. Attraverso il vasto corridoio settecentesco che da un lato s’apre sulle tre volte gigantesche di Massenzio e dall’altro sulla mole massiccia del Colosseo, giungevano le voci smorzate dei bimbi che si rincorrevano sul sagrato e il suono stanco dell’orologio a pendolo che sgranava le ore della sua tristezza. Santa Francesca Romana, vegliata dagli angeli di Melozzo, dormiva beata nell’urna luminosa. Ed egli, che sembrava averla ridestata dal sonno di cinque secoli con la sua acuta opera di agiografo animatore, se la sentiva vicina: la nobildonna dei Ponziani, ispiratrice di pagine che rimarranno a testimoniare del lungo studio e del grande amore.

Entrarono i lupi dalla porta aperta a tutti e azzannarono l’agnello. Quelli che avevano ricevuto dalla generosità dell’abate pane e alloggio rimasero fuori, in vedetta, in attesa che i sicari tornassero con le mani lorde di sangue innocente. La prima volta non ebbero il coraggio di aggredire, tanto la preda era ignara e mansueta. Ma l’artiglio aveva scavato a fondo nel cuore del più giovane.
Tornati sui propri passi, stordirono la vittima colpendola alla nuca; poi, con lo scapolare, la imbavagliarono fino a soffocarla.

Abbiamo veduto la stanza dove l’orrendo misfatto è stato consumato, dove non s’è ancora spento il lamento dell’agnello... Una porta sul corridoio, due finestre sul chiostro in un trionfo di sole.
Un monaco bianco ci racconta, e par che legga una pagina buia di tempi maledetti. Ma la realtà è lì, e sono ormai tante le realtà atroci del tempo nostro... Un Crocifisso enorme apre le braccia misericordiose sugli agnelli e sui lupi. Ai suoi piedi, ai piedi della Croce del Figlio, P. Lugano ha reso la grande anima al Padre.

Una voce — quella dell’Abate generale dell’ordine benedettino di Monte Oliveto — si è ieri levata dalla basilica insigne, dinanzi all’urna della Santa e alla bara del monaco seviziato; una voce accorata, non d’indignazione, ma di amore:

«Gli empi hanno violato la soglia del tuo asilo, o Signore...
Un tuo ministro è caduto vittima della sua, della tua carità...        
L’ultima pagina scritta col suo sangue attende chi la interpreti...   
Aiutaci, o Signore, a sopportare lo strazio!  
Aiutaci, o Signore, nostra salvezza!  
E se al ravvedimento dell’umanità è necessaria ancora una vittima, noi te la offriamo legata e imbavagliata!…».

Poi, mentre la salma del martire si allontanava nel bacio del sole, il monastero ripiombava nel silenzio e nel dolore.
Forse anche la piccola monaca Santa piangeva dentro l’urna...

d. A.

 

19 ottobre 1947

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