domenica, settembre 28, 2025

Cristo vive nei peccatori

Parla Marta di Magdala:

Di Gesù Nazareno avevo sentito raccontare meraviglie. S’era appena al secondo anno della sua vita pubblica e il suo nome correva su tutte le bocche, dall’un capo all’altro della terra di Galilea, dall’un capo all’altro della terra di Samaria e della Giudea che gli aveva dato i natali.

Si diceva ch’era nato in una stalla — lui, il Re dei re! — che a Gerusalemme Simeone, ripieno dello Spirito Santo, aveva rivelato che non sarebbe morto prima di vederlo, come poi avvenne; che a dodici anni i genitori, proprio in occasione della solennità della Pasqua, lo ritrovarono fra i dottori che li ascoltava e li interrogava.

Passarono molti anni, e tutto ciò che avevo saputo di lui s’era quasi sbiadito nella memoria, come una bella fiaba.

Intanto, mentr’Egli cresceva in sapienza e si fortificava, io mi perdevo per le strade della sua terra. Del mio povero corpo gli uomini fecero oggetto di lusso. Non dico questo a mia discolpa, ma la miseria era tanta in casa che non mi bastò il cuore; non seppi resistere alle dure privazioni che maceravano i volti e facevano battere i denti. Avrei dovuto servire, offrirmi serva di un desco onesto, piuttosto che signora di un attimo di amor profano: serva di pochi, non mai di tutti. Non lo feci, ma pensavo spesso a Lui. E non avevo pace.

Ed ecco che il suo nome ritorna, la sua fama dilaga. Si raccontava che a Cana — durante un banchetto nuziale cui aveva partecipato con la Madre e i discepoli, venuto a mancare il vino — fece empire d’acqua sei pile e le convertì in nettare squisito; che aveva scacciato a sferzate dal Tempio i venditori di buoi e pecore e i cambiavalute; che aveva guarito i moribondi, gl’indemoniati, i lebbrosi, ridata la vista ai ciechi, sedato bufere, risuscitato persino i morti, come avvenne della figlia di Giairo e del giovinetto di Naim. Infine, che s’era dichiarato Figlio di Dio, anzi, uguale al Padre.

Tante volte l’avevo seguito, ma giungevo sempre tardi, non ebbi mai fortuna. E non trovavo pace.

Quando quel giorno mi dissero ch’era arrivato a Magdala e si trovava a desinare in casa di Simone il fariseo, sentii dentro di me una smania che non riuscii a frenare; tremavo tutta e il pianto mi s’era annodato in gola. Di Simone, sebben lo conoscessi di nome soltanto, non avevo gran timore ed ero decisa a forzare la consegna. Temevo invece che Gesù di Nazaret mi respingesse, consapevole certo delle mie colpe, anche delle più occulte...

Sciolsi alfine i miei lunghi capelli, presi con me l’alabastro che conteneva i più rari profumi e m’avviai. Con qualche moneta mi feci largo fra i servi di Simone e giunta nella sala mi gettai ai piedi di Colui che avrei riconosciuto fra mille. Un mormorio si levò dalla mensa cui subentrò un profondo silenzio rotto dai miei singhiozzi: qualcosa di più dei singhiozzi mi si era sciolto in gola. Era l’anima che adesso inondava di lacrime i piedi di Gesù: io li baciavo e odoravano di colomba.

I miei capelli immensi, neri come la notte, che prima sentivo come serpi intorno alla gola, quei capelli che odiavo per quanto furono amati erano diventati morbidi come sciarpe di seta, ed io ci asciugavo i piedi del mio Signore, spargendoli di tutto il profumo contenuto nel vaso d’alabastro. Un olezzo da stordire riempì la sala.

Intanto Gesù conversava con Simone e qua e là riprendeva il mormorio. M’assalì il terrore d’essere scacciata, ma ebbi gran fede nella misericordia del Padre. Non era Padre anche Lui, il Figlio?

Il mio cuore batteva con violenza, ma i singhiozzi erano così forti che non riuscivo ad afferrare quel che dicevano Simone, i discepoli, il Maestro. Ci fu un attimo che disperai, ma la voce di Gesù fu più alta e forte di tutte: «...io ti dico, o Simone, che le son rimessi i suoi molti peccati perché molto ha amato. Colui che meno ama, meno gli è perdonato».

Sentii una mano dolce come ala di colomba sollevarmi, e la stessa voce, fatta suadente dall’amore, sussurrarmi: «Donna, la tua fede ti ha salvata, va’ in pace».

Da quel momento mi sento più felice del lebbroso risanato.

BENIGNO

28 marzo 1948

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